Formazione
San Salvario, la mia nuova vita da meticcio
Qui Piemonte. Il regista torinese Daniele Segre racconta il "suo" quartiere
Che cosa rende così simili un quartiere di Torino meta di immigrazione e un piccolo borgo appollaiato sulle colline marchigiane? A prima vista nulla. Ma basta affondare la sguardo in queste righe scritte dal regista Segre e dal contadino Girolomoni per tastare con mano lo stesso amore che i due nutrono per la loro terra d?origine. Per Segre la sinagoga di San Salvario è stata la prima immagine che si è stampata nella sua memoria di bambino immigrato da un piccolo paese del biellese: «era il mio balcone da cui guardare la città», dice il regista. Girolomoni invece a Isola del Piano ci è nato e cresciuto e nemmeno le feroci maldicenze dei suoi compaesani («mi odiano e mi coprono di insulti sui muri del paese») riusciranno mai a sradicarlo da quella che è stata la sua culla. In queste pagine il cittadino Segre e il campagnolo Girolomoni sono la stessa persona. Con in testa la stessa determinazione nel voler vivere da dentro i cambiamenti e le tradizioni del luogo delle loro radici. Sabaude o mezzadre che siano. Al punto che perfino due luoghi opposti come San Salvario, che ha concesso il voto agli immigrati, e Isola del Piano che forse di extracomunitari non ne ha mai visto uno, in queste pagine si scoprono simili. E di fatto lo sono. Costituiscono infatti, per chi li conosce, lo stesso punto cardinale dal quale un regista alternativo e il pioniere del biologico hanno scelto di guardare un mondo sempre più vasto e globalizzato. A San Salvario e a Isola del Piano per un attimo i pc sono rimasti spenti.
E’ come ci fossi nato in questo quartiere. Ci sono arrivato nel 1963, a 11 anni, da un paesino vicino a Biella e da allora la mia storia con Torino ha sempre fatto i conti con San Salvario. La porta di ingresso del mio quartiere sono i portici di via Nizza a uno sputo dalla stazione di Porta Nuova. Per chi entra a Torino da qui, la città sembra un porto di mare. Gente che va, gente che viene, urla, tante urla soprattutto di donne, ambulanti che cercano di tirar su la giornata offrendo pane arabo ai passanti-compratori, bancarelle che vendono di tutto, ma soprattutto le sciarpe del Toro e della Juventus. Granata e bianconere. Un?abbuffata. Ma questo non è ancora il quartiere.
Bisogna girare l?angolo, per entrare a San Salvario. Il suo biglietto da visita sono i lunghi ballatoi dei palazzi di fine Ottocento che si scontrano con i più moderni edifici anni 50. Poi la sinagoga dalle quattro torri in stile moresco. I vecchi raccontano, ancora oggi, del tempo in cui le cupole delle torri erano ricoperte di lamelle d?oro. Poi il bombardamento del 1943 ha distrutto tutto. Alla sinagoga sono legati i miei primi ricordi di bambino. La mia immagine di Torino è un flash in bianco e nero scattato chissà quanti anni fa da una di quelle torri. Per me la sinagoga era allegria. Oggi invece è diventata la base degli appostamenti di Polizia e carabinieri in assetto anti terrorismo. Il tempo passa.
Le mille religioni di Torino
Poco più in là si possono trovare la moschea e il Centro islamico, il tempio valdese e diverse chiese cattoliche. Se si arriva di domenica mattina verso le 11, nella chiesa valdese di corso Vittorio celebrano la messa gruppi di fedeli nigeriani, e le donne con ricchi vestiti variopinti e copricapi colorati di carta sembrano grosse uova pasquali; il rito religioso è molto interessante, si prega, si canta e si balla; l?atmosfera è carica di gioia e divertimento che contagia facilmente, sembra di essere finiti dentro un musical. Per uscire dall?incantesimo basta proseguire di qualche metro. Al mercato di piazza Madama Cristina si trovano ancora oggi i banchi dei contadini delle campagne che vendono prodotti tipici regionali.
La strada dei negozi afro
La ventata di tradizioni culinarie è però solamente un piccolo retaggio del passato. Nel corso degli ultimi quindici anni San Salvario ha cambiato completamente faccia, ma soprattutto lingua. Nel quartiere dei ?colori del mondo? l?italiano è solo un dialetto fra mille.
Qui passa uno dei tanti incroci del mondo. Per rendersene conto è sufficiente passare in rassegna i negozi della raggiera di strade che partono dalla stazione e si inoltrano verso il cuore del quartiere: sono tutti in gestione o di proprietà di cinesi, nigeriani, senegalesi, marocchini, romeni, argentini; sono minimarket etnici, sartorie specializzate, coiffeur di acconciature afro, negozi di cosmetici, ristoranti e perfino le più occidentali delle invenzioni – i take-away e i fast food – sono stati ?africanizzati?. Gli italiani ormai se ne sono andati tutti. Gli unici superstiti solo quelli della ?piola? (osteria) di fianco alla sinagoga, di fronte a casa mia, e quelli della drogheria ?Da Elsa? dove però al calar del sole, intorno all?ora di chiusura, si ritrovano i filippini che in piedi sul marciapiede bevono birra e si raccontano la loro giornata di lavoro.
Voto per tutti
«A túte le cose a-i-va so temp», è un vecchio proverbio torinese che ben si adatta a San Salvario; negli anni il quartiere è riuscito a superare prove molto difficili, che lo hanno posto sotto i riflettori dell?opinione pubblica facendolo diventare un vero e proprio caso nazionale. Alla gente di qui non piace stare sulle copertine, anche se poi tutti qui dentro hanno applaudito alla decisione di concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati.
San Salvario però è un melting pot molto torinese. L?anima sabauda traspare appena messo piede nel parco del Valentino. Nel parco si trovano la sede del club di scherma e l?Orto Botanico riaperto al pubblico nel 1997; la città è a soli 200 metri ma a me, a noi del quartiere, sembra lontana anni luce grazie all?atmosfera ovattata del boschetto ricostruito a immagine e somiglianza della flora delle zone occidentali della pianura Padana.
E fu vita anche a sera
Dall?Orto Botanico si scorgono i merli delle torri del castello del borgo e della rocca medioevale. Qui da maggio a ottobre è un via vai continuo di giovani sposi in attesa del proprio turno per le fotografie di rito davanti al castello in riva al fiume. Si fa sera e a San Salvario si accende una nuova vita. Le ronde continue delle forze dell?ordine in auto e a piedi non interrompono la notte del quartiere fatta di ristoranti che offrono piatti provenienti da ogni angolo del mondo. In questa tavolozza di colori anche le macchine in doppia fila hanno un loro ruolo.
E’ la vita che prima non c?era, immersa com?era Torino nella monocultura Fiat che mandava tutti a letto presto.
A pancia piena
Prosciutto pepato o toma di lanzo?
Si mangia bene a San Salvario, e la scelta è ampia. Ecco qualche assaggio.
Si va dalla tipica cucina piemontese del ristorante La pace, tel. 011.6505325, a quella toscana dell?Appennino piemontese, tel. 011. 6698426, dove consigliamo zuppa di farro, costatelle e prosciutto pepato. Per chi ama agnolotti all?albese, rustiche alla montanara (lasagnette integrali con patate e toma di Lanzo) e bônet, il posto giusto è il ristorante Dai saletta, tel. 011.6687867.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.