Formazione

Termoli, stretta tra la Fiat e il mare

Qui Molise. La cittadina più industrializzata cerca per sé un futuro diverso. E punta ad Est, ai rapporti con l'altra sponda dell'Adriatico per pensare il suo domani

di Ettore Colombo

Termoli nasconde anche un segreto affascinante: da qui passa il meridiano che fissa l?ora esatta per l?Italia e tutta l?Europa centrale. Per capirci proviamo a fare un ragionamento. Se un italiano deve dare un appuntamento, al telefono, ad un amico giapponese, non deve dimenticare che quando in Giappone è mattino in Italia è ancora sera. Quindi i due orologi segneranno ore diverse. Per risolvere questo problema, nel 1884, al Congresso di Washington, è stato istituito il sistema dei Fusi orari e con essi lo ?standard time? (l?ora ufficiale di riferimento). Cioè si è stabilito di immaginare che il nostro pianeta sia diviso in 24 fusi, partendo (fuso zero) da Greenwich (ora quartiere alla periferia di Londra, sede dell?Osservatorio astronomico reale) e ponendo, ogni 7°30?, un successivo meridiano verso Est o verso Ovest. In ogni nazione, in base alla posizione del proprio fuso è possibile conoscere l?ora di riferimento ufficiale Utc (cioè rispetto a quella di Geenwich). L?Italia è nel primo fuso (-1 Est) ad Est di Greenwich, che va da 7°30? a 22°30? Est, in compagnia di altri stati dell?Europa centrale. Il meridiano centrale di questo fuso, a 15° Est, passa per Termoli-Etna. Quindi il meridiano di Termoli (15° Est) dà l?ora all?Italia e a tutta l?Europa centrale. Il -1 Est dell?Italia sta ad indicare che, per conoscere l?ora di Greenwich (ora Utc), occorre togliere un?ora a quella segnata dall?orologio italiano. Quindi, poiché il Giappone è nel fuso -9 Est, per conoscere l?ora italiana l?amico giapponese deve togliere 8 ore a quella segnata sul suo orologio. Come tanti altri luoghi e forse come nessun altro, Termoli, ?ridente cittadina adriatica? di una regione ancor oggi misconosciuta, il Molise, e suo unico affaccio sul mare, è davvero un ?non luogo?. Cresciuta a dismisura a cavallo degli anni 70 – 80, ?grazie? a un?industrializzazione forzata che rappresentò il sogno di una classe dirigente democristiana modesta ma di qualche ambizione e sogno ?statalista?, gli stabilimenti della Fiat Auto che ne circondarono le porte e ne stravolsero il contado, come tanti saraceni giunti dall?interno e non dal mare, e poi il vero e proprio nucleo industriale che ancora oggi sorge minaccioso – per bruttezza estetica ma soprattutto pericolosità sanitaria e ambientale – al suo ingresso di Nord-Ovest, Termoli più che inurbarsi si è trasfigurata in qualcos?altro. In una cittadina-monstre (30mila abitanti; erano meno della metà negli anni 70) dove ?i termolesi? non esistono più. Punto di transito Nei tratti somatici come nella lingua parlata, nelle tradizioni orali che di solito ancora reggono, nei paesini, come nei modi e nelle abitudini che ?fanno? gli abitanti di ?quel? luogo. Termoli, infatti, è oggi un ircocervo dalle orribili fattezze dove si parlano non solo tutti i dialetti del piccolo Molise (300mila abitanti, 136 paesini arroccati sui monti, un?economia povera e stentata, una classe politica mediocre e sonnacchiosa, una società civile inesistente, ma un?antica, gentile e ritrosa identità che si gode da secoli il bello del pre-moderno), ma anche lingue e dialetti del Piemonte profondo come della Campania periferica, per non dire delle province più tumultuose, infide e scollacciate della vicina Puglia. Ma com?era, invece, Termoli ?ieri?? Per cercarne le tracce e renderle appetibili al casuale visitatore che dovesse transitare da queste parti, magari perché – al solito – pronto a imbarcarsi per le vicine, bellissime eppure sempre più corrotte e corrose isole Tremiti (meno di mezz?ora di aliscafo, collegamenti giornalieri, ricettività scarsa) o perché in viaggio verso il sempre più allettante ?Salentishire? delle Puglie, conviene affidarsi alle parole di un uomo che a Termoli è ancora oggi un?istituzione, lo storico locale Carlo Capella (consigliamo una ?capatina? al suo archivio storico, che s?affaccia sul porto, all?ingresso del cuore antico della città, il paese vecchio). «Per ritrovare Termoli bisogna far girare alla rovescia le lancette del tempo», racconta, «ignorare l?espansione, la crescita e lo sviluppo della cittadina adriatica, infilare perciò la porta del Borgo antico e percorrere lentamente le viuzze, attraverso portichetti in cui sospirano echi lontani, fermarsi nelle piazze minute e guardare, guardare. Qui il tempo filtra nel velo tenue di una foschia indistinta, una luce dorata dai tetti dondola lentamente e si accovaccia tiepida nelle stradine silenziose. Dai muraglioni dei contrafforti che cingono il Borgo antico il mare s?invola inebriandosi d?azzurro; sale dal porto il suono ovattato della sirena di una nave e si acquieta negli angoli deserti». «Su tutto», continua il poetico racconto di Cappella, che condividiamo riga per riga, «sovrasta il Castello e sembra l?altalena dalla quale si sono dipanate le vicende di questa Termoli antica, tutta racchiusa nel quadrilatero delle sue mura alte sul mare». Nel Borgo antico, risalente al V secolo, splendida terrazza sul porto cinta da un?unica grande muraglia percorsa da dedali di viuzze, scrigno di storia che nei secoli ha conosciuto dominazioni, saccheggi, carestie e terremoti, ma anche periodi felici, si trovano i due gioielli della cittadina, quelli per cui vale davvero la pena farle visita, il Castello e la Cattedrale romanica. Sviluppo ad Est La Cattedrale è un monumento unico nel panorama del romanico locale e conserva nei suoi splendidi sotterranei le ossa dei due santi patroni cittadini, Basso e Timoteo. Castello, Cattedrale e Borgo antico, come si capisce dalle parole di Cappella, parlano di un passato che non esiste più, la vita dei pescatori e il fiorente commercio via mare, come testimonia il trattato commerciale stipulato nel 1203 con l?antica Ragusa, l?attuale Dubrovnik, cioè con l?altra sponda dell?Adriatico, o i rapporti con Amalfi, sogni di geopolitica che oggi un sindaco intraprendente, Remo Di Giandomenico, sta cercando di riallacciare immaginando per Termoli uno sviluppo che guarda a Est. Un borgo, certo, che conobbe il massimo splendore sotto la dinastia sveva (fu proprio Federico II a volere la costruzione dell?imponente Castello, detto appunto ?svevo?) quando il suo porto e le sue fortificazioni divennero consistenti e solidi, ma che poi decadde lentamente, tra assedi, saccheggi e incursioni di saraceni, pirati, ottomani. Per secoli la vita di Termoli si è chiusa dentro le mura del Borgo antico, fino al 1847 quando Ferdinando II di Borbone autorizzò i termolesi a edificare anche al di fuori. Da allora, lo sviluppo della pesca e del commercio e la stabilità politica consentirono un rapido sviluppo della città che arrivò, nel primo Novecento, a superare i 5mila abitanti. «U paes? vicchie», come si direbbe in termolese (i detti locali sono ?i tavitt?) è diventato il cuore di molte manifestazioni culturali, folkloristiche e artistiche che, durante l?estate, intrattengono i numerosi turisti. Sono i termolesi che non ci sono più. Mangiare e oltre Piatti di pesce e sere in libreria Per mangiare, a Termoli, c?è solo l?imbarazzo della scelta. La specialità locale è il pesce, che viene fatto in modi diversi e fantasiosi (il brodetto è da leccarsi i baffi, ma anche polipi, cozze, alici e seppie sono ottime e superbamente cucinate). Consigliamo, comunque, tre ristoranti (da Nicolino, Z? Bass, Squalo Blu, San Carlo), tutti dentro il centro storico, con un ottimo rapporto qualità-prezzo (tranne l?ultimo). Da segnalare tra gli indirizzi termolesi quello di una vivacissima libreria, Il Ponte, tel. 0875. 705368, fondata e gestita da un vero intellettuale engagé, che ti consiglia bene e discute i fatti del giorno, oltre che informarti dell?attivismo di successo del locale comitato civico.


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