Formazione

Niger, la fame annunciata

Così il secondo Paese più povero del mondo affronta il dramma di una terribile carestia che ha già colpito 2,5 milioni di persone

di Pablo Trincia

da Niamey (Niger) Nell?afa di una tarda mattinata, una lunga fila di madri si accalca all?ingresso del centro nutrizionale del villaggio di Bermou, a un?ora di macchina dalla città di Tahoua. Pazientemente ognuna di loro regge tra le braccia un bambino, in attesa che qualche membro dello staff dell?organizzazione umanitaria Concern ne controlli lo stato di denutrizione. Ma lo staff è ridotto e, con il passare delle ore, centinaia di altre donne e bambini arrivano dai villaggi circostanti, bloccando quasi interamente la strada. Tra di loro c?è Martin, un inglese che con un metro di plastica misura la circonferenza del braccio di ogni bambino d?età compresa tra uno e sei anni. Se la lunghezza supera i 13 centimetri, la madre riceve un sorriso rassicurante e il diritto a una razione alimentare di una settimana. Se è inferiore, Martin attacca il braccialetto verde alla caviglia del bambino o della bambina: «Malnutrito, da visitare». E di bambini con i braccialetti verdi se ne vedono molti in questo remoto villaggio del Niger centrale, dove da quasi un anno è in atto una delle più gravi crisi alimentari della storia del Paese. Una crisi di cui il Pam – Programma alimentare mondiale, l?agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di portare cibo nelle zone a rischio, aveva già dato notizia lo scorso novembre, tra l?indifferenza generale dei Paesi donatori. Dopo l?arrivo delle principali emittenti internazionali – Bbc e Cnn – e il crescente interessamento di radio e giornali, ora la crisi è balzata agli onori della cronaca, accelerando l?arrivo degli aiuti richiesti per farvi fronte. Nella sede centrale del Pam a Niamey, la capitale, avvisano: «Non usate termini esagerati, non siamo ai livelli di Etiopia e Somalia. Tuttavia, è una situazione che necessita dell?immediato appoggio della comunità internazionale per evitare che si aggravi». I dati sono chiari: 2,5 milioni le persone colpite e, di queste, più di 800mila in modo grave. Perché? Non esiste un?unica spiegazione ma ci sono una serie di circostanze che, mescolate, hanno provocato un cocktail letale che ha affamato migliaia di persone nelle regioni rurali di Maradi, Tahoua e Tillabéry. Il semplice fatto che l?87% della popolazione nigerina dipenda dal 15% di terre coltivabili rende precaria la distribuzione del cibo. Basta uno sciame di cavallette superiore alla norma, una siccità più lunga del solito, un raccolto andato in fumo, ed ecco che sui corpi dei più deboli – vecchi e bambini – il ventre si gonfia e affiorano le vertebre. Se si aggiunge la mancanza d?acqua potabile, la pressoché assoluta carenza di medicinali e di infrastrutture mediche e l?assenza di uno stato sociale in quello che, statistiche alla mano, è il secondo Paese più povero del mondo, il quadro è quasi completo. Quasi. Perché se si fa un giro nelle campagne attorno a Tahoua, dove per centinaia di chilometri ci sono solo sassi e rocce, ci si imbatte nella giovane Aishatu, vent?anni, un figlio di sei e una scheletrica neonata di pochi mesi tra le braccia. Suo marito e quelli di altre come lei se ne sono andati in Libia, Algeria, Nigeria, Benin o Costa d?Avorio a cercare lavoro, lasciandole barcamenarsi tra un sole impietoso e una terra sterile. «Fare arrivare i medicinali e gli aiuti umanitari qui non è affatto semplice», spiega un coordinatore di Concern a Tahoua. «Bisogna mettersi d?accordo con gli anziani dei villaggi che chiedono cibo per tutti, anche per chi non è affetto da malnutrizione. Per questo siamo costretti a mandare gli aiuti fino a quando non riusciremo a trovare una soluzione: chi sta bene se ne torna a casa con il cibo per una settimana, chi sta male per due, chi invece è a rischio per tre». E poi si è dovuto lottare con il governo nigerino che, rivelano fonti dell?opposizione, si sarebbe opposto alla campagna indetta dal Pam e da altre organizzazioni internazionali per non screditare l?immagine del Paese all?estero, cosa che già l?ex imperatore Hailé Selassié fece vent?anni fa durante la grave carestia che uccise centinaia di migliaia di etiopi. Alla periferia di Tahoua, l?ong Medici senza frontiere ha eretto alcuni giorni fa una tendopoli che ospita i casi più seri di malnutrizione infantile. In totale 150 bambini, di età compresa tra i sei mesi e i sei anni, accompagnati dalle madri, molte delle quali poco più che adolescenti. «Vengono tutte dalle zone più povere e arretrate del Paese», spiega Leku, un?infermiera giunta da Niamey. «Molte di loro non si rendono nemmeno conto dello stato di avanzata denutrizione che mette a rischio la vita dei loro figli. Questo è il problema nascosto della crisi alimentare: l?ignoranza». «Guarda laggiù», continua indicando la madre di Abdul Kadir, sei mesi e lo stomaco di chi non mangia da giorni, «il marito è partito per l?Algeria in cerca di lavoro e lei non fa che dannarsi l?anima per non poter tornare al villaggio e verificare se il raccolto è stato buono. Non capisce che, andandosene da qui, suo figlio morirà». Abdul Kadir ce la farà, tra qualche settimana starà bene. Rahmatu invece no. Alcuni mesi fa ha sofferto un?infezione a un occhio, ma nessuno l?ha portata dal medico. Ora la madre le nasconde con un lenzuolo il viso orrendamente tumefatto. La piccola piange dal dolore, ma il medico scuote la testa: «L?infezione è in stato avanzato, non si può fare nulla. è condannata». Per donare: www.savethechildren.it


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