Formazione
Pezzotta: la politica non mangi il sociale
Di rientro dagli Stati Uniti, il segretario cislino allontana le sirene della Margherita e dell'Udc, ma non si sottrae al confronto: «La nostra forza è l'autonomia»
Il segretario è preoccupato, gli uomini che gli stanno più vicini sono preoccupati, persino alcuni esponenti di spicco della sua confederazione sono preoccupati. «I partiti e gli interessi politici che vogliono ?tirare per la giacchetta? Pezzotta – spiegano – hanno due obiettivi ben chiari, davanti: depotenziare il suo ruolo e la sua statura di leader sindacale ma anche e soprattutto cercare di ridurre, ridimensionare l’autonomia della Cisl».
Un’autonomia reale, forte, caparbia, che il suo segretario generale, l’orso bergamasco Savino Pezzotta, non ha alcuna intenzione di dismettere. Nonostante oggi, dopo le molte voci che lo davano pronto per una candidatura con la Margherita, ora ce ne siano altrettante che ne parlano come pronto ad accettare le lusinghe dell’Udc, Pezzotta di buttarsi in politica non ha davvero alcuna intenzione. ?Riesco a fare una cosa sola bene alla volta?, sbotta con Vita. ?Sono stato appena rieletto segretario generale della Cisl con il 95% dei voti. E intendo portare a termine il mio mandato, che scade nel 2008. Non ho altro da aggiungere?. In ogni caso, ora che è appena rientrato dagli Stati Uniti – dove ha seguito per una settimana il drammatico congresso che doveva festeggiare i cinquant’annni di vita del sindacato americano e che invece ha sancito la sua definitiva spaccatura tra le federazioni ribelli della Coalition change to win, guidata da Andrew Stern, leader del potente sindacato dei servizi, e il grosso della Afl-Cio, da oltre 10 anni capeggiato da John Sweeny, che deve subire la continua perdita di iscritti e gravi deficit di bilancio, oltre all’acritico appoggio, fin troppo ostentato (e sempre perdente), al partito democratico Usa – proprio a Vita Pezzotta vuole affidare un messaggio che è insieme di inquietudine (per le spaccature e gli errori che vede profondi, nel sindacato americano) e di rivendicazione della propria autonomia. Soprattutto dalla politica, appunto. Una ?mala pianta? che già ha messo a repentaglio la centralità del sindacalismo negli Stati Uniti e che, ragiona a carte scoperte Pezzotta, rischia di corrompere anche il sindacalismo europeo e italiano in particolare. Specie in tempi di ?bipolarismo forte?.
Vita: Cosa insegna la lezione americana, segretario?
Savino Pezzotta: Innanzitutto vedo, all’interno del sindacalismo americano, uno scontro di potere tra alcune grandi federazioni (servizi, trasporti, commercio) e la confederazione, scontro che mette a rischio la stessa fisionomia del sindacato, che è confederale per scelta, e una polemica, che invece è giusta e fondata, sulla questione delle risorse, che la centrale sindacale Afl-Cio ha utilizzato per troppe volte e in modo troppo massiccio a favore della politica, cioè dei candidati democratici alle presidenziali, e non per il sindacato. La lezione americana che ci viene dal congresso di Chicago ci dice che il valore centrale, per un sindacato, resta quello sul quale la Cisl ha basato tutto il suo congresso, l’autonomia. Nell’organizzazione e tra le organizzazioni. Poi, certo, l’altra grande lezione che ci arriva dall’America è quella che se il sindacato non si innova è destinato a perire o a diventare marginale: non a caso abbiamo giocato tutto il congresso all’insegna della questione sindacale.
Vita: Anche il capitalismo americano non scherza. Mentre di quello italiano si capisce sempre meno?
Pezzotta: Il capitalismo americano sta diventando sempre più aggressivo e violento come il caso di Wall Mart dimostra. Non a caso Stern e la sua coalizione ottengono successo perché chiedono una ?vision?, al sindacato, e di affrontare il tema cruciale dell’innovazione in comparti sempre meno sindacalizzati, come quello dei servizi. Il bene, il valore in sé, è diventato tutto, per i nuovi capitalisti e i nuovi ricchi, non lo sviluppo della società, del bene comune, dunque, ma la logica del profitto per il profitto, sacrificando ogni eticità del fare impresa che pure c’è sempre stata, nel mondo moderno. Per quanto riguarda l’Italia, sono appena rientrato ma certo è che il capitalismo italiano richiese davvero un supplemento d’indagine, quasi una nuova inchiesta, anche da parte nostra. Succedono cose, vedo intrecci e affari strani, che mi inquietano. Le polemiche su Fazio, gli scambi di favori tra il gruppo De Benedetti e quello Berlusconi, i capovolgimenti di fronte nella proprietà di Bnl-Ambro e le strane manovre attorno ad Antonveneta. Fenomeni da seguire con attenzione e preoccupazione.
Vita: Una preoccupazione che, nel caso della scalata della cordata capeggiata da Unipol a Bnl-Ambro, ha messo a rumore non poco il mondo della cooperazione?
Pezzotta: E giustamente, secondo me. La scalata di Unipol indica la distorsione dei fondamenti delle regole che reggono il sistema cooperativo. Immobiliaristi, finanza, banche stanno mettendo a repentaglio tutto il sistema. Il problema è l’idea di società che ne viene fuori, un idea che mi preoccupa.
Vita: Anche questo continuo rapporto ossessivo con la politica che molti, nel sindacato, vogliono stabilire ti innervosisce, mi sembra. Di questi tempi, peraltro, riguarda sempre più spesso la tua persona?
Pezzotta: Ridurre tutto alla politica vuol dire impoverire la società. E lo dice uno che nella politica crede, nel ruolo che può svolgere per migliorare le sorti di un Paese. Ma l’autonomia del sociale è un bene troppo grande perché venga così rapidamente corroso. La tentazione di restringerne gli spazi, vedendo nella politica quasi uno sbocco obbligato, è pericolosissima. Vuol dire non capire il valore della democrazia partecipativa. La politica deve rispondere alle domande che il sindacato, il non profit, la società pongono ad essa, non cercare di occupare tutti i loro spazi e assorbirne le energie.
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