Salute

Le parole che cambiano / Speranza

Per Péguy era la virtù bambina, quella che stupiva anche Dio. Oggi invece è diventata la virtù inutile. Perché siamo disillusi e pragmatici, tutti concentrati nella bolla del presente

di Sara De Carli

speranza, s. f. 1. Fiducia nella realizzazione di ciò che si desidera o si pensa costituisca il proprio bene. Attesa fiduciosa. 2. Ciò che costituisce l?oggetto o il motivo dello sperare. 3. Una delle tre virtù teologali, che consiste nell?attesa sicura della vita eterna (dal Dizionario italiano Sabatini Colletti) Lei invece, la speranza, è proiettata nel futuro. Ma a ben guardare il nostro fine non è mai il presente, è sempre il futuro. E noi in verità non viviamo, ma speriamo di vivere. Per questo, il contrario della speranza non è la disperazione, ma la fretta. E l?indifferenza, che le è inevitabilmente connessa. Mentre la disperazione è piena di schegge di speranza, che sta a noi far riecheggiare. Vita: Professore, ci spiega perché? Eugenio Borgna: La disperazione è nostalgia della speranza. Nella disperazione ci sono comunque alcune scintille di speranza, e infatti è possibile risalire. La pietra tombale della speranza sono l?indifferenza e la fretta, questo nostro essere prigionieri della follia del presente, del conquistare istantaneamente spazi di realizzazione separati dal futuro e dal passato. Il presente è la dimensione più distruttiva che c?è in noi, ci brucia, e, nella fretta, si riempie di contenuti fatti di indifferenza. Vita: Necessariamente? Borgna: Per forza, perché ogni differenza implica riflessione e insicurezza, contemplazione e valutazione, la consapevolezza che ci sono più cose in cielo e in terra di quanto non conoscano le nostre psichiatrie. La fretta è glacialità emozionale, deserto affettivo: un uomo unidimensionale, ma in un senso diverso da Marcuse. Vita: Quindi l?incapacità a sperare è legata allo spirito del tempo? Borgna: L?epoca in cui noi viviamo è segnata dalla frantumazione del tempo, non c?è dubbio. Siamo divorati dal presente, viviamo in un vortice di esperienze puntiformi, segnate dalla discontinuità assoluta: tutto spinge a vivere emozioni istantanee, che a volte diventano passioni e allora hanno in sé una dinamica volta al futuro, ma che in genere si bruciano istantaneamente e per questo vengono percepite come insignificanti, non lasciano traccia sull?esperienza, né sulla memoria e sul futuro. Non per niente la nostra è un?epoca malinconica: la malinconia è legata al fatto che viviamo in un presente sbilanciato verso il passato. La speranza invece vive di futuro. Il problema è che noi oggi non siamo in grado di reggere la dilazione: non dico quella di un futuro lontano, come quello paolino, ma nemmeno quella di un tempo appena un po? futuro. La speranza è inevitabilmente connessa con l?attesa, è esperienza di un tempo da giardiniere: lento, trasfigurato, contrapposto all?immediatezza delle cose che si vogliono ottenere? Bauman parla di relazioni fluide che non hanno consistenza perché sono segnate dall?istantaneità e dalla liquidità: in un contesto così è ovvio che la speranza diventa qualcosa di inutile. Vita: Però lei quando depreca la fretta, la collega all?indifferenza? Borgna: Sì. La speranza si presenta sempre come apertura: apertura nel tempo, apertura al futuro, alla trascendenza, all?altro. La speranza è la premessa all?essere insieme agli altri nella solidarietà e nella comunione, tende alla riconciliazione e alla riunificazione: in questo senso è la memoria del futuro. Maria Zambrano parlava della speranza come di un ponte che ci fa uscire dalla nostra solitudine e ci mette in una relazione senza fine con gli altri. Infatti si dice «io spero in te» e «io spero per noi». La disperazione invece trascina fatalmente nella solitudine. Paul Celan diceva che avrebbe bruciato tutte le sue poesie in cambio di una stretta di mano che sapesse rivoluzionare il suo mondo. Questa dovrebbe essere un?indicazione preziosa per tanti nostri rapporti, soprattutto con chi sta male. Vita: In che senso? Borgna: Dirò una banalità: le parole hanno conseguenze che non conosciamo, imprevedibili, ma che crescono e hanno senso solo dentro la relazione che stiamo vivendo. Quando lo leggi in Gadamer sembra una cosa teorica, ma dentro la mia esperienza di psichiatra acquista una concretezza incredibile. Dal modo in cui incontriamo gli altri derivano conseguenze inattese: da quello che diciamo ma anche dai silenzi che abbiamo, perché certe cose sono indicibili, possono solo essere alluse. Il modo in cui stringo la mano a un paziente è già fare terapia, perché con una stretta di mano trasmetto indifferenza, ironia, compassione, speranza, o attesa. L?esperienza clinica, analizzata anche statisticamente, ha dimostrato che sono di gran lunga più terapeutici i medici che vivono in sé la speranza, almeno come apertura a un?area di mistero. Ciascuno di noi ha il dovere di riattizzare scintille di speranza, soprattutto là dove si sono spente. È il modo in cui ci si mette ad ascoltare, la ricerca spasmodica e drammatica delle parole che aiutano, che spesso non sono così diverse dalle altre che non aiutano, la capacità di cogliere le risorse ancora presenti nel cuore dell?altro. Vita: Vorremmo saperlo fare tutti, ma non è così facile? Borgna: Si è portatori di speranza anche quando il dolore ci abita. Le schegge di speranza negli altri, anche in chi è depresso, addirittura in chi vive una depressione patologica profonda e radicale, possono essere fatte risuonare quando noi per primi viviamo la speranza. Allora facciamo eco. Sperare significa fare in modo che la memoria non si interrompa, immergere le relazioni in un orizzonte di futuro, e soprattutto non imprigionarsi dentro quella condizione autistica di chi considera la vita come un semplice susseguirsi di cause naturalistiche che possono essere previste, in una logica rigorosamente organicista. Vita: Questa dimensione trascendente trasforma necessariamente la speranza in virtù teologale? Borgna: No, assolutamente. Anzi, già la definizione di virtù un po? limita l?infinitudine semantica e profetica della speranza. Anche se è chiaro che quando la struttura antropologica della speranza si allea con un?interpretazione religiosa, la speranza stessa diventa più forte, allarga i confini della resistenza e soprattutto allontana la tentazione della morte volontaria. Lo sperare contro ogni speranza di san Paolo è essenziale per chi ha una percezione della vita segnata dalla grazia, ma rimane sullo sfondo di ogni esperienza autenticamente umana, perché coglie tutta la fragilità e ambiguità delle nostre speranze. Esiste una speranza metafisica che è più originaria, profonda e radicale delle speranze quotidiane, e che non ha bisogno di essere irrigidita dentro schemi teologici. Possiamo negarlo, se vogliamo, ma allora neghiamo i significati più palpitanti di ogni relazione umana? Vita: Ci spiega meglio questa differenza? Borgna: Quella tra speranza metafisica e speranze concrete sembra una differenza nominalistica, e invece ascoltando i pazienti si capisce quanto è reale. Non tutti sono in grado di darle questo nome, ma il dato psicologico e umano è questo: c?è un nocciolo di speranza originaria che anche nella malinconia e nella disperazione sopravvive al declino delle speranze quotidiane concrete. E che riacquista vigore prima che rinascano le singole speranze. La speranza originaria è atematica, diversamente dalle speranze quotidiane (spero di guarire, spero di trovare un lavoro?). Si tratta di far esplodere la dimensione metafisica dell?esistenza, al di là delle incrostazioni che la pietrificano, per allargare il senso della nostra vita. E questo, ripeto, lo si può fare soltanto allargando lo spessore delle relazioni che abbiamo con gli altri, in una prospettiva sia umana sia trascendente. Questo è fondamentale, soprattutto per affrontare la depressione adolescenziale. Vita: Perché? Borgna: I giornali e la televisione generalizzano, ma le depressioni esistenziali sono ben diverse da quelle patologiche. Leggendo i giornali sembra che la depressione sia capace di generare il suicidio, ma non è così. Al suicidio ci si arriva quando la malattia si sostituisce alla libera scelta di una persona, è un atto di illibertà. Negli adolescenti invece l?autodistruttività dipende da altro, fondamentalmente dalla mancanza di senso che avvertono nelle relazioni e nei modelli di vita proposti dagli adulti. Oppure alla scarsa autostima, legata al fatto che ciò che io sono dipende sempre e comunque da ciò che gli altri dicono di me. Uno degli errori psicologici più diffusi nelle scuole è quello di confondere la timidezza con un segno di inattualità, fallimento e scacco: è terribile, è il misconoscimento della mia identità da parte degli adulti. E si prescrivono antidepressivi a bambini di otto anni, nell?illusione illuministica che la felicità si raggiunga con metodi farmacologici e pragmatici. Vita: Professore, ma alla fine che cos?è la speranza? Borgna: È lo slancio vitale che ci fa oltrepassare il fascino del presente e la tentazione del reale. La speranza ci fa oltrepassare la soglie dell?empirismo, dell?immediato, del desiderio che chiede di essere realizzato e si apre al mistero, che non è necessariamente una dimensione religiosa, ma è prima di tutto qualcosa di umano. Ma l?immagine di Péguy resta la più bella: la piccola bambina speranza è quella che fa muovere il mondo. Chi è Eugenio Borgna. Lo psichiatra camaleonte ? Eugenio Borgna, classe 1930, è primario emerito di psichiatria dell?Ospedale Maggiore di Novara e docente all?università di Milano. Tra i suoi molti lavori, ricordiamo L?attesa e la speranza e Le intermittenze del cuore.


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