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Cara banca, fidati di pi
La microfinanza ha un tasso di insolvenza bassissimo. Ma gli istituti cercano sempre delle supertutele. Così il sistema del piccolo credito in Italia arranca
Che ne sarà del microcredito che ?soffre? per via dei processi in corso? Commentando sul numero scorso di Vita la vicenda Unipol-Bnl, Aldo Bonomi poneva questa domanda cruciale. Non è che con il prestar tanta attenzione all?alta finanza, era il suo ragionamento, finiscono per rimanere schiacciati due fenomeni appena nati: banca etica e, appunto, il microcredito? A guardare i dati che emergono dal primo rapporto sul microcredito in Italia, realizzato dalla società di consulenza Borgomeo&co per conto di Unicredit, sembrerebbe che questo rischio non solo esista ma che debba essere anche al più presto scongiurato.
Sì, perché se è vero che negli ultimi anni il fenomeno microcredito, sull?onda dei brillanti risultati conseguiti in Bangladesh dalla Grameen Bank di Muhammad Yunus, è assurto agli onori delle cronache; che le Nazioni Unite hanno deciso di proclamare il 2005 Anno internazionale del microcredito; che eventi recenti purtroppo tragici come la guerra in Kosovo e lo tsunami nel Sud-Est asiatico ne hanno esaltato le peculiarità di strumento per la ?ricostruzione?, è anche vero che per ogni contesto c?è bisogno di una declinazione ad hoc dello stesso.
«Applicare in Italia il ?software? microcredito dei Paesi poveri», spiega Carlo Borgomeo, presidente della Borgomeo&co, «è profondamente sbagliato. Yunus va bene in Bangladesh, di certo non in Italia. La funzione del microcredito in Italia è ben altra, assume il significato di mostrare concretamente come nel nostro Paese può essere correttamente praticato il diritto al credito».
Lo studio, infatti, è eloquente in proposito: al 31 dicembre 2004, sono stati rilevati complessivamente 59 programmi di microcredito (ad esclusione del prestito d?onore), di cui 40 in corso e 19 non ancor avviati. Il 59% dei programmi hanno finalità di sostegno finanziario indistinto, il 32% riguardano invece l?avvio di un?attività economica mentre solo nel 9% dei casi si tratta di prestiti agli studenti. Una percentuale troppo bassa per un Paese con un diritto allo studio fortemente penalizzato da difficoltà reddituali ma dove è diffuso il lamento per la scarsità di cervelli.
Inoltre, è emblematico che tra i soggetti promotori di iniziative di microcredito, ben il 41% sia rappresentato da soggetti privati estranei al mondo bancario (fondazioni non bancarie, diocesi, enti non profit, Mag), il 32% da soggetti pubblici (università, Regioni ed enti locali) e appena il 27% dal mondo bancario (fondazioni bancarie, banche locali e nazionali). Come a dire, ce ne vuole ancora affinché la cultura del microcredito entri diffusamente nelle strutture creditizie ?tradizionali?. Un fatto, questo, confermato peraltro da un altro dato significativo: i prestiti sono concessi sulla base di una garanzia fornita nel 42% dei casi da fondi pubblici e nel 34% da fondi privati. Ebbene, i programmi che si avvalgono di impieghi bancari utilizzano nell?86% dei casi la garanzia pubblica mentre, ovviamente, i programmi che utilizzano raccolte private prevedono al 100% un fondo privato di garanzia.
Insomma, anche su piccoli prestiti, le banche cercano supertutela. Una precauzione che, tuttavia, sembra rivelarsi eccessiva visto che il tasso di insolvenza è bassissimo, dell?ordine del 5-6%.
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