Mondo

Oltre il melodramma

Un film che affronta temi forti, ma che grazie a uno stile lirico e mai esasperato riesce a mantenere l'equilibrio. Un'altra sorpresa dal bravissimo Kim Ki-duk

di Maurizio Regosa

Tecnicamente La samaritana è un melodramma.

A Seul, la giovanissima Jae-Young si prostituisce grazie alla alleanza di Yeo Jin, la sua amica del cuore. Scoperta in una camera d?hotel dalla polizia, si getta dalla finestra e muore. La sua complice decide di ?vendicarla? andando a letto con tutti i suoi clienti e restituendo loro il denaro che avevano dato alla defunta. Nel frattempo però il padre scopre come Yeo Jin passa i pomeriggi e a sua volta decide di intervenire, spingendo al suicidio o uccidendo alcuni degli amanti.

Come si vede, una trama infarcita di eventi dalle conseguenze ineluttabili, di colpevoli per definizione (gli adulti a caccia di minorenni, come le ragazze troppo «al di là del bene e del male»), e di archetipi straordinariamente puntuali (la colpa, la sanzione). Tuttavia solo tecnicamente questo è un melò. Giacché se i temi sono forti (anzi fortissimi), lo stile del racconto tende con sistematicità a smorzarli, ottunderli, attutirli: come se il bravissimo Kim Kiduk (il regista di Primavera, estate, autunno, inverno? e ancora primavera e di Ferro 3) volesse creare una specie di tensione fra forze differenti. Da una parte i terribili fatti che racconta e il vissuto soggettivo di quegli stessi fatti, assumendo prima il punto di vista di Yeo Jin (ed è puro romanzo di formazione) e poi quello di suo padre (e qui il film si concentra sul tema dell?innocenza perduta e del dolore che tale distacco provoca). D?altra parte questi eventi sono riassorbiti in una normalità pacata, attutita appunto, fatta di accettazione, di mediazioni con se stessi, di piccoli umanissimi sotterfugi. Lo si vede bene in alcune scene, strutturate grazie a dettagli magari non troppo evidenti ma estremamente significativi. E grazie a uno stile che non esaspera quasi mai, come dimostra la pur angosciante scena del suicidio e il successivo tentativo di Yeo Jin che porta sulle spalle la sua amica fino all?ospedale.

Ma se questa tensione produce equilibrio e sottrae pathos, spingendo noi spettatori a concentrarci più sulla radice dei mali che sulla loro epifania, ha pure il merito di spostare il centro d?interesse altrove, su un tema che per così dire sovrasta quelli espliciti. È il logoramento dell?esistenza, quello di cui Kim Kiduk ci parla. Un logoramento che ci ottunde, del quale siamo sovente del tutto inconsapevoli e al quale dobbiamo, infine, dire grazie. È anche per il suo tramite che ci è possibile continuare a vivere, a sorridere, a far finta di nulla.

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