Formazione

Maroni in cerca di sprint

Cosa può fare il governo per favorire la crescita della responsabilità sociale? Il titolare del ministero lo ha chiesto agli industriali riuniti negli stabilimenti della Ferrari.

di Francesco Maggio

Da un lato c?è chi, come si suol dire, va piano, e vuole andare ?sano? e lontano: ossia il ministero del Welfare e il suo titolare Roberto Maroni, che già da alcuni anni si è fatto promotore, con iniziative ad hoc, della diffusione della csr tra le imprese italiane. Dall?altro, invece, c?è chi lontano ci va correndo più di tutti, bruciando sui circuiti di Formula 1 record su record (anche se ultimamente arranca un po?) e che rappresenta, secondo i sondaggi di mezzo mondo, il luogo ideale per lavorarci in virtù dell?attenzione che presta alle esigenze dei dipendenti, ai benefit che concede loro, alla qualità del disegn degli spazi lavorativi, ai processi produttivi a ridotto impatto ambientale: ossia la Ferrari. Cos?hanno in comune? Che entrambi hanno deciso di viaggiare insieme provando ad andare lontano nella stessa direzione. Almeno in fatto di responsabilità sociale d?impresa. Giovedì 14 luglio, infatti, a Maranello, nello stabilimento del Cavallino rampante, Maroni e Montezemolo hanno organizzato l?incontro Csr in pole position per fare il punto su un fenomeno in costante crescita ma anche pericolosamente a rischio ?effetto moda?. All?evento è prevalsa la consapevolezza che la csr, opportunamente integrata nella strategia aziendale, possa permettere alle imprese di rafforzarsi e diventare sempre più competitive. Ma quanto può fare davvero il governo per scongiurare il suddetto pericolo? E le imprese, sono disposte a passare definitivamente dalle parole ai fatti? «Si tratta di un?iniziativa interessante», risponde Angelo Bettinzoli, amministratore delegato della Sabaf, tra i pionieri della csr in Italia, «se il governo organizza un evento simile in un?azienda nota in tutto il mondo vuol dire che c?è da parte dell?esecutivo sensibilità per il tema, c?è una visione non convenzionale della libera impresa, non limitata alla sola concezione liberistica». «Ritengo però», aggiunge Bettinzoli, «che bisogna stare attenti a ?istituzionalizzare? un fenomeno che deve rimanere incentrato, invece, su scelte prevalentemente volontaristiche. La csr non può essere fatta per decreto. L?evento è un segnale forte perché non si tratta della lodevole iniziativa di una qualche società bensì del governo. Che poi, però, ciò riesca a ?sminare? l?effetto moda, non lo so, non lo credo. Ho visto personalmente imprenditori dichiararsi campioni della responsabilità, della centralità dell?uomo nella propria azienda, ma i fatti, la loro storia, testimoniavano tutt?altro». Più ottimista si mostra Carlo Secchi, già rettore della Bocconi e presidente della neo Fondazione per la diffusione della csr, promossa proprio dal governo insieme alla Bocconi, l?Inail e Unioncamere: «Oggi le imprese hanno vinto tutta una serie di diffidenze che avevano nei confronti della responsabilità sociale. Hanno innanzitutto capito che non è vero che csr vuol dire più burocrazia. Anzi, si sono accorte che tenere sotto controllo tutta una serie di indicatori socio-ambientali, attivare un dialogo franco e aperto con tutti gli stakeholder si traduce in un vantaggio competitivo». «Uno dei punti cardine della csr», aggiunge Secchi, «è che la sua corretta integrazione nella strategia aziendale permette una profittabilità non solo nel breve ma anche nel medio-lungo periodo. In altre parole, utili ed etica non sono in contraddizione. Anzi?.».


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