Non profit

L’Africa, stanca di aiuti

«Negli ultimi 40 anni abbiamo ricevuto 250 miliardi di dollari e siamo più poveri di prima». Sei autorevoli editorialisti del continente fanno un bilancio del vertice di Gleneagles.

di Joshua Massarenti

Sono tutti giornalisti. Africani, ma soprattutto influenti. Perché presenti al vertice degli organi di stampa più autorevoli dell?Africa. Nel caso di Madeleine Mukamabano, alla guida di una trasmissione panafricana seguitissima di Radio France International (Rfi). Quindi temutissimi dai loro governanti e apprezzatissimi da un?opinione pubblica, quella africana, assetata di informazione rigorosa e indipendente. Al cospetto degli attentati che hanno devastato Londra e scioccato le loro coscienze, i loro occhi erano tutti puntati sul Summit di Gleneagles. Laddove il premier inglese Tony Blair ha imposto ai suoi sette omologhi più potenti del mondo l?obbligo di porre l?Africa e la sua povertà in cima all?agenda del G8 conclusosi lo scorso 8 luglio tra la soddisfazione generale dei leader africani presenti in Scozia e l?amarezza delle più importanti charities internazionali. All?unisono, hanno salutato positivamente la capacità di Blair a focalizzare il G8 sull?Africa. Ma ai complimenti introduttivi si sono rapidamente sostituiti giudizi severi allorquando si è trattato di affrontare, punto per punto, gli accordi principali raggiunti nel Summit di Gleneagles. Impietoso il commento generale di John Masthikiza, columnist del quotidiano sudafricano Mail & Guardian, secondo il quale «l?iniziativa di Tony Blair non cambia assolutamente nulla nel rapporto tra Occidente e Africa». Quindi a nulla avrebbe servito la decisione presa dal G8 di cancellare il debito multilaterale di 14 Paesi africani? «No», sostiene l?editorialista del quotidiano finanziario sudafricano Business Day, Jonathan Katzenellenbogen, «perché si tratta comunque di un passo avanti». Di parere contrario è Madior Fall, direttore editoriale del principale organo d?informazione indipendente senegalese, Sud Quotidien. Fall infatti ricorda «che alla vigilia di Gleneagles, l?Unione africana aveva richiesto ufficialmente la cancellazione totale del debito africano». Un?illusione su cui si esprime a ruota libera Andrew Mwenda, editorialista del quotidiano indipendente The Monitor. Invitando Vita a entrare nel merito della questione, Mwenda prende l?esempio dell?Uganda, che «nel 1998 aveva un debito di 3 miliardi di dollari. Nel 2000, ben due miliardi di dollari furono condonati. Ma oggi il debito ugandese è risalito a cinque miliardi di dollari». Il commento finale è senza appello: «La cancellazione di un debito può fare più male che bene». «Peggio», aggiunge Fall, «le cancellazioni di debiti non portano soldi freschi, vitali per il continente». Conscio che il condono non basta, il G8 ha pensato limitare i danni promettendo di accrescere gli aiuti pubblici allo sviluppo di oltre 25 miliardi di dollari entro il 2010. Una promessa alla quale nessuno crede più. «Questa storia va avanti da anni», è il commento lapidario di Madeleine Mukabano. «Già negli anni 70 i Paesi dell?Ocse intendevano riservare lo 0,7% del proprio Pil agli Aps. Oggi non si arriva nemmeno a quota 0,4%». Lo stesso scetticismo prevale in Andrew Mwenda, disgustato solo a sentir nominare la parola Aps: «Mi basta ricordare che negli ultimi quarant?anni, l?Africa ha ricevuto ben 250 miliardi di dollari in aiuti, eppure è ancora più povera di prima». Ma allora a chi la colpa? Tutti denunciano la perversione del sistema aiuti che non fa altro che porre gli africani in sudditanza agli occidentali. Ma altrettanto forte è la consapevolezza che i leader africani hanno responsabilità enormi in questo spreco di denaro. Di nuovo Mwenda: «Oggi lo Stato ugandese riesce a raccogliere solo il 57% delle tasse. Ma i governanti se ne fregano perché il 43% restante è colmato dagli aiuti. Niente da fare», prosegue disilluso. «Gli aiuti viziano governi ultracorrotti che passano più tempo a chiederne altri aiuti piuttosto che a creare un sistema produttivo efficiente». Di Aps, debiti cancellati e good governance Vita ha parlato insieme al pluripremiato giornalista algerino Omar Belhouchet, direttore responsabile di El Watan. La sua sembra una voce fuori dal coro perché «il caso dell?Algeria non può essere paragonato al Mali o al Niger». In che senso scusi? «Intanto, di fronte alla massa di denaro che ci sta piovendo addosso grazie ai proventi petroliferi, possiamo fare tranquillamente a meno degli aiuti. E nemmeno il nostro debito ci può spaventare perché di fronte ai suoi 20 miliardi di dollari di debiti, l?Algeria può contare su introiti annuali pari a 40 miliardi di dollari». Una manna destinata a dilagare «perché il prezzo del barile potrà solo aumentare», dando così via libera ai sogni del presidente algerino Bouteflika: un piano di sviluppo che prevede investimenti interni pari a 50 miliardi di dollari da qui al 2010. Ma l?Algeria è pronta a assorbire un tale flusso di denaro? «No», taglia corto Belhouchet, «per il semplice motivo che l?amministrazione pubblica algerina è non solo impreparata, ma pure corrotta». Risultato: «I bisogni degli algerini rimangono enormi». Forse, a detta di Belhouchet, «qualcosa cambierà con la nostra entrata nel Wto perché questo tipo di istituzioni spingerà il nostro governo a avviare un vero programma di riforma amministrativa». Già, il commercio internazionale. E le sue regole inique. «Anche in questo caso», si lamenta il senegalese Fall, «il G8 non ha fatto nulla rimandando tutto al Summit di Hong Kong del prossimo dicembre». Eppure, il problema dei sussidi occidentali ai propri prodotti agricoli e tessili, e le barriere doganali da loro imposte per frenare le importazioni di prodotti africani rappresentano agli occhi dei giornalisti interpellati un problema ben più importante rispetto agli aiuti e ai debiti condonati. Anche se non risolutivo. Per Katzenellenbogen, «il buon esito di Hong Kong dipenderà molto dal compromesso che Blair e Chirac raggiungeranno sulla questione dei sussidi agricoli che il premier inglese intende eliminare». Di parere diverso è invece Fall che prende ad esempio la battaglia del cotone. «Se il Wto ha costretto il governo statunitense a ridurre i sussidi ai propri produttori di cotone, lo si deve in parte al sostegno che tutti i Paesi dell?Africa occidentale hanno rivolto al Burkina Faso in questa sua battaglia». Nonostante ciò, non tutti rimangono convinti che l?instaurazione di rapporti commerciali più equi tra Nord e Sud del mondo consentirà all?Africa di estirparsi dalla miseria. La riflessione conclusiva spetta a Madeleine Mukamabano, convinta che «non basterà far penetrare i nostri prodotti nei mercati ricchi per risollevare l?Africa. L?Europa non si è sviluppata esportando il suo acciaio ma, così come i dragoni asiatici, ha trasformato la sua economia con la nascita di un?industria di trasformazione. Quindi la svolta potrà compiersi soltanto con un flusso massiccio di investimenti diretti e l?affermazione di un settore produttivo capitanato da industrie in grado di trasformare le nostre materie prime. E solo un settore produttivo solido può creare impieghi, la vera cosa di cui gli africani hanno bisogno». Aiuti: il documento del G8 Africa: A historic opportunity. Il titolo va ricordato perché destinato, nel bene o nel male, a entrare nella storia di questa stramba istituzione che è il G8. Presentato al Summit di Gleneagles, il documento stilato dalle otto più potenti nazioni del mondo fissa in dieci pagine e 35 capitoli (più due appendici) una serie di impegni per far fuoriuscire l’Africa dalla povertà. Tre sono le aree di intervento in cui il G8 è stato chiamato a orientare gli sforzi maggiori: gli aiuti pubblici allo sviluppo, il debito e il commercio internazionale. Da parte loro, i leader africani si sono impegnati a promuovere «pace, democrazia e politiche di buon governo». I finanziamenti allo sviluppo hanno rappresentato una sfida cruciale per il G8. Nella volontà di concedere all?Africa (ma non solo) un?opportunità storica, «i Paesi del G8 e di altri donatori hanno preso l?impegno di aumentare l?aiuto in vari modi, compreso il tradizionale aiuto allo sviluppo, l’alleggerimento del debito e meccanismi finanziari innovativi». Per l?Africa, si prevede un aumento degli aiuti «di circa 25 miliardi di dollari da qui al 2010», mentre «l?aiuto pubblico annuale consentito dal G8 all?insieme dei Paesi in via di sviluppo aumenterà di circa 50 miliardi di dollari entro il 2010». L?Ue si impegna a raddoppiare i suoi aiuti tra il 2004 e il 2010 da «34,5 miliardi di euro a 67 miliardi», con «almeno il 50% di questo aumento da riservare all?Africa subsahariana». Gli Stati Uniti «propongono di raddoppiare l?aiuto all?Africa tra il 2004 e il 2010». Da parte sua, il «Giappone intende accrescere il volume degli Aps di 10 miliardi di dollari». ha collaborato Pablo Trincia


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