Mondo

Teheran, il paese giovane affondato dai giovani

L'astensionismo delle nuove leve ha portato al trionfo i conservatori

di Gianluca Iazzolino

Teheran, luglio

Foad va sempre di fretta. E va decisamente contromano rispetto all?Iran uscito dalle urne del 25 giugno. Quando corre a tavoletta sulla Valiasr avenue, l?arteria che taglia Teheran da nord a sud come un fiume d?asfalto che nasce dai monti Elborz. O quando è a pranzo allo Jam-e-Jam, il food court dove i giovani alla moda si ritrovano per scambiarsi occhiate ed sms attorno a sushi o cibo tex-mex. O ancora quando parla del ristorante che ha appena aperto nella zona nord di Teheran, Gilac, cioè «del Gilan», la regione nel nord ovest dell?Iran che costeggia il Mar Caspio. «È il futuro», dice orgoglioso. Poi indica le sagome nere dei basiji, la polizia religiosa, camicie e barbe scure fermi a bordo strada. «Quelli sono il passato». Poco tempo fa, sono andati a trovarlo nel suo locale, attorniato da giardini e candidi palazzi svettanti. Gli hanno chiesto perché la scritta in caratteri latini era più grande di quella in farsi. Foad ha risposto con una busta gonfia, sigillata. È bastata. «Questo è il presente. Funziona così». Due aspetti saltano all?occhio quando si attraversa Teheran, quasi rischiando la vita nel traffico selvaggio che l?anima fino a notte fonda: la quantità di giovani in occhiali da sole, capelli ingellati e t-shirt, mano nella mano con ragazze dai foulard a colori sgargianti, pantaloni alle caviglia e strati di rimmel in viso; e le gru che puntellano l?orizzonte. Bikini e chador «Teheran sta scoppiando. Comincia a crescere in altezza», dice Reza, un tassista che lavora per un?agenzia di auto a noleggio. 12 milioni di abitanti che durante il giorno toccano i 15 per i pendolari che arrivano dai dintorni. Una cappa di smog che grava sull?area urbana e che fa della capitale della Repubblica islamica una delle città più inquinate al mondo insieme a Pechino e Città del Messico. E un divario sociale che si riflette alla perfezione nella topografia, con un Nord, sulla fresca pendice dei monti, opulento e in crescita costante e una periferia Sud già lambita dal deserto, immobile nella miseria e nella devozione religiosa. È questa spaccatura che le elezioni hanno messo in luce: i valori rivoluzionari (l?Islam e la riscossa degli oppressi) sono intoccabili ancora oggi e raccolgono montagne di consensi. Eppure la generazione post rivoluzionaria dichiara di trovarsi molto più a proprio agio nei club e nelle discoteche di Dubai, appena un?ora di volo, dove chi può passa il weekend sostituendo il bikini al chador. «Qui si possono fare un sacco di soldi », dice Payan, tornato a Teheran quando aveva 23 anni, una laurea a San Diego e parecchie conoscenze di famiglia. La miniera d?oro è il settore dell?edilizia. Ma i nuovi ricchi di Teheran sono pronti a saltare da un momento all?altro sul bottino più succulento: quello messo a disposizione dalle privatizzazioni. Il petrolio, ovviamente, farebbe la parte del leone (una miniera che nel 2006 potrebbe valere 3 miliardi di dollari all?anno). Se si realizzasse quello che molti temono, il tanto abusato modello cinese già usato per spiegare il futuro dell?Iran potrebbe essere soppiantato da uno russo, con la torta spartita da una ristretta cerchia di oligarchi all?ombra degli ayatollah. Sognando California Finora le privatizzazioni sono andate a rilento ma la necessità di immettere il Paese nell?economia globale, attirando gli investimenti esteri, è condivisa anche dal sorprendente vincitore Mahmood Ahmadinejad. La questione non è più su quanti nuovi grattacieli sorgeranno a nord di Teheran, ma chi li erigerà. I giovani, i tre quarti della popolazione iraniana, sono affamati di sogni. La disoccupazioneè al 25%. «Voglio andare in un Paese dove posso baciare la mia ragazza per strada», dice Hamid, studente di Scienze politiche che traduce Bakunin dal francese in farsi. Ma per farlo ha bisogno del passaporto, e per averlo deve fare il servizio militare. Secondo Soharb, redattore in una rivista giovanile online, i giovani si sono allontanati dalla politica attiva nel 97, dopo che un?ondata di proteste nei campus universitari aveva portato alla violenta reazione del sistema. «Allora molti hanno cominciato a pensare alla fuga, o a fare protesta con le arti o ancora a integrarsi nel sistema, usando il denaro per rafforzare il proprio status sociale». L?insofferenza verso il regime dei mullah spinge il Nord ricco verso una secolarizzazione rabbiosa, ma crea dei paradossi nel rapporto con la religione che le relazioni di classe non riescono a spiegare. Come quello della famiglia di Maryam, designer e discendente di un?antica famiglia kagiara, l?aristocrazia persiana. Lei, cresciuta a Teheran, consuma moda e sigarette. Il fratello, nato e cresciuto a Santa Barbara dal matrimonio di primo letto di suo padre, si è fatto crescere una lunga barba ed è tornato in Iran per trovare una brava moglie islamica. I videoclip di Persian Music Television, trasmessi dagli Stati Uniti (propaganda del nemico, accusano i mullah) iniettano abbondanti dosi di mito a stelle e strisce nelle vene della gioventù iraniana che sogna Lamborghini o una carriera da star dell?hip hop. Sfrecciano davanti ai murales dei martiri della guerra contro l?Iraq, che campeggiano sugli edifici di Teheran, enelle conferenze universitarie rispolverano i canti rivoluzionari. Ma dalle terrazze delle loro case i nuovi ricchi aspettano fiduciosi che il sole dell?avvenire sorga sui loro nuovi grattacieli o sui resort dell?isola di Kish, il tropico persiano nel Golfo Persico. Naturalmente si sono guardati bene dall?andare a votare il 25 giugno. Stappano champagne, ballano fino alle prime ore dell?alba, quando i basiji, in rispettosa attesa fuori dal portone , aspettano le ospiti per accertarsi che il canto del muezzin le colga velate. Chi è il presidente da 5 dollari L?elezione di Mahmood Ahmadinejad ha rivelato al mondo una divisione dell?Iran profonda e sottovalutata dall?Occidente, illuso dalle manifestazioni dei giovani nelle piazze e nelle università. Buona parte di quel 60 % di elettori che lo ha scelto come presidente guadagna poco più di 5 dollari al giorno e vede nell?ultraconservatore ex sindaco di Teheran una speranza per quella larga fascia di popolazione ignorata dai riformisti. Dipinto dai propri sostenitori come un Robin Hood determinato a risolvere le preoccupazioni quotidiane della povera gente, Ahmadinejad ha avuto gioco facile contro un fronte riformista fiacco e deluso che ha disertato le urne. Ahmadinejad non ha perso occasione di sottolineare l?esiguità delle proprie entrate e pronto a lamentarsi del tempo che i figli passano su Internet. Lo spettro di un estremista retrogrado paventato dai riformatori non ha avuto presa, mentre gli elettori hanno visto l?umile servitore pronto a imporsi sacrifici per la gente.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.