Formazione

Le parole che cambiano – Aspettative

Luca Doninelli: «Anche se sono un semplice ciabattino mi aspetto tutto dalla vita, e infatti canto: queste sono le aspettative»

di Sara De Carli

aspettativa, s. f. 1. Attesa; specialmente plurale: speranze, previsioni. (dal dizionario italiano Sabatini Colletti)

Al tavolo della cucina, prima di salutarmi, prende il mio block notes e ci disegna una dettagliatissima piantina della zona attorno a casa sua. Io sono il pallino nero, che rimbalza verso la fermata del bus giusto per tornare in redazione. «Disegnare piante è la mia passione», confida con l'aria di un bambino che ha appena disegnato la mappa dell'isola del tesoro. L'amore di Luca Doninelli per Milano si vede anche da qui, dalla cura con cui traccia le curve e scrive i nomi delle strade. «Hemingway diceva che ci sono città che per scrivere sono meglio di altre: è vero. A me piacerebbe abitare a Parigi, ma so che non ci scriverei il romanzo della mia vita. Milano invece è una città calda, è un bel posto per scrivere: c'è il demone, il diavolo della rivolta e dell'insurrezione». Di cui anche questo suo ultimo libro, Il crollo delle aspettative, è figlio.

Vita: Come è nato questo libro?

Luca Doninelli: Amo molto Milano, eppure da un po? di tempo ogni volta che si parla di Milano mi annoio: la capitale morale, il problema della sicurezza, la viabilità? Ma Milano non è queste cose. Andando in cerca della Milano vera mi sono imbattuto in una parola, aspettative, che invece mi sembra la parola giusta: per la differenza di potenziale che racchiude tra la grandezza di un'anticipazione e la difficoltà di reperire risultati.

Vita: Quale dinamica c'è tra i due poli?

Doninelli: Quando uno mette in atto un progetto, si aspetta di realizzare qualcosa. Questo vale anche se si parla di un progetto di città: una città che non ha progetti è un sito archeologico. Prendiamo Parigi: camminando per strada hai la sensazione di una città che è stanca che succedano cose, ne sono successe talmente tante che dice «basta, che succedano da altre parti!». Mosca invece è una città elettrica da far paura. Come New York, che ha bisogno continuamente di ri-essere la capitale del mondo.

Vita: Le aspettative sono collegate alla progettualità?

Doninelli: Sì, ma per progettualità intendo la vita, non un progetto scritto a tavolino. La grandezza di un progetto è pari alla grandezza delle sue aspettative. Aspettativa non vuol dire che attendiamo che succeda qualcosa: è mettere in atto qualcosa che muova le acque, che faccia succedere ciò che desideriamo. Se un uomo si muove molto, si aspetta molto. A Milano invece chi conta non si aspetta più niente, se non di continuare ad avere quello che ha, cominciando dai soldi. Ci siamo trovati con una città ferma. E non occorre essere economisti per capire che ciò ha enormi conseguenze sul piano economico.

Vita: Perché?

Doninelli: Perché con le aspettative crolla anche la capacità di rischiare e investire. Non per nulla la parola impresa si usa quando si mette su una fabbrica, quando si scrive un romanzo, per un?avventura? Indica dei rischi, e chi non ha più voglia di rischiare sta seduto e basta. Poi non è che Milano sia morta, infatti continua a produrre artisti, scrittori, architetti? Però sotterranei, interrati, come i Navigli. C'è un sostrato di inquietudine, di voglia di insurrezione, ma c'è qualcosa che fa tappo.

Vita: Che differenza c?è con il desiderio e la speranza?

Doninelli: Il desiderio è la premessa di tutto: speranza e aspettativa sono la dinamica concreta, la messa in azione del desiderio. In un'intervista che feci a Mario Luzi, lui disse che il desiderio, se è vero, fa già succedere le cose. Se io sospirando dico «Ah, ho un desiderio irrealizzabile», quello non è un desiderio, è un rimpianto! L'aspettativa invece ha molto a che fare con la speranza, una speranza razionale, saldata su una certezza. Se tu mi chiedi 10 euro promettendomi di farli fruttare e restituirmene 20 domani, perché te li do? Perché ho già avuto la prova che sei capace di farlo. La speranza è qualcosa che si fonda sull'evidenza: non riuscirai mai a sperare a vuoto. Anche quando speri contro ogni speranza.

Vita: Cioè?

Doninelli: Un malato di cancro che vuole vivere la sua vita fino all'ultimo istante, deve puntare sugli aspetti positivi: non è solo la speranza di guarire, ma la speranza di vivere umanamente anche la malattia. In questo senso c'è un legame tra speranza e aspettativa, perché anche nella speranza ci vuole progettualità su di sé. L'aspettativa è la trasposizione laica di una dinamica di fiducia nel futuro, diciamo più legata al lavoro, all?impresa. Perché l?imprenditoria è così forte a Milano? Perché quel fatalismo pagano che si trova in altre parti d'Italia qui non c'è: uno dice mi fido, penso che Dio voglia il mio bene, mi butto. Questo è il retropensiero: la fiducia nella realtà. Noi veniamo da una cultura novecentesca che ci ha buttato addosso una negatività incredibile, e facciamo fatica a liberarcene: tutto va a finire male, tutto fa schifo?

Vita: Non siamo più capaci di pensare il futuro?

Doninelli: Il futuro è un rischio. Se fosse una consequenzialità meccanica non sarebbe altro che la ripetizione del presente. È come la signora ricca delle poesie di Carlo Porta: prega Dio chiedendo di essere sempre come è oggi e crede che nel suo paradiso ci saranno i gioielli e le prime alla Scala? Un orrore! Le aspettative invece sono capaci di accettare il rischio, e allo stesso tempo sono un?accettazione della storia nei suoi aspetti terribili. O diciamo che la storia è finita o, se accettiamo la progettualità delle aspettative, dobbiamo accettare le incognite della storia, e anche le sconfitte.

Vita: L'invito a essere obbedienti alla realtà proprio non me lo aspettavo?

Doninelli: La progettualità non è una gabbia che getti sul futuro, è una risposta alla provocazione della realtà presente. Voler imporre alla realtà il tuo progetto è il modo migliore per non avere progettualità. Per questo sono contrario ai sogni nel cassetto: è bello, ma non è quello che ti fa andare avanti. A farti muovere è come la tua umanità reagisce a una circostanza, alla realtà. Altrimenti diventi violento. È come il letto di Procuste: finché non è come dico io, o lo tiro o lo taglio. Credo che invece l'aspettativa si risolva in un atteggiamento di altro tipo, nel chiedersi: «Ma io cosa posso fare in questa situazione?». Accetti il dato e cerchi di tirar fuori la parte migliore di te. Il libro l?ho scritto anche per questo, perché mi sono chiesto se c'era qualcosa che potevo dare alla mia città.

Vita: C'è un crollo delle aspettative a livello personale?

Doninelli: Certo, tant'è che oggi è sempre più difficile rischiare sui legami. Guardi quelli che si sposano adesso: se non hanno quel tot di soldi in banca, la casa come dicono loro, questo e quell?altro, non si possono sposare. Invece la durata del rapporto non si basa sulle condizioni previe, ma sulla forza della scommessa. Poi le cose vengono; è quando non si scommette niente che non viene niente. Quelli che dopo pochi mesi litigano su tutto è perché hanno scommesso solo l'idea di un nido d'amore o i propri soldi? Il fatto che tutto quello che uno riesce a scommettere in un rapporto siano le proprie illusioni mi sembra poco. Io invece voglio scommettere sul fatto che ti voglio bene, e ci scommetto tutta la vita: decido di non poter fare più a meno di te. È una scelta, non il fato. Non è poi così diverso dal mettere su un?impresa: ci sono tutti gli elementi di rischio che dicevo prima. E infatti nelle due cose c?è la stessa paura: paura del rischio.

Vita: La reazione è personale o culturale?

Doninelli: Il clima culturale è la conseguenza del fatto che una certa quantità di persone prende sul serio i propri desideri. Se io lavoro non posso pensare di farlo solo per lo stipendio: in questo il milanese è molto vivo, vuole avere il gusto del proprio lavoro, desidera che il suo lavoro abbia un senso. Dopo esserti incazzato con il capo, con le condizioni lavorative che sono quelle che sono, dopo aver cambiato posto per scoprire che quello nuovo è peggio del precedente, non puoi continuare per tutta la vita a sperare che succeda il miracolo e tutto diventi esattamente come vorresti tu. A un certo punto sei tu che devi cambiare. È da lì che nascono le cose, perché lì poi si diventa anche creativi.

Vita: Da dove cominciare?

Doninelli: Dal gusto del lavoro, che è fondamentale. C'è bisogno di un protagonismo che Milano aveva nell'impresa a conduzione famigliare, quando il pater familias si incapricciava del giovane commesso e voleva fargli sposare sua figlia. Se ho il gusto del lavoro ho anche il piacere del lavoro di un altro e gli dico bravo senza timore. Noi abbiamo ridotto le cose belle a dovere morale, mentre la prima cosa è proprio il gusto della bellezza della vita: magari non l'hai sperimentato, però hai il desiderio che ci sia. Che poi più che desiderio di un gusto è desiderio di un senso, altrimenti ci confondiamo con Slow Food e quelle cose lì, con il gusto come preziosità estetica: io non ci credo tanto?

Vita: Certo è meno impegnativo…

Doninelli: Sì, ma il senso è tutto: è il gusto di una poesia, è il fatto che uno canticchia mentre lavora? Ha presente Chaim Potok? Si è giocato il Nobel perché la comunità ebraica non gli ha perdonato di aver parlato bene del cristianesimo. Una volta gli ho chiesto da dove veniva la sua simpatia per il cristianesimo, e lui mi ha raccontato che suo papà, ebreo, faceva l?orafo sulla Broadway, e vicino alla sua bottega c?era un ciabattino italiano che in negozio aveva l'acqua di Lourdes, il rosario, il crocifisso? Questo ciabattino cantava tutto il giorno. Potok dice: «Io sono ancora là». Ecco, quando parlo di gusto del lavoro intendo questo: è uno che se anche fa il ciabattino e guadagna poco non ha una mentalità rivendicativa, è contento di fare il ciabattino. è una positività di fronte alla vita che lascia a bocca aperta. Le aspettative sono quella cosa lì: il fatto che io faccio il ciabattino ma mi aspetto tutto dalla vita, e infatti canto.

Vita: E quando arriva il fallimento?

Doninelli: Se anche mi dicessero che morirò tra cinque minuti, io non potrei dire che le mie aspettative sono una cazzata. Questo è il lascito del nichilismo, che pensa che le aspettative umane siano solo un inganno, qualcosa che ci diciamo per tirare avanti ma in fondo sappiamo che non è vero. Invece no. Luzi diceva che il desiderio è il primo segno del compimento, anche se poi non sono io quello capace di costruirlo. Il fatto di aver visto una volta l'alba del regno rende ragione del mio desiderio, che avevo anche quando non l?avevo ancora vista. Altrimenti ha ragione Sartre, l?uomo è una passione inutile. Stringo il block notes e me ne vado, un po' Esmeralda e un po' Frollo, con l'impressione che anche a Milano sia nascosta una Corte dei Miracoli: basta saperla cercare.

Luca Doninelli, 49 anni, bresciano, scrittore, critico teatrale, ha appena pubblicato Il crollo delle aspettative (Garzanti, 16 euro) «un libro insurrezionale su Milano», come lui lo ha definito. Doninelli, oltre che essere collaboratore di Vita, scrive su Il Giornale e su Avvenire.


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