Formazione
Il Rwanda non ha più debiti. ma non ha più Stato
I ministri finanziari hanno abbonato al Paese africano oltre 1,5 miliardi di dollari. Ma qual è il prezzo che Kigali ha dovuto pagare? Questa analisi lo rivela.
«Si tratta di una vittoria storica. Il nostro però è stato un percorso incredibilmente faticoso, frutto di sforzi indicibili per raggiungere obiettivi che 10 anni fa non ci saremmo nemmeno sognati. Eppure la strada è ancora in salita». Clavier Gatete, ex funzionario dello Undp (l?agenzia Onu preposta allo sviluppo umano) e attuale numero due del ministero delle Finanze rwandese, sa per davvero cosa si cela dietro la formula «cancellazione del debito». E non sono tutte rose. Il Rwanda infatti è uno dei 18 Paesi del Sud del mondo (14 africani) a cui il G7 ha condonato il debito multilaterale di un miliardo 572 milioni e 200mila dollari. «Questa è la somma colossale che abbiamo cancellato rispettando tutti parametri richiesti dai nostri donatori», rivela Gatete. Ma a quale prezzo?
Ricordate il genocidio?
Il punto di partenza non era certo dei più comodi. Il genocidio del 1994 spazzò via un milione di vite (ovvero un decimo della popolazione). «L?intero Paese era da costruire», ricorda Gatete. Il prodotto interno lordo era crollato di oltre il 50% e la popolazione situata sotto la soglia di povertà balzò dal 53 al 70% in soli tre anni (1993-97). Da allora molto è cambiato, «siamo risorti dalle ceneri». Gatete è orgoglioso di una crescita del Pil sbalorditiva con una media del 7,7% tra il 1998 e il 2002; una mortalità infantile scesa dal 202 per mille al 185 per mille tra il 1995 e il 2000; un?inflazione precipitata nel 2000 al 3,9% (nel 1996 spiccava il volo a quota 13%).
Numeri da miracolo economico che Kigali ha realizzato malgrado la comunità dei donatori internazionali abbia ridotto la quota degli Aps (Aiuti pubblici allo sviluppo) passata dai 252 milioni di dollari nel 1996 ai 175,4 milioni di dollari nel 2000, e a costo di un debito estero che ha raggiunto il picco di 1,305 miliardi di dollari (contro l?1,111 miliardi del 1996). «In altri termini», si legge nella Note statistique du Rwanda della Direzione generale della cooperazione allo sviluppo del Belgio, «i debiti pubblici esteri già alla fine del 1999 sono arrivati al 65% del Pil rwandese». Lo stesso documento rivela che «il rapporto tra il valore netto del debito e le esportazioni era ormai del 520% ». Proprio questo dato ha determinato l?intervento del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm) che il 12 aprile scorso hanno cancellato il debito contratto presso le istituzioni finanziarie internazionali (operazione, poi, formalizzata dal G7). Punto d?arrivo di un processo (intitolato Heavily indebdet poor countries – Paesi poveri fortemente indebitati) incominciato cinque anni fa.
«Nel dicembre del Duemila», ricorda Xavier Devictor, responsabile del Rwanda Unit presso la Banca mondiale, «il Paese è riuscito a raggiungere il Decision Point, ovvero lo stadio in cui i creditori decidono di congelare il rimborso dei debiti ormai insolvibili e concedono tre anni per trasferire una quota (in questo caso il 71,3%, ndr) dei prestiti normalmente riservati al rimborso del debito in politiche di investimenti nei settori economiche e sociali».
In altre parole, si trattava di dare una possibilità al Rwanda di dimostrare la sua capacità di attuare riforme amministrative e macro economiche così da convincere la comunità internazionale della necessità di annullare definitivamente il suo debito, come poi avvenuto. «Nei fatti», assicura da Kigali il coordinatore dell?ufficio aiuti internazionali dello Undp, Gianluca Rampolla, «Banca mondiale e Fmi implementano assieme al Paese debitore una serie di policies che vanno dalla razionalizzazione della gestione della cosa pubblica alla privatizzazione di imprese fino all?incremento di investimenti per la lotta alla povertà e alla democratizzazione del regime».
Tradotto in numeri, il meccanismo ha generato un aumento delle spese in sanità e educazione del 28% tra il 2000 e il 2004 e una maggior frequenza della scuola da parte dei bambini (ormai 73 su 100 frequentano la scuola primaria). Ma anche la privatizzazione di due delle nove piantagioni di tè disseminate sul territorio e una decentralizzazione dell?apparato amministrativo. Nonostante il Rwanda non si sia trasformato in un esempio in tema di libertà civili, gli osservatori nel 2003 hanno salutato gli sforzi forniti dal Rwanda sul versante della democratizzazione con la nascita di una Costituzione (2003) e lo svolgimento di elezioni politiche ritenute ?regolari?.
Ministeri ridotti all?osso
«Sul piano sociale, il Rwanda però ha dovuto sopportare parecchi sacrifici che dimostrano i limiti del processo di cancellazione», osserva Rampolla, che specifica: «Si è chiesto ad esempio di snellire a dismisura il peso dell?ammistrazione pubblica. Ma negli ultimi anni, i licenziamenti si sono intensificati al punto tale che in alcuni ministeri cruciali come quello della pianificazione familiare troviamo solo dieci funzionari». Rendendo così del tutto inefficiente quel dicastero.
Ma c?è dell?altro. A ricordarcelo è ancora Rampolla che rivela un aspetto spesso taciuto: « Dopo la cancellazione del debito multilaterale, le istituzioni internazionali hanno imposto al Rwanda di non contrarre debiti per più di 20 milioni di dollari l?anno. Un provvedimento assurdo se si pensa che i 350 milioni di dollari che questo Paese ha ricevuto negli ultimi tre anni sotto forma di aiuti allo sviluppo sono lontanissimi dal soddisfare il suo fabbisogno socio-economico».
La partita del trade
Una drastica riduzione degli aiuti allo sviluppo e le immutate regole del commercio internazionale intanto rischiano di affossare la già fragile economia rwandese, che già oggi registra, alla voce bilancia dei pagamenti, un deficit di 124 milioni di dollari rispetto ai 72 milioni di dollari del 1999. Inoltre il 91% della popolazione lavora ancora nel settore agricolo poco reddittizio ma che rappresenta oltre il 40% dell?intero prodotto interno lordo.
«Di questo passo rischiamo di riprodurre la stessa situazione che ha portato al genocidio», sostiene Peter Uvin, specialista delle questioni di sviluppo nell?area dei Grandi Laghi africani e docente presso l?università americana Fletcher School. «Alla fine degli anni 80 il debito del Rwanda è esploso perché, come oggi, il prezzo di tè e caffè, prodotti che ancora oggi costituiscono le sue principali voci di esportazione, sono crollati sui mercati internazionali».
Per di più, il governo non riesce a fermare un tasso di crescita della popolazione sostenutissimo (3,4% nel 2003) che dovrebbe compensare con una crescita economica di almeno 7 punti percentuali ogni anno. Purtroppo, nel 2004 il Pil è rimasto fermo sullo 0,7% e il futuro non promette nulla di buono. «La cancellazione del nostro debito è un buon passo», dice un preoccupato Gatete, «ma rischia di non produrre risultati concreti se i nostri donatori ridurranno la quota dei fondi agli aiuti pubblici allo sviluppo per colmare i buchi provocati proprio dalla cancellazione. In questo caso il provvedimento deciso dal G7 rischia davvero di essere una grande presa in giro. Per quanto ci riguarda» conclude il viceministro di Kigali, «terremo sott?occhio il prossimo G8 in cui si deciderà il raddoppiamento o meno dell?aiuto allo sviluppo, e soprattutto il Summit dell’Organizzazione mondiale del Commerciale che si terrà a Hong Kong».
Gatete l?ha capito: il futuro del suo Rwanda si gioca sul terreno del trade molto più che su quello dell?aid.
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