Volontariato

A sei mesi dallo tsunami che fine hanno fatto gli sms degli italiani?

Ricordate: in pochi giorni furono raccolti 46 milioni di euro. Cosa è stato fatto con quei soldi? Non molto, per adesso.

di Redazione

Sei mesi fa il maremoto che ha messo in ginocchio il Sud-Est asiatico – 228mila fra morti e dispersi accertati, 129mila nella sola Indonesia – in Italia ha sollevato un?onda di generosità senza precedenti. Il picco più alto? Senza dubbio gli oltre 46 milioni di euro in donazioni private che, via sms, sono arrivati in via Ulpiano, sede della Protezione civile, per finanziare progetti in Sri Lanka. L?impeto di allora oggi si è trasformato in calma piatta, almeno a giudicare dal sito della Protezione civile (www.protezionecivile.it), che da metà aprile a metà giugno ha fatto trascorrere due mesi senza fornire alcun aggiornamento sui programmi umanitari. Un vero e proprio black out. Lo Sri Lanka non è il Darfur Cosa ne è stato allora di quei fondi? A che punto è la macchina umanitaria progettata dal Dipartimento? «Problemi ce ne sono, nasconderlo sarebbe sciocco», rivela a Vita Angelo Canale, vice procuratore generale della Corte dei conti e numero uno della commissione «per il controllo contabile e di legalità sulle azioni in favore delle popolazioni colpite dal maremoto», organo istituito da Palazzo Chigi due settimane dopo lo tsunami. «In ogni caso non mi sembrerebbe giusto mettere all?indice la Protezione civile», precisa lo stesso Canale. Ma evidentemente nemmeno le riconosciute capacità di Agostino Miozzo, plenipotenziario di Guido Bertolaso in Sri Lanka, con alle spalle una lunga esperienza prima da cooperante sul campo e poi nell?ufficio della Cooperazione della Farnesina, sono bastate a oliare un meccanismo che scricchiola in diversi suoi ingranaggi. Quali? «In molti casi gli assessment effettuati subito dopo il maremoto si sono rivelati sbagliati: con alcune eccezioni, gli enti attuatori hanno scontato una scarsa conoscenza del territorio. Lo Sri Lanka non è il Darfur. È un Paese con una sua burocrazia e con leggi di cui tener conto». Canale è reduce da una missione sui luoghi del disastro («impressionante vedere uno dopo l?altro 800 chilometri di costa devastati») dove ha visitato alcuni progetti di ong, ma non quelli gestiti direttamente dalla Protezione civile, di cui per la verità non si sa granché. Nella sezione del sito dedicata ai «progetti realizzati direttamente dal dipartimento» in data 21 giugno (giorno in cui andiamo in stampa) vengono infatti indicati solo quattro interventi relativi agli ospedali di Matara (progetto datato 22 febbraio) e di Kinnya (24 febbraio), alla scuola di Thotagamuwa (16 marzo) e alla proposta preliminare di riabilitazione e sviluppo nella laguna di Mutur (24marzo). I misteri di via Ulpiano Del resto la definitiva allocazione delle risorse è stata approvata dal Comitato dei garanti solo a metà giugno (5 mesi e mezzo dopo la tragedia). Su 46,5 milioni di euro donati, via Ulpiano ha scelto di gestire in proprio circa la metà delle risorse (23 milioni), di affidare alle ong poco meno di 16,5 milioni, mentre il resto (circa 7 milioni) sarà gestito da altre organizzazione come la Fao e il dipartimento dei Vigili del fuoco. Attualmente però la maggioranza dei fondi giace su un conto corrente italiano, intestato alla Protezione civile, presso la banca Unicredit: infatti, solo il 40% della quota riservata alle ong, corrispondente a 6,6 milioni di euro, è stato effettivamente versato. Un doppio binario che si rispecchia anche sulla sponda della contabilità. La Protezione civile ha affidato all?Associazione delle ong italiane («finalmente anche il Dipartimento ha riconosciuto la nostra professionalità», nota Nino Sergi, presidente di Intersos) l?organizzazione di un seminario formativo per uniformare i modelli di rendicontazione ai parametri europei. Seminario che si è regolarmente tenuto a Roma il 21 e 22 giugno. Presenti tutti gli enti attuatori, eccetto gli operatori del Dipartimento stesso. Detto del velo di mistero calato sui progetti gestiti direttamente da via Ulpiano, non si può certo affermare che gli interventi delle ong siano vicini alla bandiera a scacchi, anche se nel loro caso il dettaglio dei progetti è a volte ben illustrato dai rispettivi siti Internet. Anzi. In molti casi si sono appena accesi i motori. Il ritardo è spiegabile con un?approssimativa conoscenza del territorio, a cui si è aggiunta anche la rigidità della Protezione civile, che in questi giorni sta anche definendo gli ultimi dettagli della missione della Sim (Società italiana monitoraggio) in vista di una serie di sopralluoghi da tenersi fra luglio e agosto. «Un?altra misura che ci consentirà di assicurare al 100% la trasparenza nella gestione dei fondi», rassicura Miozzo. «Le maggiori difficoltà si registrano nei progetti di costruzione delle case», spiega Canale. Risultato? «Sono state completate solamente 119 nuove abitazioni a fronte di un fabbisogno di oltre 43mila tetti», come ha scritto il giornale di Colombo, Sunday Observer. «La verità», interviene Leopoldo Rebellato, presidente di Incontro fra i popoli, «è che se avessimo seguito gli input provenienti da Roma, fra gare d?appalti e fatture saremmo ancora fermi al palo. Invece abbiamo fatto di testa nostra e così abbiamo già riparato 20 case e costruito 45 nuove abitazioni. Per ognuna delle quali abbiamo speso 3mila euro». Il timore di Rebellato è confermato da diverse altre testimonianze dirette. Paolo Bernabucci, presidente del Gus, ong di Macerata, responsabile di un progetto di riabilitazione delle unità abitative del villaggio di Jaya Sayurupura, confida «di aver appena ultimato le procedure di appalto così come richiesto dalla Protezione civile», e che per ogni unità spenderà non meno di 7mila500euro. La macchina della ricostruzione faticosamente si sta muovendo. Ecco qualche esempio. Paolo Carlini, responsabile d?area della ong Ricerca e cooperazione, comunica che «finora abbiamo ricevuto 235mila euro, ma ne abbiamo spesi solo 38mila euro per gli interventi d?emergenza». Carla Pratesi, responsabile Asia di Movimondo: «Siamo ancora nella fase dei finanziamenti impegnati per bando, non in quelli effettivamente erogati». Alisei in una nota osserva come i ritardi «siano stati determinati dall?istituzione della buffer zone da parte del governo di Colombo che vieta di costruire entro i 100 metri dalla costa, dalla mancata certezza della proprietà delle abitazioni da ricostruire e dalle procedure di avvio dei lavori richiesti dal Dipartimento». Coopi da parte sua annuncia di aver ultimato la realizzazione di 68 shelter (unità abitative d?emergenza) e di avere invece solo programmato la costruzione di alloggi decorosi per 235 famiglie del villaggio di Pottuvil. Ingorgo umanitario «Non bisogna dimenticare», tiene a far sapere Canale, «che la concorrenza fra le sigle umanitarie provenienti da tutto il mondo ha reso di fatto insufficienti il numero di imprese edili in grado di ricostruire le abitazioni. Così i tempi si allungano e i prezzi delle materie prime, mattoni e cemento soprattutto, ovviamente salgono». La conferma arriva a stretto giro di posta da Bernabucci: «Una delle fatiche maggiori è stata quella di guadagnare la fiducia della comunità locale, sottoposta a un vero fuoco di fila da parte di altre ong interessate a sviluppare progetti nella nostra stessa area. Una faticaccia, ma alla fine la nostra proposta ha convinto i capi villaggio». Quante siano le sigle umanitarie operative in Sri Lanka è difficile dirlo. Secondo Marco Marchese, cooperante di Aibi – Amici dei bambini, «saremo più di 300». La stima di Gianluca Trovati, espatriato della Caritas (il cui network internazionale nel prossimo anno e mezzo porterà in Sri Lanka 124 milioni di euro) è decisamente più colorita: «300? Forse anche di più. Quello che so è che siamo un casino!». L?effetto paradossale è che ogni singolo intervento diventa più caro e parallelamente crescono le difficoltà a spendere. Un ostacolo in cui sono inciampati un po? tutti, non certamente solo gli italiani – l?ultima notizia è che le cinque maggiori agenzie australiane impegnate nell?Oceano indiano nel dopo tsunami sono riuscite a impegnare solo un quinto dei 188 milioni di euro raccolti -, ma che non smuove di un centimetro la Protezione civile. Trasferire risorse dallo Sri Lanka verso altri Paesi, per esempio, l?Indonesia? «Non se ne parla», discussione chiusa. Parola di Miozzo.

ha collaborato Paolo Manzo


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