Economia
Debito, il caso italiano. Una legge modello lasciata naufragare. Quel decreto maldestro
Nel 2000 lItalia si era dotata della migliore normativa al mondo in materia di cancellazione del debito.
di Paolo Manzo
In Italia la questione del debito estero bilaterale (ossia contratto dai Paesi meno sviluppati nei confronti del nostro Paese) è regolata dalla legge 209, approvata il 25 luglio 2000 dopo un intenso dibattito parlamentare che riuscì a produrre un ottimo risultato finale a detta di tutti gli operatori del terzo settore in prima linea nella campagna di cancellazione del debito con il Sud del mondo. Il problema è che, oggi, la 209/2000 è attuata solo per un terzo e, dei circa sei miliardi di euro che si sarebbero dovuti già cancellare (quasi tutti nei confronti di Paesi africani), lo Stato italiano ne ha azzerati meno di due miliardi. Come mai e, soprattutto, di chi è la colpa? Il vulnus per Sergio Marelli, presidente dell?Associazione delle ong italiane «è il regolamento attuativo del 2001, su cui è il caso di concentrarsi per un rilancio effettivo delle iniziative italiane in favore della cancellazione del debito dei Paesi del Sud del mondo». Della stessa opinione le ong più coinvolte nella questione, raggruppate nella G-Cap italiana, l?Iniziativa globale contro la povertà promossa affinché siano raggiunti entro il 2015 i Millennium Development Goals. Soprattutto l?obiettivo 8, riguardante il partenariato tra Paesi ricchi e Sud del mondo e, quindi, la cancellazione del debito.
De facto, il decreto 185 del 4 aprile 2001 redatto dal ministro del Tesoro di concerto con quello degli Esteri, non cercò nemmeno «i pareri delle competenti commissioni parlamentari», denuncia il Rapporto sul debito 2000-2005 stilato dalla Fondazione Giustizia e solidarietà. E, per capirlo, basta fare una semplice operazione: confrontare la 209 con il suo decreto attuativo. Mentre la prima non cita il Club di Parigi (composto dal G7 più altri 12 Paesi ricchi) e, anzi, specifica che «l?annullamento del debito può essere concesso in misura, condizioni, tempi e con meccanismi diversi da quelli concordati fra i Paesi creditori in sede multilaterale», il secondo prevede espressamente all?articolo 3 la condizionalità tra la cancellazione del debito bilaterale e «la firma di un?intesa tra i Paesi creditori partecipanti al Club di Parigi».
È questa differenza quella che, sino a oggi, ha consentito di cancellare il debito bilaterale solo ai 24 Paesi per i quali è stato raggiunto un accordo in ambito multilaterale, tra gli oltre 40 presi in considerazione dal Club di Parigi. Ossia gli Hicp, i Paesi poveri altamente indebitati. La 209, invece, si indirizza a tutte le nazioni che hanno accesso ai finanziamenti dell?Ida – International Development Association, l?agenzia della Banca mondiale che eroga finanziamenti agevolati ai Paesi con un reddito pro capite inferiore a una determinata soglia, identificata anno per anno. Una settantina in tutto i Paesi che avrebbero già beneficiato della 209 se il decreto attuativo ne avesse rispettato lo spirito. Come lo Swaziland che, nonostante abbia un debito bilaterale nei confronti dell?Italia di appena 11 milioni di euro, continua ad aspettare perché dal Club di Parigi non ha ancora ottenuto ?luce verde? sul piano multilaterale.
Una scelta difficile da comprendere quella dello Stato italiano che, dopo aver concepito forse la miglior legge in materia a livello internazionale, ha scelto questa via dilazionatoria per ?non mettere in difficoltà? un organismo effimero – nel senso di non istituzionale – come il Club di Parigi, nonostante i costi di un?applicazione corretta della 209 non comporterebbe oneri per le casse dello Stato in quanto, nel caso del bilaterale, si tratta di debiti per la maggior parte inesigibili, il cui valore reale è un decimo di quello nominale e le cui rate già oggi non vengono pagate dai Paesi Hipc. E, per procedere più speditamente all?annullamento del debito, Marelli propone di «procedere urgentemente all?istituzione di un arbitrato super partes, trasparente ed equo fra Paesi debitori e Paesi creditori, e la creazione, a fianco del Club di Parigi, di un Club dei Paesi debitori».
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