Economia

E adesso il modello sia “trade not aid”

Mentre si cancellano i debiti, si perpetuano i sussidi all’agricoltura europea, che provocano danni incalcolabili alle economie dei Paesi poveri.

di Padre Giulio Albanese

Due sono gli atteggiamenti diffusi tra gli analisti internazionali: l?afro-pessimismo e l?afro-ottimismo. In effetti, la decisione annunciata l?11 giugno dai ministri finanziari del G7 può essere interpretata come un avvenimento di portata storica, come anche l?ennesima ingegnosa trovata per camuffare la tragica realtà in cui versa l?Africa. Quanto è avvenuto a Londra ha una sua consistenza politico-economica, se si considera che è il risultato di sei anni di estenuanti trattative, a partire dal G8 ?2001? sotto presidenza italiana a Genova, un lungo e frenetico negoziato ispirato in gran parte dalla mobilitazione della società civile di mezzo mondo e dai ripetuti appelli del compianto Pontefice Giovanni Paolo II. Il cammino verso la cancellazione totale del debito, lungi da ogni forma di disfattismo, appare ancora lungo, soprattutto in considerazione della difficile congiuntura internazionale. Un esempio eclatante è quello del protezionismo agricolo dell?Unione europea, istigato in larga misura dal governo francese che causa danni incalcolabili alle deboli economie dei Paesi africani. Non v?è dubbio che, in questa prospettiva, il teorema clintoniano, Trade not Aid, ha una sua quota di veridicità, nel senso che la ricetta non può essere trovata nel dispensare elemosine, quanto nel conseguire risultati economici e industriali che possano consentire ai Paesi africani di entrare a pieno titolo nei mercati internazionali. Ma per poter ottenere questi obiettivi, occorre investire maggiori risorse nella formazione delle classi dirigenti e più in generale nella definizione di politiche rispettose dei diritti umani. Basta allora con i presidenti-padroni che fanno il bello e il cattivo tempo, ma anche con quei poteri più o meno occulti, legati all?alta finanza, che guardano con bramosia alle immense risorse minerarie del continente. Tornando alle conseguenze del summit su Paesi come il Ghana, il Mozambico, l?Uganda o il Rwanda, inclusi nell?elenco dei beneficiari, è bene ricordare che le loro economie sono così malandate che già da diverso tempo i governi locali avevano sospeso il pagamento degli interessi sia al Fondo monetario che alla Banca mondiale. D?altronde, si tratta di Paesi prostrati dagli iniqui piani di aggiustamento strutturale che nel passato hanno penalizzato fortemente sia l?istruzione che la salute, due dei principali comparti sociali che potevano dare speranza ai ceti meno abbienti. Ecco perché è indispensabile da parte dei Paesi ricchi promuovere maggiori investimenti solidaristici in Africa, destinando almeno lo 0,7% del Pil, una delle tante promesse disattese dai governi occidentali, Italia in testa. Mai come oggi sarebbe auspicabile rilanciare la cooperazione internazionale nella consapevolezza che Nord e Sud del mondo hanno un destino comune. È conveniente guardare al futuro dell?Africa con sano realismo tenendo presente che a nulla serve inviare vagonate di cibo e farmaci quando il ?modello Usa? nel Golfo di Guinea si evidenzia sempre più nel controllo dei vasti giacimenti petroliferi off-shore, mentre la Ue enuncia il principio della multilateralità, quando invece i singoli governi (soprattutto Francia e Regno Unito) si muovono all?insegna del bilateralismo, come se i rapporti con i singoli Stati africani prescindessero dagli impegni di Bruxelles.


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