Mondo

Soyinka, “Africa e Occidente sono in debito reciproco”

Il premio Nobel e scrittore nigeriano ospite di eccezione del Convegno sull'Africa organizzato dalla Fondazione Unidea

di Joshua Massarenti

Ospite di eccezione al Convegno Strategie di sviluppo e aiuto internazionale. Le proposte africane organizzato dall’Unicredit Foundation, il Premio Nobel e scrittore nigeriano Wole Soyinka ha rilasciato un’intervista a Vita nella quale ha espresso delusioni e speranze per la tanto attesa rinascita del continente africano. Prendendo a contropiede i sensi di colpa pietistici che contraddistinguono il “pensiero occidentale” nei confronti dell’Africa allorquando si tratta di spiegare le derive del continente dopo i rapporti pluricentenari con i Paesi sviluppati, Soyinka ha ribadito con forza che “se vediamo i rapporti storici tra questi due mondi, ciascuno di essi deve qualcosa all’altro. Noi accettiamo l’idea che l’Occidente ha un grande debito nei confronti nostri. Ma se si prende in considerazione il sistema normativo contabile moderno, ci accorgiamo che anche l’Africa ha un debito con i Paesi sviluppati”. In questa ottica, l’autore di romanzi e scritti indimenticabili quali Gli interpreti (1979), Stagione di anomìa (1981), L?uomo è morto (1986), La morte e il cavaliere del re (1993), Aké. Gli anni dell?infanzia (1995), Mito e letteratura nell?orizzonte culturale africano (1995), Isarà: intorno a mio padre (1996), La strada (1997), si rivela propenso ad un “annullamento reciproco del debito”. “Piuttosto che una semplice cancellazione del debito che tradisce un senso di superiorità occidentale che a me non piace” prosegue Soyinka sferrando un attacco al Piano Marshall del premier inglese Tony Blair, “vorrei che si iniziasse un nuovo rapporto globale tra Occidente e Africa”. Nell’articolare il suo pensiero, Soyinka sostiene che “i governi occidentali si appoggiano su regimi africani cleptocratici che fagocitano gli aiuti allo sviluppo, al punto tale che lo stesso Occidente finisce per ritenere inutile provvedimenti come la cancellazione del debito per risollevare le sorti del nostro continente. Siamo entrati in un nuovo Millenio, quindi è giunto il momento di fare tabula rasa”. Che sia necessario un nuovo rapporto fra Occidente e Africa, il Premio Nobel lo lascia intuire nell’ambito del complessissimo e fragilissimo mondo delgi aiuti umanitari. “C’è un clima di risentimento verso le Ong. Anche quelle motivate da alti ideali pagano la mancanza di sincerità e l’opportunismo dei propri governi che finiscono per compromettere l’impegno sul terreno di tanti volontari”. Sul versante strettamente politico e sociale, “è difficile prevedere cosa succederà in Africa nel prossimo futuro”. Di sicuro, “le ricette neoliberiste che ci hanno somministrato negli ultimi decenni sono state fallimentare”. Ma non da meno sono state le élites africane, “spesso legate ad un principio di autodeterminazione assecondato in maniera acritica e che porta ad eccessi come nel caso del presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe. I modelli da seguire sono forse quelli asiatici come l’India che piuttosto di importare ricette economiche preconfezionate, hanno puntato sulla microimprenditorialità. Sulle piccole e medie imprese l’Africa deve puntare per salvarsi”.


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