Famiglia

Clem, noi sappiamo chi sei

Carissima clementina. Lettere da tutto il mondo per la volontaria rapita.

di Carlotta Jesi

«Clementina ha scritto molte mail sulle motivazioni che l?hanno portata in Afghanistan e, in generale, ad occuparsi degli altri. Tirarle fuori e leggervele adesso, però, fa troppo male». Adesso è il 7 giugno. La voce di Fabio Cantoni, determinata e gentile, al telefono ci ricorda che dal rapimento di sua figlia, avvenuto il 16 maggio a Kabul, sono passati 18 giorni. Diciotto giorni in cui lui e il resto della sua famiglia hanno deciso di non parlare, ma in cui gli amici di Clementina, sparsi ai quattro angoli del mondo, non hanno mai smesso di scambiarsi email e notizie. Sul forum groups.yahoo.com/group/Clementinacantoni, una piattaforma che ha riunito cooperanti come la Cantoni, ma anche ambasciatori, giornalisti e compagni di università e di scuola. A loro abbiamo chiesto chi è veramente Clementina, perché ha deciso di lavorare a Kabul anche se un prestigiosissimo curriculum vitae umanitario avrebbe potuto aprirle le porte dei palazzi che contano, da Washington a Ginevra, e , ancora, come viveva, nella capitale afghana. Ecco cosa ci hanno risposto, a 18 giorni esatti dal suo rapimento. La mia roccia Conosco Clementina da quando avevo 11 anni. Siamo andate a scuola insieme in Inghilterra ed è sempre stata la mia roccia. Ogni volta che mi concentro troppo su me stessa, riporta la mia attenzione sui bisogni degli altri. Ogni volta che ho bisogno di ridere, mi ricorda cose assolutamente stupide che facevamo a scuola. È la persona più bella, e brutalmente onesta, che conosco. La sua forza di carattere, e di propositi, mi è d?ispirazione. La sua vulnerabilità e la sua complessità sono commoventi. Clementina è divertente e spiritosa, e adoro il modo in cui muove le narici quando ride. Fa un?imitazione eccezionale di Madonna che canta True blue, soprattutto quando indossa per scherzo il reggiseno di Carolina. Poco fa stavo parlando con un?amica, anche lei in contatto con Clem dai tempi della scuola, e concordava su quanto sia frustrante parlare con lei via email. Le chiediamo sempre di raccontarci la sua vita, cosa sta facendo, com?è la sua casa, cosa mangia e chi vede. Ricordo che, appena è arrivata a Kabul, l?ho subissata di domande, ma sembrava sempre che girasse intorno alla questione. Non so come, riusciva a scrivere intere mail sulla sua vita senza rivelare nulla. All?inizio mi arrabbiavo, ma ora ci ho fatto l?abitudine. L?ultima volta che ci siamo scritte è stato il sabato prima che fosse rapita, parlando del suo prossimo viaggio a Londra e di come speravamo di riuscire a passare un po? di tempo insieme. Clem è forte, intelligente, brillante e divertente. Non sono una persona religiosa, ma negli ultimi giorni ho pregato come una matta. Non vedo l?ora di rivederla e di darle un enorme abbraccio. Gemma Preater, da Londra Cambiata dalle donne di Kabul Quando ho chiamato sua mamma a Milano dopo il video in stile iracheno, lei mi ha detto: «Se non altro Clementina non sembrava troppo male, considerata la situazione, sembrava forte, anche se magra e debole». Sono d?accordo con lei, Clem ha parlato con determinazione in una situazione molto difficile. Ma i giorni sono diventati settimane e tutti noi che la conosciamo bene cominciamo a ricrederci perché questa situazione tarda tanto a concludersi. Clementina è una donna dolcissima e intelligente che è stata profondamente cambiata dalla sua esperienza di lavoro in Afghanistan. Io e mio marito la conosciamo ormai da tre anni e l?abbiamo vista un mese fa a Kabul. È un?umanitaria vera, una caregiver che ha ridato speranze a migliaia di afghani e che ha aiutato persone poverissime a conquistarsi una dignità. Ha avuto molte opportunità di lavorare in altre aree del mondo, ma ha voluto restare in Afghanistan. A metà aprile, ci ha annunciato che si sarebbe presa una pausa dal lavoro a giugno, dopo tre anni di lavoro come cooperante internazionale. È facile, nel mondo di oggi, diventare cinici riguardo a fatti che accadono tanto lontano da casa, in parti del mondo piene di problemi dove molti di noi non avrebbero mai il coraggio di avventurarsi. Ma dobbiamo ripeterci che queste cose accadono, tristemente, e che in questo momento Clementina è intrappolata in un inferno. Quando hanno rotto i vetri della sua macchina e l?hanno trascinata via, i rapitori non hanno realizzato che avevano preso una giovane donna che viveva e lavorava nel loro Paese da oltre tre anni. Ambasciatore Omar Samad e Khorshied Samad, dal Canada Un regalo per Clem Voglio fare a Clementina il top che ha sempre voluto ma che non ha mai ordinato perché era troppo caro. Blu e rosso. Il blu, è quello dei suoi occhi. Il rosso, è la passione, in contrasto. Proprio come può essere Clementina, quando gioca a calcio con gli uomini e appare sempre bellissima. Un amico, fashion designer che lavora con le donne afghane Non dimentica mai un nome Da tempo, quelli di noi che vivono e lavorano in Afghanistan temevano che rapimenti in stile Iraq sarebbero cominciati anche qui. L?umore, qui, sta cambiando. La prima volta che ho messo piede in Afghanistan, nel 2002, come Clementina, nell?aria c?era un ottimismo tangibile. Gli afghani accoglievano gli stranieri a braccia aperte. Ora, frustrati dalla mancanza di sviluppo e dalla povertà, molti locali hanno sostituito l?iniziale gratitudine col cinismo. Clementina gestisce un programma di aiuto per le donne, e uno dei suoi obiettivi è di aiutarle a trovare un lavoro perché non debbano dipendere solo dai buoni assistenziali. Per sostenerla, ho assunto due delle ?sue? donne per aiutarmi a fare le pulizie. Ogni volta che la incontravo, non si scordava mai di chiedermi come stavano, loro e i loro bambini. In questi anni, sarà entrata in contatto con migliaia di donne. Ma ricorda tutti i loro nomi e non si scorda mai dettagli come la malattia di un parente o un matrimonio in famiglia. L?ultima volta che l?ho vista, è stata poche settimane fa, alla mia festa di compleanno. Le avevo detto che sarei tornata a Londra e non posso dimenticarmela, con gli occhi azzurri che brillano, mentre mi augura un felice ritorno a casa. Nadene Ghouri, da Kabul Un lavoro, non un passatempo La prima cosa che mi viene in mente pensando a Clementina è la sua modestia. Non si vanta mai di quello che fa. Di un lavoro, perché di questo si tratta, non di un modo di impiegare il tempo come ha sostenuto qualcuno, cui ha cominciato a pensare dai tempi dell?università. Ma già da prima, l?anno della maturità, quando ci siamo conosciute e siamo diventate amiche, era un?idealista. Un?idealista pratica, però: che agisce per cambiare le cose. Dopo un?esperienza di lavoro umanitario a Londra, ha capito che lei doveva stare sul campo. Ed è partita per i Balcani. L?Afghanistan l?ha amato molto. Solo ultimamente, dopo che un suo coinquilino era morto in un incidente aereo, l?ho sentita più taciturna. Sapeva che il clima, a Kabul, stava cambiando. Ogni volta che torna a Milano per le vacanze, del suo lavoro parla poco: credo sia perché vede, e vive, cose che qui noi non riusciamo neanche a immaginare. All?inizio, io e gli altri compagni di scuola, ci siamo indignati per il silenzio che è calato sul suo rapimento. Soprattutto se paragonato agli articoli e alle manifestazioni dedicate agli altri italiani rapiti in Iraq. Ma i genitori di Clem, con cui noi amici siamo sempre rimasti in contatto, preferiscono che non si faccia troppo clamore. E noi rispettiamo questa scelta. Fiona Tarsia, Milano


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