Welfare

Padova: in 600 chiedono interventi contro il disagio

Il carcere, lungi dall’essere una medicina o un luogo di cura, costituisce piuttosto la malattia.

di Ornella Favero

Quando si parla di ?aprire? il carcere si pensa per lo più alla necessità di renderlo più trasparente, di mettere con più forza in contatto il dentro e il fuori. A Padova invece abbiamo deciso di sperimentare una apertura più decisa e coraggiosa: per un giorno, sono entrate nella Casa di reclusione 600 persone, hanno parlato con molti detenuti, discusso di un tema che sta a cuore a tanti, durante la giornata di studi La salute appesa a un filo, che il 20 maggio ha trasformato il carcere padovano in un laboratorio di idee, di confronto, di sperimentazione.
Spalancando le porte di un carcere a psichiatri, operatori, associazioni, studenti, a chi s?interessa davvero della società in cui vive si è voluto porre all?attenzione di tutti il problema della salute mentale, che è una questione fondamentale per chiunque si occupi, a qualsiasi titolo, di esecuzione della pena e reinserimento sociale. La salute mentale però è un argomento troppo spesso delegato alla sola psichiatria, quindi ai tecnici, e resta relegato ad un circuito difficilmente accessibile, pur essendo di vitale importanza per la crescita civile della società in tutti i suoi ambiti. In realtà, le privazioni che le persone vivono in carcere, che possono produrre anche danni psichici e relazionali (basti pensare alla deprivazione affettiva e sessuale), abbisognano in prima istanza di attenzioni umane e sociali, più ancora che di saperi tecnici e professionali. Vale a dire che, a nostro giudizio, il disagio psichico il più delle volte non è preesistente, ma semmai una risultante della pena reclusiva. Deve essere insomma chiaro che, assai spesso, il carcere, lungi dall?essere una medicina o un luogo di cura, costituisce piuttosto la malattia. La salute mentale, durante e dopo la detenzione, è però una questione ancora troppo trascurata o addirittura ignorata, e tanti allarmanti atti di autolesionismo, suicidi e anche episodi di recidiva di persone rimesse in libertà necessitano di un?azione di stimolo e di proposta che porti ad iniziative concrete, continuative e di rete tra carcere e territorio. L?invito che è uscito da questa giornata di studi è:
? a promuovere iniziative di attenzione al disagio mentale ovunque, a partire da un monitoraggio nelle carceri riguardo ai fattori principali che sono all?origine di tale disagio;
? a creare una rete stabile di scambio di esperienze mirata a consolidare questo tipo di attività, a occuparsi della formazione degli operatori e a diffondere modelli di convenzioni con gli enti locali e di collaborazione con il territorio utili a promuovere, più prospettive di assistenza e cura fuori dal carcere;
? a rilanciare la proposta di legge sull?affettività in carcere, elaborata sulla base della considerazione che la negazione degli affetti e del sesso è uno dei principali motivi di disagio e di sofferenza per le persone detenute e per le loro famiglie.
Ma la cosa che in fondo più è rimasta impressa di questa giornata di studi è l?emozione di uno psichiatra di Secondigliano e Poggioreale, quando ha detto che da Padova se ne andava con l?idea che un carcere meno disumano è possibile.
Ornella Favero (ornif@iol.it)

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