Cultura

L’onda del no

Europa. Dopo il voto francese come si potrà superare l’impasse?

di Luca Jahier

In nessun altro Paese europeo si è così tanto discusso di Europa come in Francia in questi ultimi mesi, suscitando partecipazione e passioni politiche come non si vedevano da tempo. Ma alla fine il popolo francese ha fatto risuonare chiaro e netto il proprio No alla Costituzione europea, con quasi il 55% dei suffragi. I motivi di questo No sono certo molteplici, ma non credo si sia trattato in prevalenza della tentazione ricorrente nella storia francese del regicidio, di giacobina memoria.
Il No francese fa tremare le cancellerie e apre uno scenario quantomai incerto sul futuro. Il 1° giugno si è votato in Olanda dove l?esito è stato altrettanto negativo, ed entusiasmi non si attendono in autunno in Polonia né la prossima primavera, quando sarà la volta della Gran Bretagna a decidere.
Sono due i segnali che emergono dirompenti dal referendum francese.
Da un lato la paura: di perdere uno status sociale, del futuro, di un?economia che non cresce più e non sembra più garantire sicurezze sociali; paura dell?invasione dei prodotti e dei popoli esterni. Sullo sfondo la questione della Turchia. Una paura che prende il volto brutale di una nuova ondata nazionalista, che spesso si traduce anche in xenofobia. Sì, proprio nel cuore dell?Europa, nella patria delle libertà e dei diritti fondamentali si agita il nuovo spettro del nazionalismo xenofobo, che attraversa anche altri Paesi del continente, riportandoci indietro di circa 70 anni. Il vento forte della libertà e, forse, anche della ?fraternità? soffia oggi su altre piazze, a Kiev come a Tblisi.
In secondo luogo, si registra una totale delegittimazione di un?intera classe politica, di destra come di sinistra, sempre più distante dalle concrete attese e problemi dei propri cittadini; divisa tra coloro che non sono riusciti a creare alcun consenso credibile sul progetto europeo e coloro che invece cavalcano gli umori, facendo demagogia. E anche questo non è un problema certo solo francese. Del resto il popolo francese ha preso su di sé e per primo l?onere di far esplodere un malessere che serpeggia in Europa da troppi anni: dire che il re è nudo, che il progetto rincorso negli ultimi anni è – ahinoi – un sogno infranto.
Le élite politiche hanno fatto l?Europa e il progetto europeo si è progressivamente legittimato da sé grazie ai suoi straordinari risultati, percepiti progressivamente da tutti i suoi abitanti, a partire dalla pace tangibile, dalla libertà di varcare le frontiere, dal riconquistato benessere economico, frutto anche della condivisione delle principali risorse e materie prime del ciclo industriale (il carbone e l?acciaio), dal governo comune delle difficili riconversioni industriali del dopoguerra e dal successo della politiche comuni nel campo dell?agricoltura, della coesione territoriale, della cooperazione con le ex colonie.
Di fronte alla crisi economica che travolge l?Europa da oltre cinque anni, alla globalizzazione, alle nuove povertà che avanzano ovunque, si profila oggi sia un crescente conflitto distributivo tra generazioni, tra Paesi, tra regioni, sia una vera e diffusa implosione dello Stato sociale.
Il modello non paga più: nella percezione dei popoli europei, la moneta unica non ha portato più benessere e sicurezza, forse ha evitato il peggio, anzi è sicuramente così. Ma non è che danesi e svedesi stiano peggio dei tedeschi o dei francesi. E poi il grande allargamento che non è stato davvero ancora ?digerito?, la proposta devastante della liberalizzazione dei servizi, la mobilitazione delle forze sociali per salvare la nostra Europa sociale da una logica di rilancio della crescita basata sulla sola competitività, proposta dalla Commissione ancora solo tre mesi fa.
La Francia ora si è espressa. È probabile che ci attendano almeno due anni di blocco della capacità propulsiva, con seri problemi per il difficile negoziato in corso sul bilancio dell?Unione per il 2007-2013, per l?adesione di Romania e Bulgaria, per il negoziato con la Croazia, per l?avvio del processo con i Balcani e con la Turchia. Così com?è presto per affermare che, ormai, hanno definitivamente vinto gli inglesi e che l?unico futuro per l?Europa è solo in un?area di libero scambio economico.
Bisogna ripartire dal metodo europeo, fatto di coraggio e gradualità. Bisogna riscoprire le radici, a partire dalla Dichiarazione del 1950 del ministro degli Esteri francese Schuman, che proponeva di costruire un?Europa con la pace come obiettivo, la libertà come principio, la solidarietà come metodo. E poi bisogna riscoprire e rispiegare il senso di una missione, di un progetto di progresso per il futuro, per i nostri figli e per i tanti popoli che guardano ancora con speranza all?Europa. E infine non bisogna cadere nella tentazione di ritornare tra qualche mese al segreto del negoziato intergovernativo, oligarchico e fallimentare, ma rilanciare da subito una grande strategia di comunicazione e di partecipazione dei cittadini di tutta Europa. Per arrivare, questa volta, a un referendum davvero europeo, in tutti i Paesi lo stesso giorno, sul progetto che in Europa, noi popoli europei insieme ai nostri leader e alle nostre istituzioni, vogliamo davvero costruire.
Allora anche questo esito, pur se pesante, non sarà stato una sconfitta, ma un?occasione per una nuova partenza. Il problema è: saremo all?altezza della sfida o saremo pusillanimi come negli anni 20 e, ciascuno per sé, staremo egoisticamente in attesa che gli eventi travolgano gli altri?

La scelta degli altri paesi-Sotto a chi toccaCipro è prevista in Parlamento entro giugno, mentre Malta ratificherà a luglio. A decidere, entro l’estate, anche i parlamenti di Lettonia ed Estonia. Favorevoli al Trattato Ue i parlamenti svedese e finlandese, che ratificheranno il Trattato entro la fine dell’anno. In Belgio la Costituzione Ue è già stata approvata da Senato e Camera. Più complessa la posizione di altri Paesi membri, dove il referendum rappresentava un?opzione condizionata al ?test? francese: in Gran Bretagna il referendum di ratifica è programmato all’inizio del 2006, ma ora non si sa se si farà. Anche in Polonia il governo dovrà decidere se indire o meno un referendum.
In Portogallo il referendum per la ratifica si terrà entro dicembre, e mentre il 10 luglio votano anche i lussemburghesi, in un referendum però solo consultivo, l’Irlanda non ha ancora fissato una data per la consultazione. Forte il dibattito in Danimarca, che va al referendum a settembre. Un’aspra lite è in corso anche nella Repubblica Ceca, tra il premier filo-europeo, Jiri Paroubek, e il presidente euroscettico, Vaclav Klaus. Il nuovo premier, a capo di una coalizione di centro-sinistra, ha addirittura minacciato il presidente di limitargli i viaggi all’estero se non rispetterà la politica estera del governo.

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