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Il referendum francese: il no alla luce dei fatti
Radiografia politica e sociale del No referendario francese alla Costituzione europea
Come sembra lontano il 1972, quando i francesi approvarono a larghissima maggioranza (con il 68% di sì) l’entrata del Regno Unito nell’allora Cee (Comunità economica europea). E ancor più remoto, sebbene più vicino su scala temporale, quel sì risicatissimo concesso al Trattato di Maastricht nel 1992 (51,05%). Niente da fare. Per la prima volta da quando la Francia è passata nella Quinta Repubblica, i francesi hanno detto no ad un referendum sull’Europa. Quello di ieri è stato massiccio, implacabile e incontrovertibile. Perché schiera il 55% dei francesi contro la futura Costituzione europea e perché il tasso di partecipazione al voto ha superato la quota del 70% (la più alta mai registrata per un referendum francese).
Al di là dello schiaffo inflitto più a Chirac e ai suoi acoliti (premier Rafarrin in testa) che alla Costituzione, è bene affrontare nei dettagli la natura sociologia e partitica di questo refendum. Sul piano delle forze elettorali, i primi sondaggi post-voto segnano rispetto al 1992 una crescita del sì solo tra i ranghi dei partiti di maggioranza (Ump e Udf con un sì a quota 75-80%). Clamoroso è stato il rovesciamento di fronti all’interno del Partito socialista. Clamoroso non solo perché il sì ottenuto per Maastricht ha avuto come importante protagonista il voto dei socialisti (78%), ma soprattutto perché questi ultimi hanno dato luogo a un voto interno al partito sulla Costituzione alcuni mesi fa e all’indomani del quale il sì l’aveva fatta da padrone con il 60% dei consensi. Ma colpo scena. Ieri, i dati si sono letteralmente capovolti con quasi il 60% degli iscritti o simpatizzanti socialisit pronti a dire no al Trattato europeo. Meno soprendente è stato invece lo schieramento degli elettori francesi vicini ai partiti “estremisti” (di sinistra come di destra) che all’unanimità si sono espressi in modo contrario alla ratificazioned ella Costituzione.
Al di là del rapporto di forza elettorale, l’assimetria tra i due scrutini (Maastricht e Costituzione) si è verificato soprattutto nella sociologia del voto. Nel 2005, il Sì ha attirato soprattutto quadri dirigenti e classe intellettuale (il 65% di essi hanno detto Sì alla Costituzione con una percentuale di adesione simile a quella verificatasi nel 1992 per Maastricht). Al contrario, la classi popolari e le middle-class hanno accentuato il loro No rispetto al ’92: 79% di No tra gli operai con un aumento di 18 punti percentuali; un 67% tra gli impiegati (con un + 14%); infine e soprattutto, il 53% dei lavoratori della middle-class intermediaria si sono detti contrari alla Costituzione mentre nel 1992 la maggioranza aveva detto Sì a Maastricht (62%).
La vittoria del No al referendum è il risultato di un’achimia politica indeita: la congiunzione del voto di protesta contro la politica governativa francese e del voto anti-europeo prende la scia della crisi politica apertasi con le ultime presidenziali dell’aprile 2002. All’epoca, la clamorosa bocciatura del candidato socialista Jospin e l’incredibile accesso dell’ultra-nazionalista Le Pen al secondo turno avevano lanciato l’allarme sul rigetto da parte dei francesi del sistema politico di oltralpe. Successivamente, le elezioni regionali si erano distinte per un voto sanzione alla politica governativa del tandem Chirac (presidente)- Raffarin (premier). Infine, laeuropee del 2004 furono dominate da un’astensione record (57,3%) allorquando si trattavano delle prime elezioni europee dell’era post-allargamento.
Con il rifuto di ieri, l’elettorato transalpino non ha fatto altro che accentuare la crisi politica francese: i partiti di governo, gli unici a pronunciarsi a favore della Costituzione, avevano raccolto nel 2002 solo il 65% dei suffraggi. Si trattava della percentuale più bassa degli ultimi vent’anni. Al contrario, i voti raccolti dai partiti protestatari (Partito communista, “souverainistes” di De Villiers, Fronte Nazionale e estrema sinistra) sono stati i veri protagonisti del No, confermando il successo ottenuto nelle ultime presidenziali (40% dei votanti)
In sintesi, il voto di ieri è l’espressione rafforzata del malessere politico e sociale di una larga parte dell’elettorato francese situato tra le classi operaie e burocratiche. In Francia, l’Europa ha in fin dei conti pagato la crisi nella quale sta sprofondando la classe politica francese, facendo emergere che: 1) Bruxelles sembra molto lontana dalle preoccupazioni quotidiane dei cittadini francesi; 2) la crisi socio-economica che sta colpendo la Francia è stata la protagonista assoluta di queso tonfo europeo. E i francesi “qui en ont marre” l’hanno detto a chiare lettere. Ne sono bastate due: N-O.
Aujourd’hui, avec 55 % de votes non, le référendum trouve son analogie électorale dans le scrutin historique du 21 avril, celui qui avait adressé jusqu’à ce jour le message le plus fort à l’égard du système et des dirigeants politiques. Mais aujourd’hui le message se renforce de l’expression d’un malaise social que toutes les forces politiques se doivent de prendre en compte. La construction européenne, elle, paraît être la victime collatérale de ce scrutin, tant les motivations de politique intérieure des électeurs français semblent l’avoir emporté sur les considérations européennes.
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