Famiglia

Fazio, pseudo nazionalista

Marco Vitale tira un bilancio al vetriolo della vicenda Antonveneta."Affondare nella melma di questo provincialismo anti europeo è una cosa triste e inaspettata".

di Francesco Maggio

Ma che succede? Guardando a ciò che sta accadendo oggi in Italia nel mondo bancario viene spontaneo porsi questa semplice ma ineludibile domanda. Istituti di credito che fanno gli imprenditori, banche popolari che si comportano da raiders, autorità di controllo che ?scendono in campo?, commissari europei che guardano con crescente diffidenza a Bankitalia. Davvero: che succede? Un caos del genere dove nasce? E l?etica che fine ha fatto? Appena un anno fa, lo scandalo Parmalat sembrava avesse convinto l?establishment della necessità che questa dovesse diventare la nuova parola d?ordine dell?economia, pena lo sgretolamento di quella merce tanto rara quanto indispensabile allo sviluppo economico che è la fiducia. Le scorribande finanziarie di questi giorni, a cominciare dal duello tra Bipielle e Abn Amro per la conquista di Antonveneta, sembrano aver riportato l?orologio indietro di un bel po?. In un simile frangente, conservare lo sguardo lucido sui fatti senza per questo esimersi dall?esprimere giudizi netti, è piuttosto difficile. Non per tutti, però. Certamente non per Marco Vitale, economista di rara autorevolezza, che in questa lunga intervista ad E&F aiuta a far chiarezza spiegando come stanno sul serio le cose. E&F: Professor Vitale, le banche oggi sono i veri ?imprenditori? italiani. Ritiene che potrebbero indurre le imprese a diventare più socialmente responsabili? Marco Vitale: Non sono d?accordo sull?assunto. Le banche non sono i veri ?imprenditori? italiani. Esse hanno assunto un ruolo centrale come enti finanziatori e in parte azionisti, attuali o potenziali, in alcuni grandi gruppi in crisi, come Fiat, Alitalia e altri. Questo ruolo è fisiologico in un sistema che non ha più la possibilità di scaricare sullo Stato e sul debito pubblico le grandi crisi aziendali, che sono un dato sempre presente in un?economia di mercato. È fisiologico e utile, purché le banche non cerchino di fare gli ?imprenditori?. Il loro compito è di premere per assicurare un management capace, per sviluppare una strategia logica, per trovare nuove combinazioni societarie che permettano alle banche di sfilarsi, appena possibile, dal ruolo di azionisti di fatto o di diritto. Il pericolo sarebbe se le banche, sostituendosi al mercato, cercassero di avere un ruolo stabile nel capitale dei gruppi imprenditoriali, anche in buona salute. è quello che è successo ad esempio in Germania. Ma oggi la parola d?ordine anche delle grandi banche tedesche è: uscire dal capitale delle holding industriali. Ciò non toglie che il ruolo delle banche e la loro influenza sui grandi gruppi industriali è importante e sarà crescente. Questo può indurre le imprese a diventare socialmente più responsabili? In teoria sì. Ma prima è meglio che le banche si sforzino di diventare socialmente più responsabili loro stesse. E&F: Il nostro sistema bancario è accusato di peccare di eccesso di provincialismo: perché fa così fatica a ?sprovincializzarsi?? Vitale: Bisognerebbe intendersi sul significato del termine ?provincialismo?. Se lo intendiamo in termini culturali e psicologici tutto il Paese è drammaticamente provinciale e lo diventa sempre di più. Per cui sarebbe strano che ci fosse un sistema bancario non provinciale in un Paese così drammaticamente provinciale. Se lo intendiamo, invece, riferito al solo settore bancario, quattro fattori vanno sottolineati: il sistema bancario italiano viene da decenni di chiusura provinciale e di protezione; nella ristrutturazione degli anni 90 nessuno ha indicato la sprovincializzazione come un obiettivo da perseguire; nel corso dello stesso processo sono state massacrate le poche culture bancarie che provinciali non erano (Comit, Imi, Cariplo); il sistema bancario italiano è espressione di un?economia e di una politica relativamente piccole e modeste. E&F: Lei di recente, in un articolo apparso su Corriere Economia riguardante la vendita delle industrie siderurgiche Lucchini ai russi della Severstal, sottolineava come fosse errato continuare a rimpiangere Cuccia e che bisognasse, invece, avere fiducia in alcuni banchieri di ?nuova scuola? che proprio nel caso della Lucchini avevano dimostrato di saper fare bene il proprio mestiere. Perché questi ?banchieri-rondine? non fanno primavera? Vitale: In quell?articolo mi riferivo a come alcune grandi banche, e soprattutto Banca Intesa, hanno accompagnato, passo passo, il Gruppo Lucchini lungo una crisi difficile sino ad un approdo decente, salvando il salvabile. Assolvendo, quindi, in modo corretto alla loro funzione. Replico lo stesso giudizio in relazione alla crisi Fiat e ad altri casi meno noti. Stanno imparando abbastanza velocemente. E&F: Ha senso parlare, come fa Bankitalia, di bisogno di difendere l?italianità delle banche? Vitale: Nessun senso. Quando poi si ha a che fare con integrazioni intercomunitarie questo atteggiamento è contrario agli interessi del Paese e alla sua politica di lungo termine. è da cinquant?anni che siamo impegnati a favore di un?economia e di una società europea sempre più integrate. E come italiani, sia come governi che come imprenditori che come cittadini, siamo sempre stati lucidi, coraggiosi e all?avanguardia in questo non facile processo, che è la realizzazione più grande della mia generazione. Affondare ora in questa melma di pseudo-nazionalismo senza senso, è una cosa triste e inaspettata. E&F: Secondo lei perché i grandi gruppi bancari italiani si spostano solo o, comunque prevalentemente, a Est? Vitale: I grandi gruppi italiani dovrebbero cercare di avviare un processo di integrazione parziale con grandi gruppi della Ue, contribuendo così a far nascere soggetti europei forti e capaci di contrastare il dominio delle grandi investment banks americane. Se un soggetto italiano (grande impresa, Regione Lombardia o altro), vuole fare un?emissione di qualche significato sul mercato internazionale, la lista dei candidati cui rivolgersi per guidare e realizzare l?operazione di emissione e collocamento, sarà tipicamente composta da soggetti esteri: un tedesco, un francese, un inglese e poi tutti americani. Questa è la vera sudditanza del sistema bancario italiano che, in parte, è storica ma in parte è responsabilità primaria di chi ha mal condotto la sua ristrutturazione negli anni 90 e, dunque, in primo luogo, il governatore Fazio. Rompere con questo isolamento è difficilissimo, ma attraverso alleanze strategiche qualcosa si può fare. Nel frattempo bene hanno fatto e bene fanno i gruppi italiani a radicarsi nei Paesi dell?Est europeo, dove è più facile e meno costoso entrare e dove, in prospettiva, esistono ottime possibilità di sviluppo. E&F: Sempre di recente lei è intervenuto sul tema delle banche popolari. Qual è la loro attuale missione? Vitale: Le banche popolari sono una categoria alternativa alle società per azioni liberamente contendibili. Il loro obiettivo primario è di fare banca e di fare profitti (perché sono imprese come tutte le altre) ma con un?attenzione e un impegno particolare per determinati territori dove sono radicate e per seguire lo sviluppo delle medie e piccole imprese. Inoltre la loro struttura di capitale è finalizzata ad assicurare la stabilità del capitale e la sua salvaguardia dagli avventurieri, speculatori e imprenditori portatori di una propria strategia. Per definizione mai il loro patrimonio deve essere impiegato in una logica di potere o anche solo di crescita fine a se stessa anche se stimoli in tal senso possono venire da Banca d?Italia. Lo storico requisito della mutualità è oggi sfumato ma non svanito. Ha assunto un nuovo profilo. I soci delle popolari rinunciano a certi vantaggi tipici delle spa, restringono volontariamente il loro diritto di voto, pur di avere una stabilità di capitale e di conduzione che li protegga dalle scorrerie dei capitani di sventura. In questo consiste, oggi, il patto di mutualità. E&F: Anche nel caso della Banca popolare di Lodi? Vitale: Questo patto di mutualità è platealmente tradito quando la banca si mette a cavalcare battaglie di potere, crescita dimensionale fine a se stessa, scalate ostili, quando la conduzione, palese o occulta, cade in mano a imprenditori e speculatori spregiudicati, quando – addirittura – soci importanti della banca risultano essere soggetti anonimi registrati nei paradisi fiscali (come era il caso di Calvi ai tempi dell?Ambrosiano). Nelle banche popolari non devono esistere soci occulti o soci rappresentati da fondi registrati nelle isole Caymann. Come è possibile conciliare tutto ciò con la clausola di gradimento? Come è possibile fugare il dubbio che dietro sigle così anonime e protette si nasconda qualcosa che è meglio non far sapere? Quando tutto ciò avviene è necessario che la banca perda le caratteristiche di banca popolare e si trasformi in una banca liberamente contendibile, come ha fatto, correttamente, a suo tempo, l?Antonveneta. Sono nel consiglio di una popolare ?autentica?, la Banca Popolare di Milano, consiglio formato tutto da persone senza il minimo conflitto di interesse con la banca, tutte con un?indipendenza assoluta, nessuno portatore di una propria strategia diversa da quella della banca, con voto di lista che assicura alle varie componenti di capitale una rappresentanza in consiglio, che non persegue disegni di crescita fine a se stessi o disegni speculativi. Tuttavia io vado oltre. Io penso che l?istituto delle banche popolari abbia ancora un ruolo importante da svolgere, ma che le banche popolari non dovrebbero essere quotate. Vi sono altri metodi, più adatti e più propri, per assicurare la necessaria mobilità dei titoli. E&F: Lei lo scorso anno, proprio in un?intervista a Vita a ridosso del caso Parmalat, definì l?etica in modo molto efficace come una ricerca e non come una ricetta. Che ne è oggi di quella tensione che un anno e mezzo fa sembravano in tanti possedere? Vitale: Siamo sotto zero. Lo sconcio offerto da governo e parlamento con il tentativo di legge sul risparmio, e con altre leggi o proposte o azioni deleterie e immorali ha avvelenato il Paese. Non siamo mai stati a un livello di etica pubblica così basso, a mia memoria. Anche per questo l?economia italiana va così male ed è destinata ad andare sempre peggio. E&F: Come si concluderanno a suo avviso le due opa bancarie? Chi saranno i vincitori? E chi gli sconfitti? E l?etica come ne uscirà? Vitale: Non so come andrà a finire. Sembra che ci si avvii sulla corretta via di far decidere al mercato. Ma le modalità improprie con cui si è giunti a questo punto hanno, soprattutto nel caso dell?Antonveneta, permesso e agevolato comportamenti altamente discutibili e hanno colpito a fondo, soprattutto in Europa, l?immagine di indipendenza della Banca d?Italia. E questi sono danni irreversibili. So, invece, come mi auguro che vada a finire: che, in entrambi i casi, riescano nel loro intento i nostri partner europei. Con loro vedo infatti un possibile futuro positivo per entrambe le banche. Lascerei da parte l?etica. Qui siamo in una sfera che viene molto prima dell?etica.


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