Welfare

Sofri: liberare 1 detenuto su 3

acIntervista L’ultima “provocazione” dell’ex leader di Lotta continua rinchiuso a Pisa

di Cristina Giudici

Il ?Don Bosco? di Pisa è un carcere che cigola. La luce dei riflettori che si accende e si spegne a intermittenza sul professor Adriano Sofri, condannato doc da otto mesi e mezzo, è riuscita a smussare lo spessore dei blindati. Si definisce una microspia del sistema penitenziario, ma la sua presenza in carcere equivale a un lieve sisma. Con le sue proteste , prima dell?estate, ha ottenuto l?istituzione di una commissione parlamentare e oggi, per le sue attese, si dice pronto a lasciarsi morire. Ma comunque vada a finire, il carcere dopo Sofri non sarà più lo stesso.
La sua figura, che si muove agile al ritmo delle telecamere, sfuoca, intelligentemente, sui tanti volti detenuti che non fanno la storia. E così, parlando di sé, Sofri scrive un inno dedicato ai detenuti comuni destinato a scompaginare il già caotico e febbricitante dibattito sulla giustizia in Italia.
Allora professore, la vogliamo fare un?agenda per la giustizia? Ormai lei dovrebbe avere la specializzazione…
Facciamola, facciamola, ma con cifre alla mano. Fino a quando le carceri non si svuoteranno di almeno quindicimila detenuti, non crederemo più a nessuna promessa di riforma della giustizia. Tutti i discorsi sono già stati fatti, ora vogliamo numeri. Il carcere è un mattatoio dove ogni piccola azione di infermeria equivale a un gesto eroico, ma il nostro è un problema di proporzioni. Avere quindicimila detenuti in meno è la soglia minima per poter creare le condizioni materiali e fare qualcosa; investire risorse in operatori e in progetti di rinserimento. Solo allora la galera smetterà di andare in cerca di lavoro per detenuti e smetterà di offrirli al mercato come mano d?opera a basso prezzo. Finalmente il loro lavoro potrà diventare una risorsa.
Ma il dibattito sulla giustizia non ruota attorno al numero dei detenuti, quanto al ruolo dei magistrati, la modifica dell?articolo 513, la legittimità dell?uso dei pentiti eccetera.
A noi questo dibattito interessa poco anche perché una parte della magistratura è molto vorace e tende a monopolizzare la scena: i giudici quando non arrestano, si fanno arrestare. Certo, convengo che quella di invadere altrui campi è una tentazione che prende chiunque… Ma come spiegare a migliaia di detenuti in carcere per reati risibili e irrisori che sono stati giudicati da pubblici ufficiali, corrotti e corrompibili, venduti e vendibili? Il nostro problema è e sarà sempre cambiare il carcere, una macchina digestiva che ogni giorno inghiotte ed espelle meccanicamente migliaia di persone come se fossero residui organici.
Vuole dire che nella sua agenda per la giustizia inserirebbe anche un?amnistia per reati comuni?
Certo, paradossalmente anche il problema dell?indulto deve essere ribaltato.Chiediamo che vengano rilasciati quei 15 mila detenuti che sono dentro per micro reati e che potrebbero, teoricamente, presentare il conto ai magistrati per legittima suspicione. La decarcerizzazione e la depenalizzazione andrebbero considerate nei termini giusti; qualunque reato ha ancora oggi un equivalente aritmetico, un numero che designa la privazione di una parte della vita umana. Una colossale stronzata prevista dal codice penale! Certo abbiamo fatto un passo avanti rispetto alle torture, le pene corporali etc.., ma rimane il fatto che magistrati quantificano la pena con numeri infinitesimali e uno passa 20 anni in queste celle di merda… Ci vorrebbe innanzi tutto il coraggio intellettuale per ripensare alla pena. Mi creda, questo è il punto. Nessuno, dico nessuno, che provi a dar senso e corpo ai fumosi discorsi sulle cosiddette pene alternative.
I cambiamenti rispetto al carcere sono molto oscillanti: per uno che si apre, ce ne sono dieci che chiudono e tolgono i benefici ai detenuti. Cosa ci mettiamo in agenda?
Le telecamere. Vogliamo direttori di carceri, ispettori e ministri vanitosi che si portino in carcere quattro, cinque telecamere.
Fino ad ora, però, le telecamere hanno seguito solo lei, professore.
L?ho detto fin dagli inizi, voglio essere una microspia e la mia presenza qui è servita a svolgere un?educata azione di disturbo. Auspico che ciò avvenga in tutte le carceri d?Italia, soprattutto al sud, dove le cose ovvie diventano straordinarie e ci sono ancora squadrette punitive, riti e mazzate.
Parola d?ordine è dunque: mai abbassare la guardia?
Diciamo quello che vediamo e sentiamo. La passione per lo spettacolo carcerario che oggi vibra in seno alla società civile non è frutto di morbosità come negli Usa dove un film su due parla di carcere, ma è piuttosto il prodotto di una diversa attenzione e sensibilità.
Continua a ricevere lettere dai detenuti?
Sono sommerso. Alcuni sono arrivati al punto di mandarmi i moduli per istanze di scarcerazione e mi chiedono di compilarli o carte processuali con la richiesta di rivederle. Capisce a che punto siamo?
Un voto a Flick?
Qualcuno dice che è troppo prudente e pavido nelle sue scelte rispetto alla magistratura, ma quella di nominare Alessandro Margara alla direzione delle carceri ha qualcosa di coraggioso. Margara è un magistrato molto competente e mi aspetto molto da lui.
Ernesto Olivero ha scritto di lei: ?Adriano e io nel ?68 avevamo un appuntamento, ma siamo partiti su due treni che non dovevano incontrarsi mai. E invece i fatti della vita ci hanno fatto incontrare in mille luoghi: in Cecenia e in Bosnia; in mezzo ai bambini di strada, fra le pieghe della sofferenza. Entrambi siamo stati sedotti dalla giustizia e dall?amore. Poi lo Spirito Santo ci ha fatto incontrare nel luogo più impensabile: il carcere. Là, a Pisa, ci siamo incontrati e riconosciuti subito; e ci siamo accorti che la vita non ci aveva spezzato e insieme abbiamo capito che la lotta doveva continuare?. Quanto è importante oggi questo dialogo tra cultura cristina e laica?
Il mondo cattolico oggi è, come quello non credente, più frastagliato. Sono entrambi meno sicuri di sé, ma più coraggiosi, perché hanno rinunciato alle proprie pretese. Molte parole sono appassite e altre non possono essere più usate. Come dire: siamo tutti sulla stessa barca e quindi è più facile navigare attraverso la tolleranza, la cultura e il dialogo. Del volontariato cattolico mi piace molto il fatto che a farlo siano oggi persone maggiormente indipendenti e forti; che non si spaventano dei propri buoni sentimenti. Inoltre credo molto nella creatività dei matti di provincia, fanno del bene e sono utili.
Sono passati quasi 9 mesi. In mezzo ci sono state 150 mila firme per la vostra liberazione. Cosa ne sarà di voi?
Quando sarà pronta l?istanza per la revisione del processo Calabresi inizieremo uno sciopero della fame a oltranza perché, come è noto a tutti, scoppiamo dalla voglia morire. Ovidio, a quanto sembra, è quello che ne ha più voglia, Pietrostefani lo seguirà a ruota e a me toccherà continuare battaglia per la giustizia e la verità. Almeno fino a quando ne avrò le forze. ?

L?opinione di Giovanni Maria Flick

Sofri e Benzi: ok, ma…

Comprendo l?ansia di don Oreste Benzi, ma all?orizzonte non vedo ancora alcuna eventualità di abolire il carcere. Dobbiamo cambiarlo, modificarlo e attenuarlo, personalizzando la detenzione, differenziando le carceri per reati e incrementando l?applicazione dei benefici di legge. Ma soprattutto dobbiamo costruire un?indistruttibile allenza fra efficienza e legalità. Come? Accorciando i tempi morti della giustizia, accentuando l?aspetto rieducativo e facendo del lavoro un perno del sistema penitenziario. Come la Repubblica, anche il carcere deve essere fondato sul lavoro che non può continuare a essere assistenziale, ma deve diventare produttivo. Allora sì, arriveremo al punto di modificare il concetto di pena.
Sofri dice che vuole 15mila detenuti in meno? Ebbene li avrà! La legge Simeoni-Saraceni in corso di approvazione ha questo obbiettivo e noi non siamo che fedeli esecutori delle direttive del Parlamento.
Don Benzi vuole entrare a vivere in carcere? Ebbene ci stiamo pensando. Il volontariato sta battendo una pista, ma la guida deve essere delle istituzioni. Credo che sia arrivato il momento di smetterla di dire: «Non so se mi capisce» e iniziare a dire: «Non so se mi spiego!».
Ormai abbiamo fatto molte radiografie ai raggi X del sistema carcerario. Conosciamo bene le sue malattie. Mi preoccupa molto, e in questo convengo con don Benzi, l?allarmante aumento dei suicidi che solo al settembre del 1997 sono già stati 51 contro i 48 dell?anno scorso.
Perciò stiamo istituendo un?équipe di osservazione per i ?nuovi giunti ? che in gergo carcerario vuole dire i nuovi arrivati, perché sono i più fragili e possono farsi del male. Per il resto stiamo volando alto, ma con una politica dei piccoli passi. Il carcere è un universo molto complesso e si può fare molta confusione. Insomma, io, Maria Giovanni Flick vorrei ridare le carceri al popolo.

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