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Kenya: addio safari, il leone ci serve vivo

Il Paese africano va verso il turismo sostenibile. E scopre che la natura protetta rende molto di più dei trofei senza regole.

di Angelo Ferrari

Un leone come trofeo di caccia vale poco più di 8mila dollari. E poi il leone non c?è più. Come trofeo fotografico, lo stesso leone vale 27 mila dollari. Una famiglia di elefanti nel parco dell?Amboseli, con turismo fotografico produce 617mila dollari. Basterebbe solo questo per capire come il turismo sostenibile o ecoturismo è di gran lunga più conveniente del turismo che percorre le orme dei vecchi pionieri e cacciatori che hanno battuto, palmo a palmo, la Rift Valley kenyana. I ricordi, ?vero all?alba?, dell?Hemingway esploratore sono lontani. Come sono lontani i ricordi delle tende, vere e proprie suite per ricchi, piantate in mezzo alla savana del Masai Mara o dello Tsavo. Tutto un ricordo. Ma il Kenya, per molti, rimane il miraggio esotico dei safari dal sapore nostalgico. I parchi sono invasi dai pulmini dei turisti. Eppure, in Kenya, il turismo vive una crisi profonda. Sono crollate vertiginosamente le presenze. Posti di lavoro andati in fumo, l?indotto che scompare. Le coste, brutalmente cementificate, sono abbandonate dai vip in cerca dell?esotico che fa un po? chic e che è di moda. Sono scappati altrove, magari a Zanzibar. E, a tutto questo, si aggiunge lo sradicamento della popolazione indigena. Non è raro imbattersi in un qualche masai sulle bianche spiagge di Malindi intento a giocare a pallone. Non si capisce cosa ci faccia lì se non contribuire a mantenere la famiglia, spesso numerosa, che è rimasta nei villaggi d?origine. Come non è raro, durante una safari al Masai Mara, far visita a una manyatta, l?accampamento masai. Il turista sprovveduto pensa di immergersi in un pezzo di vita vera. Ma non è sempre così. Questi masai hanno ben imparato a gestire ?l?affare turista?. Entrare nella manyatta è sempre a pagamento e, poi, come per miracolo trovi tutte le donne del villaggio pronte a venderti ogni sorta di ricordo di quel passaggio. Fino al 1997 il turismo in Kenya, oltre un milione di arrivi, rappresentava la maggior voce, nel bilancio dello Stato nel settore esportazioni, e contribuiva per il 20% al Prodotto interno lordo. Non solo. Occupava 500mila persone e l?indotto generava business nel settore agricolo e zootecnico. I padroncini dei minibus hanno avuto vita facile così come le piccole aziende e anche i singoli artigiani. Accanto a questo evidente beneficio ve ne era un altro: il giro d?affari derivante dal turismo ha prodotto un gettito che andava a rinpinguare le casse dell?autorità parchi che poteva così mantenere la rete di aeree protette. Dal 1997 è iniziata la crisi: gli arrivi si sono dimezzati e così l?impatto in termini di Pil, valuta, occupazione e indotto. L?autorità dei parchi ha subito una destrutturazione e ha visto dimezzarsi le entrate, con evidenti conseguenze sulla salvaguardia delle aree protette. Il Kenya, tuttavia, tiene molto al suo turismo. E la crisi è servita da stimolo per trovare soluzioni, anche innovative. Con la finanziaria del ?98-?99 è stato riconosciuto al turismo il ruolo di attività economica, anche grazie a uno studio dell?Unione Europea che ha evidenziato i benefici che lo Stato poteva ottenere attraverso il gettito fiscale derivante dall?attività turistica. Tanto che ha portato a individuare nuove linee di prodotto, più legate al territorio, che potessero superare il modello imposto dagli stranieri dei pacchetti tutto compreso. Il 90% del turismo, infatti, è in mano agli stranieri e per il governo keniota era difficile stimare l?imponibile vero e le entrate in termini di gettito fiscale. Il Kenya, dunque, sta andando con determinazione verso un modello di turismo responsabile con il coinvolgimento delle comunità locali, che iniziano a comprendere come il patrimonio faunistico del Paese sia una risorsa economica, se conservato, e possa produrre reddito. Lo Stato, dal canto suo, sta lavorando sulla ridefinizione del gettito fiscale e sulla sua distribuzione, comprendendo una parte che arriva direttamente alle comunità locali. Una sorta di democrazia fiscale. Uhuru Kenyatta, presidente dell?Autorità per il turismo del Kenya, conferma questo indirizzo politico. Partecipando a Outis, la fiera del viaggio e del viaggiatore a Milano, Kenyatta ha sottolineato che il suo Paese sta lavorando per il «riposizionamento nel mercato interno e internazionale del turismo, offrendo un ventaglio di prodotti sostenibili e socialmente responsabili, con opzioni e opportunità accessibili, acquistabili e contrattabili in Kenya». Modelli che vanno verso l?ecoturismo, anche se la sostenibilità la vogliono applicare al turismo in generale. «Anziché polarizzare l?offerta sul turismo di massa e, dall?altro lato, sull?ecoturismo», ha detto, sempre a Outis, Judy Kepher-Gona, responsabile dell?ecoturismo in Kenya, «ci stiamo battendo per applicare la forme della sostenibilità al turismo in generale. E i criteri per fare ciò sono tre: ambientale, economico, sociale nel senso dell?equità della distribuzione». Ed è proprio in occasione dei viaggi di Outis a Milano, che il Wwf Lombardia ha voluto presentare questo spaccato del Kenya, attraverso un testimonial di prestigio come la scrittrice Kuki Gallmann, per presentare sentieri lontani dal turismo di massa, ma ricchi di valori naturali e ambientali. «Il Wwf lombardia», ci dice Michele Candotti, responsabile regionale, «accompagna il percorso di innovazione e riconversione del prodotto turistico intrapreso dal Kenya, sensibilizzando i turisti italiani anche sui pericoli insiti nello sfruttamento dei paradisi tropicali a scopo turistico ricreativo». Per questo il Wwf stabilirà un partenariato con agenzie di viaggi e tour operator sul Kenya, assieme al tourist bord e all?Eco tourism society of Kenya.


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