Cultura

Salvati: spazio al futuro Tremonti: sì, ma dal basso

Confronti. Dialogo con tanti punti di contatto tra il vicepresidente del Consiglio e l’economista Ds

di Francesco Maggio

Pubblichiamo di seguito alcuni stralci degli interventi più significativi del dibattito, moderato da Giorgio Vittadini, tra Michele Salvati e Giulio Tremonti. Tra le numerose questioni messe a tema, ne abbiamo scelte tre, a nostro avviso emblematiche dei tempi che viviamo e di come, attraverso un dialogo davvero civile, potrebbero migliorare.

Il fattore euro
Michele Salvati: L?Italia ha tutte le capacità per uscire dal declino in cui è piombata negli ultimi anni. Il nostro Paese si è trovato più volte ad affrontare frangenti bui, basti pensare al dopoguerra o agli choc degli anni 70. La novità rispetto al passato è che mentre inflazione e debito pubblico, per citare due questioni note agli italiani, sono nemici visibili ed è facile convincere i cittadini a compiere uno sforzo comune contro di loro, nel caso del declino tutto è più complicato, più strisciante. È difficile per i politici convincere i cittadini che ci vuole un impegno straordinario per ottenere risultati che non si vedranno subito, per i quali occorrerà del tempo. D?altronde un bipolarismo funziona male quando propone tutto e subito.
Giulio Tremonti: Condivido gran parte dell?analisi di Salvati. Alla quale però subito aggiungo che il declino va visto in una dimensione internazionale, e in particolare europea. Lo spirito dei tempi non si ferma sui confini nazionali. Prendiamo per esempio l?euro: una cosa giusta fatta nei tempi sbagliati. Giusta per mettere in ordine i bilanci pubblici, per le grandi aziende, per i contratti. Ma sbagliata per il limitato tempo concesso alla doppia circolazione di euro e lira. Inoltre l?euro ha distrutto la capacità di calcolo, ci sarebbe voluta la banconota da un euro, così come gli americani hanno quella da un dollaro. Guardiamo troppo spesso all?euro dall??alto? mentre, invece, ci saremmo dovuti preoccupare anche di una sua visuale dal ?basso?.

Il fattore Europa
Michele Salvati: Il vero grande limite dell?Europa è che non parla con una voce sola. Ci sono Stati che dettano la linea più di altri, e se certi provvedimenti non passano, come per esempio la direttiva Bolkestein che vorrebbe imporre ai 25 Paesi dell?Ue le regole della concorrenza senza fissare limiti in tutte le attività di servizio, è perché Germania e Francia non vogliono. L?Europa è sempre stata vista come un super soft power, ma oggi questo potere è così soft che non di rado nemmeno si percepisce.
Giulio Tremonti: L?Europa ha subìto negli ultimi dieci anni un processo di burocratizzazione decisamente eccessivo. Tutto è diventato più rigido, bloccato. Dieci anni fa il mercato europeo era molto meno dogmatico. L?Europa deve fare come gli Stati Uniti, deve dotarsi di una politica economica forte e ben riconoscibile. Ma ci sono ancora troppi interessi nazionali che impediscono questo concerto: io stesso, quando partecipavo da ministro dell?Economia alle riunioni dell?Ecofin, percepivo diffusamente tanti «vorrei ma non posso».

Fattore non profit
Michele Salvati:
Il ruolo del non profit è importante per creare quel tessuto civico che consente a un?economia di svilupparsi. Prendiamo per esempio la Spagna, che in un paio di decenni ha conosciuto ritmi di crescita inimmaginabili: perché l?Andalusia è diventata una sorta di California europea mentre la Campania è ancora ai livelli che tutti conosciamo? Eppure sia l?Andalusia che la Campania hanno beneficiato di cospicui fondi comunitari. La spiegazione è semplice: in Andalusia c?è un sostrato civico che la Campania evidentemente non ha. Le organizzazioni non profit svolgono il prezioso ruolo di creare reti di relazione fondamentali per l?intrapresa economica.
Giulio Tremonti: Il welfare state è nato per accompagnare i cittadini dalla culla alla bara. Oggi abbiamo poche culle e poche bare. Ciò comporta una profonda rivisitazione dei ?fondamentali? alla base dei sistemi di welfare. Grazie alle centinaia di migliaia di organizzazioni non profit in cui prestano la loro opera milioni di persone, la società italiana è capace di restituire allo Stato in termini di servizi, passione, coesione quanto da questi riceve sotto forma di garanzie legali. Per questo propongo un secondo ?otto per mille? da destinare al terzo settore. Con un costo relativamente contenuto, in termini di mancato gettito fiscale, lo Stato riceverebbe molto di più, grazie all?effetto leva che saprebbe promuovere nella società. Tutto ciò, inoltre, modificherebbe anche la struttura politica, trasferendo un pezzo della sua sovranità direttamente alle persone, libere di scegliere a chi donare. Io credo che una simile proposta non sia né di destra, né di sinistra ma abbia solo il pregio di voler guardare avanti.

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