Welfare
La fabbrica dei mostri
Inchiesta Viaggio nella giustizia che stritola. Tre storie esemplari
di Redazione
Una persona normale. Con una famiglia, un giro di amici, vicini di casa, la portinaia nell?androne che saluta ogni mattina. Poi, all?improvviso, tutto cambia. Un?indagine, un delitto ripugnante, una voce, un?accusa che schiaccia, l?arresto, i giornali. E la persona ?normale? si trasforma in un mostro. La normalità si spezza, la portinaia non saluta più. E fosse solo quello. Creare mostri sembra essere diventato molto, troppo facile. Inutili i richiami al silenzio e alla discrezione; la legge sulla privacy, spesso invocata per difendere i vip dai paparazzi, è infranta da inchieste che trascinano nell?occhio del ciclone persone indagate (e quindi innocenti fino a prova contraria), esponendole alla gogna telematica di giornali e Tv, condannandole senza appello, distruggendo le loro vite. Un copione visto ormai centinaia di volte, tanto da poter essere in qualche modo codificato e descritto come un percorso a tappe, un macabro gioco dell?oca al termine del quale un cittadino si trasforma in pericolo pubblico numero uno. Sempre prima, però, che ciò possa essere dimostrato in un?aula di tribunale. Seguiremo le tappe di questo ?gioco? prendendo in esame due casi di persone accusate di pedofilia: Lorenzo Artico, l?educatore di Milano arrestato con l?accusa di aver abusato di alcuni ragazzi a lui affidati, e Francesca E., la donna di Mirandola, in provincia di Modena, suicidatasi perché incapace di sopportare l?accusa di aver venduto la figlia a un gruppo di pedofili.
L?allarme sociale
Lorenzo Artico viene arrestato il 16 maggio: lo accusa un ragazzo ospite di una comunità in cui lavorava; Francesca E. viene tirata in ballo da un?inchiesta su un gruppo di pedofili di Massa Finalese. Lorenzo avrebbe approfittato del suo ruolo di educatore per molestare sessualmente il ragazzo e alcuni suoi amici, di notte, nelle camerate; Francesca è accusata di aver venduto la figlia per dei festini sadomaso. La notizia dell?arresto di Artico, ignorata il 16 maggio, viene diffusa il 31 luglio (in coincidenza con il rinvio a giudizio). La Squadra Mobile di Milano organizza una conferenza stampa per fornire tutti i particolari, anche se la collaudata procedura vorrebbe la notizia dell?arresto diffusa con maggior risalto di quella del rinvio a giudizio. Ma a maggio non era ancora scoppiato l?allarme dei fatti di Torre Annunziata, prova a spiegare il suo avvocato, Renato Palmieri. A luglio il clima da caccia al pedofilo è al massimo, gli arresti si susseguono in tutta Italia. E il pubblico ministero Pietro Forno, su ?La Stampa? del 1° agosto, esplicita il collegamento: «Questo caso è peggio di quello di Torre Annunziata». Un?altra pentola scoperchiata. Come a Mirandola: il teste accusatorio di Francesca ha sette anni, si confida con l?assistente sociale della Usl e parla, e rivela di essere stato vittima del padre e del fratello. Poi parla di feste a cui partecipavano vari bambini e alcuni adulti. Così salta fuori una donna così così e una bambina così così, e allora l?assistente sociale le cerca ovunque, sulle strade, nei suoi ricordi. Fino a che ci arriva. Sì, certo, esistevano una donna così così e una bambina così così.
Cercasi colpevole: l?arresto
Francesca E. ha avuto un passato difficile, prostituzione, si dice, un matrimonio e una convivenza naufragati. E così l?assistente ricompone il mosaico. Non importa che il teste accusatorio, un bimbo di sette anni, non si ricordi bene, non riconosca la foto e si confonda. Tornare indietro è impossibile. Ormai in paese si parla della casa degli orrori, con tanto di messe sataniche alla presenza di un prete. Le date degli incontri non coincidono, le descrizioni neanche, ma non importa. All?alba del 16 giugno tre agenti irrompono nella casa di Francesca E. e le tolgono la bimba.
A Lorenzo Artico non va meglio: dopo il rinvio a giudizio è già condannato. Innanzitutto dai giornali. Come il Corriere della Sera del 1° agosto: «Lorenzo Artico, educatore di bambini disadattati, omosessuale e pedofilo, aveva messo radici (sic!) in una casa di ringhiera al numero 46 di via Bonaventura Zumbini». Nome e cognome e indirizzo; l?etichetta di ?omossessuale e pedofilo? appiccicata senza condizionali. Manca solo il codice fiscale: ma forse i mostri non ne meritano neppure uno. La notizia dell?arresto del mostro esce in prima pagina. Nessun riguardo per tutelarne l?identità, la vita privata, la reputazione. La cronaca locale si concentra su di lui per giorni, e ogni volta che ne parla pubblica la sua foto segnaletica. Il capo della Squadra Mobile di Milano, Lucio Carluccio, va in Tv e avverte: attenzione, è solo la punta dell?iceberg, come lui ce ne sono tanti altri, sorvegliate i vostri bambini, denunciate episodi simili. Nelle stesse ore, centinaia di bambini che conoscevano Lorenzo come allenatore di una squadra di calcio di quartiere manifestano davanti al palazzo di giustizia per la sua liberazione, ma soltanto alcuni quotidiani ne danno conto. Per tutti gli altri, il caso è chiuso.
La detenzione preventiva
Il mostro è finalmente in carcere, ma nemmeno lì smette i panni del mostro. Artico è insultato dai poliziotti, che chiudendolo in cella lo scherniscono: «Ti divertivi con i ragazzini? Adesso prova con i tunisini». Perfino i compagni di detenzione non vogliono avere niente a che fare con lui. Questa, tutto sommato, è cosa nota. Gli ?intoccabili? in carcere sono sempre esistiti, tanto che per loro – per lo più responsabili di reati sessuali – ci sono bracci riservati. Ma qui siamo sempre prima del processo. E siamo, comunque, al penultimo atto.
Anche per Francesca. All?alba del 16 giugno tre agenti irrompono in casa sua con una notifica del tribunale dei Minori e un avviso di garanzia, e le tolgono la bimba. Lei si trasferisce davanti al commissariato per protestare. Disperazione, lamette e ferite ai polsi davanti agli obiettivi dei fotografi. La sua faccia stampata sui giornali che non perdonano mai. La trasformazione è ormai compiuta. Poi lei scopre dove è tenuta la figlia e la va a trovare, in un istituto religioso. Scattano le manette: inquinamento delle prove. Francesca finisce agli arresti domiciliari. Su di lei e Lorenzo cala il sipario. Nel frattempo, un accusatore di Artico ritratta, un altro – come stabilisce una visita del perito dell?accusa – non ha mai subito violenza. Ma che importa, ormai? Giustizia è fatta.
Quale epilogo?
Il finale, come nel gioco dell?oca, è aperto. Dipende da chi tira i dadi, e non è sempre detto che sia un giocatore leale. Il processo a Lorenzo Artico è fissato per l?11 novembre. Il suo avvocato nutre forti dubbi sul fatto che sarà un procedimento equo: troppa attenzione, troppi giornali, troppi timori. I suoi amici, i genitori, il fratello iniziano lo sciopero della fame, mentre lui, che ha perso tredici chili in carcere, sta ancora lottando per avere gli arresti domiciliari. Ma non tutti i ?mostri? arrivano al processo.
Francesca vede in televisione la fatidica fuga di notizie. La perizia medica sulla sua bambina ha dato esiti positivi: ?compatibile con atti di abuso sessuale?. Corre al telefono per parlare con gli avvocati, ma in procura nessuno sa nulla. No, non è possibile che sia ancora lei, quella assistente? Francesca si sente in trappola, qualcuno la vuole punire. Perché? Non c?è più niente da fare, nessun beneficio al dubbio, la trappola si chiude, per Francesca è finita. Domenica 28 settembre interrompe la sua vita gettandosi dal balcone di casa sua, dal quinto piano. Quarantotto ore dopo, Walter Boni, procuratore capo di Modena, in un?intervista a ?La Stampa? ammette: «L?episodio è effettivamente grave, ma non può turbare le nostre indagini. Queste cose capitano, nella vita giudiziaria. Posso dire che ho dormito tranquillo. Quelle perizie (per accertare se la figlia fosse stata vittima di abusi sessuali, ndr) ci hanno fatto venire dei dubbi… ma errori comunque se ne possono fare». Una dichiarazione che fa venire i brividi. E allora giù, a volo d?angelo, un mostro va in paradiso. ?
L?opinione( di Nino Marazzita)
Ma i magistrati quando pagheranno?
Esiste una fabbrica dei mostri? Esiste un circuito perverso che coinvolge palazzi di giustizia e mass media, un circuito capace di distruggere e qualche volta uccidere innocenti? La risposta è sì: esiste.
I due casi che mi avete sottoposto lo dimostrano. Occorrono un allarme sociale capace di generare accuse infamanti, che si tratti di corruzione o di pedofilia. L?allarme sociale e l?accusa infamante muovono il protagonismo dei Pubblici ministeri e fanno audience e copie. Poi basta una voce, qualcuno che dica qualcosa per far scattare la detenzione preventiva. Il più è fatto: il mostro c?è. Ce ne possiamo scordare. Come avvocato penalista, mi sono fatto l?idea che le inchieste sulla pedofilia vengono condotte esacerbando ed esasperando i meccanismi già perversi dell?indagine giudiziaria.
Le fughe di notizie sono all?ordine del giorno, l?arresto equivale a un giudizio di colpevolezza e il pregiudizio è predominante. Così i presunti mostri vengono sbattuti in prima pagina in tempo reale, ma quando vengono assolti non si trova neanche un trafiletto. Bisognerebbe applicare la norma prevista dal codice penale sulla responsabilità civile del magistrato e obbligare i principali quotidiani a sbattere in prima pagina anche l?assoluzione dei mostri. Mi sembra di capire che nel caso di Francesca E. sia prevalso il pregiudizio: Francesca ha avuto una vita difficile, era un soggetto debole e, davanti alle accuse schiaccianti, non ha retto.
Molta responsabilità ce l?hanno i giornali, che abbracciano una tesi a priori, ma anche i magistrati che non rispettano la sensibilità degli individui indagati. Nel secondo caso, Lorenzo Artico, un educatore volontario dalla vita irreprensibile che improvvisamente diventa mostro… be?, i magistrati hanno forse ceduto al clima di caccia alle streghe e non hanno messo in connessione la personalità (ineccepibile) alla gravità del reato.
E poi, l?eccessivo accanimento dell?indagine oltre a prolungare la detenzione preventiva si ripercuote sull?intera famiglia dell?indagato. Insomma, c?è sempre qualche innocente che ci va di mezzo.
avvocato penalista
Io, ex ?mostro?
Su di me un barile di pece
Un urlo sulla spiaggia. Una donna che punta l?indice e grida: «Chiamate i carabinieri», e improvvisamente la vita di Savino Perchinunno, un pensionato sessantottenne della provincia di Foggia, è sconvolta. L?estate scorsa Savino è diventato mostro per una settimana: il tempo necessario a dimostrare che le accuse di atti osceni sulla nipotina di quattro anni erano dovute solo all?eccessiva fantasia di una bagnante. Ma sufficiente anche a sconvolgere la sua vita per sempre. Ancora oggi, a mesi di distanza, e dopo l?archiviazione dell?indagine a suo carico, il signor Perchinunno non sa dimenticare. «So solo io come mi sono sentito» dice oggi al telefono dalla sua casa di Cerignola, mentre la moglie in sottofondo non smette di urlare: «Diglielo, diglielo, il male che t?hanno fatto». Savino è un uomo semplice. Per sua stessa ammissione legge poco i giornali, e dei casi di pedofilia scoperti in tutta Italia ha solo sentito dire. Ma sa benissimo come ci si sente ad essere considerato un essere spregevole, un reietto, un mostro. «E? stato come se mi fosse caduto addosso un barile di pece» dice Savino. «E io non riuscivo più a staccarla».
Signor Savino, cosa ricorda del giorno in cui è stato arrestato?
«Ero al mare, stavo giocando con la mia nipotina, le buttavo la sabbia sulle gambe. A un certo punto una donna, distante da me una cinquantina di metri, comincia a guardarmi con insistenza e poi si mette a urlare. Qualcuno va a chiamare i carabinieri e dopo pochi minuti mi arrestano lì, davanti a centinaia di pesone sulla spiaggia, accusandomi di aver toccato mia nipote. Io non capivo, ero disorientato. Ero sicuro che quella donna fosse pazza. Comunque sono andato volentieri in caserma perché pensavo che avrei potuto dire le mie ragioni, spiegare. Invece…»
Cosa è successo?
«E? precipitato tutto. Mi sembrava di essere in un altro mondo. Il maresciallo non mi credeva, anzi, non mi ascoltava neanche. Continuava a ripetermi le accuse di quella signora, mi trattava come il peggior delinquente del mondo. Hanno visitato la mia nipotina e non hanno trovato tracce di violenza, hanno perquisito anche me, lì in caserma, in modo umiliante. Anche questo non dimenticherò. Eppure i carabinieri insistevano, mi ignoravano completamente. In quei momenti pensavo che non ne sarei uscito più. Prima avevo una grande ammirazione per le forze dell?ordine, pensavo che difendessero i cittadini. Adesso li disprezzo. Per fortuna davanti al giudice ho potuto chiarire tutto e sono stato subito rilasciato».
Adesso come si sente?
«Non sono più lo stesso. Sono ancora scioccato, voglio solo dimenticare, ma non è facile. La maggior parte dei miei compaesani mi sono stati vicini, perché mi conoscono da anni e sanno che non sarei capace di fare cose del genere. Ma certi sguardi mi fanno capire che in qualcuno il sospetto è rimasto. Sono cose che si sentono, e fanno male. La mia vita era tranquilla, e a un certo punto è stata investita da un mare di nero. In fondo, io sono stato fortunato a incontrare un giudice che ha avuto la bontà di ascoltarmi. Se fosse stato per il maresciallo, invece, a quest?ora sarei sicuramente in prigione».
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