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Meno ore di lavoro nero

Occupazione Che cosa deve cambiare dopo l’ipotesi del governo sulla riduzione dell’orario

di A. Capannini

Le 35 ore? Secondo Giugni, padre dello statuto dei lavoratori, avrà tra le sue conseguenze quella di far lievitare la già impressionante area del lavoro nero. Non sarebbe un gran risultato, soprattutto se si pensa che, secondo i dati da poco resi noti dall?Ispettorato del lavoro del 1996, una azienda su 3 in Italia presentano irregolarità nell?inquadramento dei propri lavoratori. Un dato di realtà di fronte a cui si è decisa, nel luglio scorso, l?istituzione di una vera e propria task force di carabinieri per stanare il lavoro sommerso, cioè migliaia di miliardi di evasione. Si tratta di un nucleo speciale dell?Arma, alle dirette dipendenze del ministero del Lavoro, istituito con un decreto del 31 luglio di quest?anno. Una forza di 373 uomini, in maggioranza giovani con un buon titolo di studio e una formazione adeguata, sparsi su tutto il territorio nazionale. Ecco uno dei tanti casi di irregolarità che hanno scoperto. Non è ancora giorno fatto quando i carabinieri, otto in tutto, arrivano all?improvviso in un campo di fragole del veronese e sorprendono decine di immigrati slavi intenti nella raccolta. Molti sono giovani sopra i trent?anni, ma qualche viso troppo gracile tradisce un?età molto più bassa. I carabinieri sono lì non per la solita retata di clandestini, ma per una delle prime operazioni del ?Comando ispettorato del lavoro?. L?operazione veronese finora è la più imponente. E ha avuto il merito di far emergere una storia di duplice sfruttamento del lavoro irregolare, prima ai danni di italiani, poi degli stranieri. Prima di reclutare lavoratori slavi, infatti, le aziende agricole si erano accordate con la prefettura e le associazioni di categoria per l?occupazione stagionale di braccianti pugliesi. Verona chiama e la Puglia risponde. Settecento operai partiti dal Salento e arrivati in Veneto erano stati portati nelle campagne per il lavoro. Ma al momento di ricevere la paga, i soldi in busta non sono quelli pattuiti, e lo stesso vale per i diritti sindacali e i contributi pensionistici. Gli operai non ci pensano due volte e tornano a casa a mani vuote. Le fragole, però, rimangono nei campi e le aziende hanno bisogno di manovalanza. Non resta che una soluzione: assoldare immigrati a costi ridottissimi. Però neanche stavolta si fa in tempo a completare la raccolta. Ma chi sono questi difensori del lavoro regolare? «Sono carabinieri che provengono da reparti speciali e che ricevono in più una formazione particolare», spiega il colonnello Scialdone, responsabile del comando. «La loro funzione è soprattutto ispettiva, mai repressiva, ed è necessaria per tenere viva l?attenzione sull?applicazione delle normative del lavoro». Ci sono voluti due anni per applicare il decreto ministeriale, reiterato dal ?95 ben 14 volte. Ma ci si chiede se sia necessaria la forza pubblica per scovare il lavoro sommerso. Non ci dovrebbero già pensare l?ispettorato al lavoro e i servizi delle Usl? «Non è così semplice», continua Scialdone, «complice la carenza di organico degli ispettorati e l?infiltrazione della criminalità organizzata e del caporalato nelle attività lavorative». Lavoro nero, oltre a evasione fiscale, significa anche infortuni e morti, tenuti nascosti o fatti passare come incidenti. Sono circa 20 mila, secondo le stime dell?Inail, gli infortuni che ogni anno vedono coinvolti i lavoratori ?sommersi?. Senza distinzioni tra nord e sud, perché lo sfruttamento esiste anche dove il lavoro regolare è assicurato dallo sviluppo industriale. Tanto che in 3 mesi di attività sono state compiute circa 250 ispezioni che hanno fatto emergere realtà insospettabili. A Rimini, per esempio, la stagione vacanziera dà lavoro stagionale non solo ai disoccupati, ma anche a marescialli dell?esercito che da mezzanotte in poi fanno i ?buttafuori? nelle discoteche o a ferrovieri che diventano portieri di notte. Insomma, la clandestinità viaggia di pari passo con il lavoro regolare. «Non è tanto importante la quantità delle operazioni», dice ancora Scialdone, «ma l?acquisizione di notizie, le indagini. Per questo è indispensabile la collaborazione con le unità territoriali». Cioè le caserme di provincia, in cui i carabinieri conoscono palmo a palmo la zona. D?altronde, le segnalazioni di irregolarità vengono proprio dalla gente comune. Preso atto, dunque, e documentata la vastità del fenomeno bisognerà passare dalle misure repressive, utili alla denuncia di alcune irregolarità, all?indicazione di regole fiscali e contrattuali che permettano l?emersione del lavoro sommerso. ? L?opinione di Giuliano Cazzola Tutta colpa del fisco Nel momento in cui il lavoro nero coinvolge più di 4 milioni di persone nel Paese, occorre capire che la soluzione non può venire ?manu militari?. E individuare le cause di questa situazione. Io ne indico alcune. Anzitutto, il costo del lavoro. O meglio quello che gli esperti chiamano cuneo fiscale e contributivo, cioè la differenza tra il costo del lavoro e la retribuzione netta. Da noi il cuneo è tra i più divaricati del mondo: per assicurare a un operaio dell?industria manifatturiera 100 lire nette, il datore di lavoro ne sborsa 205, mentre il salario nominale è di 138. Abbiamo messo il dito sul principale killer dell?occupazione, la più importante causa del lavoro nero. Tutto ciò non nasce per caso. Il costo del lavoro è l?altra faccia dello Stato sociale, le cui regole tutelano i lavoratori sindacalizzati e basta. Così un alto costo del fattore lavoro, destinato al finanziamento del sistema di sicurezza sociale del mercato garantito, distrugge quel tessuto di nuova occupazione da cui dovrebbero venire le risorse per il sostentamento del sistema stesso. Ne deriva che i due mercati del lavoro (quello tutelato e quello no) non comunicano e le fortune del primo sfruttano le disgrazie del secondo. L?altra causa del lavoro nero risiede in una struttura contrattuale che pretende di essere nazionale e uniforme in modo avulso dai divari socio-economici del Paese. Sono i guasti causati dalla lobby dei pensionandi e pensionati, che fanno dell?Italia una repubblica gerontocratica.


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