Mondo

IO li condanno a sperare

Pena di morte Per la prima volta parla di sé la suora che ha ispirato il film “Dead man walking”

di Giovanni Moro

Da quindici anni sister Helen Prejan da New Orleans attraversa portoni blindati, porte scorrevoli con sbarre d?acciaio, corridoi illuminati da lampade al neon. Da quindici anni frequenta prigioni di massima sicurezza nelle quali sono rinchiusi i dead men walking, i morti che camminano, i condannati alla pena capitale come Joseph O?Dell. Da quindici anni questa suora cattolica minuta e infaticabile che vive nel profondo Sud degli Stati Uniti reca il suo conforto, la sua attenzione, la sua capacità di ascoltare e capire, agli uomini senza futuro, ai ?vermi?, ai ?mostri?, ai ?rifiuti della società?, come vengono definiti nei tribunali americani coloro che si sono macchiati di un crimine inaccettabile come l?omicidio. E da quindici anni porta avanti la sua battaglia senza sosta contro la pena di morte in un Paese – gli Stati Unti, una democrazia evoluta e compiuta – affetto da una insaziabile voglia di capestro, da un incoercibile desiderio di vendetta.
Tutto è cominciato per caso, nel 1982, racconta suor Helen, giunta a Roma per presentare il saggio-best seller di Thomas Cahill ?Come gli irlandesi salvarono la civiltà? (Fazi Editore): «Tornavo a casa insieme a un amico che faceva assistenza ai detenuti nelle carceri della Lousiana. A un certo punto mi chiese se volevo diventare la guida spirituale di un condannato a morte. Io non avevo mai pensato a un?esperienza del genere, non mi ero mai occupata di pena di morte o detenuti. Cercavo di aiutare come potevo la gente povera di New Orleans, quella che viveva nei quartieri neri, più degradati. Per tanto tempo, da quando avevo preso i voti fino a quarant?anni, pur pregando per la povera gente, non ero mai entrata in contatto con loro. Poi improvvisamente era nato in me il desiderio di aiutare queste persone direttamente. E avevo cominciato a frequentare i quartieri più poveri, a convivere con gli spari durante la notte, con il sangue delle persone uccise sparso sui marciapiedi, con la droga, l?analfabetismo, la mancanza di istruzione, l?assenza di opportunità. Negli Stati Uniti l?opinione più diffusa riguardo le persone che vivono in miseria è che in definitiva meritano la loro condizione: non sono stati capaci di realizzare il grande American Dream, il sogno americano. Questo fa sì che sia molto diffusa la tendenza ad affrontare i problemi sociali in modo violento, a tagliare il welfare, lo stato sociale, e poi a spendere venti volte tanto per combattere quella criminalità che nasce dalla miseria. Ad ogni modo, decisi di scrivere al detenuto che il mio amico mi segnalò».
Si trattava di Patrick Sonnier, condannato a morte per l?omicidio di due ragazzi: David LeBlanc di 16 anni e Loretta Bourque di 18. L?incontro con il condannato nel braccio della morte lascia stupefatta suor Helen: «Non sapevo come avrei reagito a incontrare una persona che aveva commesso un crimine così orribile. Di lui conoscevo solo quel poco che aveva scritto nelle lettere: sapevo della sua cella larga sei piedi dove passava la giornata, delle pareti nude, del piccolo lavabo, del fatto che nessuno lo andava mai a trovare. Attraverso le sue parole mi ero resa conto che le prigioni sono grandi luoghi di abbandono, costruiti miglia e miglia lontano dalle città, dalle famiglie dei detenuti, quasi irraggiungibili. Gli scrissi che volevo andarlo a trovare e lui mi rispose che gli sembrava incredibile che una persona volesse scomodarsi per fargli visita. Arrivai ed ero molto nervosa. L?idea di trovarmi faccia a faccia con un assassino mi turbava molto. Mi chiedevo: sarò capace di parlare con qualcuno che ha fatto una cosa così terribile come uccidere un?altra persona? Lui comparve dietro una grata dalle sbarre di ferro, i polsi e le caviglie in catene. Sorrideva ed era così contento di vedermi che non la smetteva più di parlare, mentre io lo ascoltavo in silenzio. Ecco, mi appariva per quello che era: un essere umano».
Sister Helen rimane in contatto per due anni con Patrick, fino al 5 aprile 1984, quando alle 12.07 il giovane assassino (interpretato da Sean Penn nel film Dead man walking di Tim Robbins) viene giustiziato con una prima scarica elettrica da 2000 volt e una seconda da 500. In quei due anni, leggendo i ritagli e le carte del processo, la guida spirituale conosce a fondo il suo ?assistito?, si rende conto del crimine da lui commesso: «Volevo sapere tutto del suo caso per essere capace di condividere insieme a lui il dolore e il peso di quel delitto, la cosa peggiore che avesse compiuto in vita sua. Ricordo ancora il pomeriggio in cui aprii gi incartamenti, mentre la luce rossa del tramonto penetrava attraverso la finestra. Appresi nei dettagli quanto orribile fosse stata la violenza commessa. Pensai subito ai genitori delle vittime e mi chiesi: devo andare a trovarli? E se loro mi dicono di essere favorevoli alla pena capitale? Se mi chiedono se anch?io aspetto con ansia il giorno in cui Patrick verrà giustiziato? Cosa potrò dire loro? Ero molto combattuta. E così sono rimasta lontana da quelle famiglie. E ho sbagliato, perché anche i familiari delle vittime hanno bisogno di conforto. Il giorno dell?esecuzione i genitori di David LeBlanc mi dissero: ?Suor Helen, lei è andata a trovare Sonnier, ma nessuno è venuto da noi a chiedere come stavamo, quali erano i nostri sentimenti. Siamo stati lasciati da soli con il nostro dolore?. Ho capito allora che il nostro compito è anche curare le ferite di chi ha sofferto per la perdita di un familiare, riconciliare queste persone con il mondo».
Dalle cronache dei giornali dell?epoca si legge che prima di morire fulminato sulla sedia elettrica, Patrick ha chiesto perdono ai genitori delle vittime. «Ma la pena di morte non aiuta i condannati a pentirsi e a provare rimorso per il dolore che hanno inflitto» prosegue la paladina degli abolizionisti. «Chi aspetta di morire ha paura e l?istinto di conservazione lo spinge a concentrarsi su se stesso, sulla sua fine imminente. Non c?è spazio allora per il pentimento, i condannati si sentono essi stessi vittime e non riescono a pensare ad altro che al momento in cui moriranno. Patrick Sonnier mi chiedeva: ?Sister Helen, sarò cosciente quando l?elettricità attraverserà il mio corpo? Soffrirò??. La sedia elettrica è terribile: le autopsie sui corpi dei condannati hanno dimostrato che il corpo viene bruciato, ma il cervello subisce danni molto contenuti e quindi il livello di coscienza rimane probabilmente elevato per un lungo intervallo prima che sopraggiunga la morte. Ma non è questo il punto. Un?esecuzione capitale consiste in questo: rimuovere a poco a poco una persona dalla comunità, sottrarla alla vista, trasformarla in un?entità astratta, un mostro incapace di sentimenti umani, cancellarla prima ancora di ucciderla. Così, il momento dell?esecuzione diventa una pura formalità, una notizia breve da infilare in un trafiletto in giorno dopo. E la terribile realtà della condanna a morte, la sua violenza programmata, premeditata, l?ordinaria amministrazione dell?orrore non sono attenuate dalla circostanza che venga utilizzato un metodo di esecuzione solo apparentemente più umano». Nel film Dead man walking Tim Robbins decise di far morire il condannato Matthew Poncelete non come Patrick, sulla sedia elettrica, ma con un?iniezione letale, benché da un punto di vista spettacolare la ?sedia? sarebbe stata più efficace. Chiese a sister Helen cosa ne pensasse e lei rispose che era d?accordo: «Non esiste un modo umano di uccidere. La condanna a morte è prima di tutto una tortura: il detenuto immagina mille volte la sua morte, la anticipa e muore mille volte nella sua mente prima di morire davvero. Ci sono dei diritti umani così profondi e irrinunciabili che non sono negoziabili, non posso essere garantiti sol da chi agisce bene e sottratti a chi commette un crimine, per quanto grave esso sia. Lo Spirito di Dio che soffia nel mondo garantisce a tutti questi diritti fondamentali e nessuno può avere il diritto di disporne. Ecco la ragione più profonda e vera per la quale bisogna essere contro la pena di morte e lottare per abolirla».
Sister Helen ha seguito diversi condannati. L?ultima condanna, quella di Joseph O?Dell, è giunta alla fine di una lunga battaglia legale che ha coinvolta l?Italia, Papa compreso, lasciando indifferenti gli Stati Uniti e il governatore dello stato della Virginia: «Ogni volta dopo un?esecuzione mi sento ridotta in pezzi, vittima io stessa di una violenza fredda e insanabile. Alla fine, o si è sopraffatti dall?orrore o la rabbia per l?ingiustizia dà nuova energia, viene canalizzata nello sforzo per la vita e la giustizia. Io rimango fedele a coloro che sono stati giustiziati portando avanti la lotta, vivendo, pregando, dedicandomi anche a me stessa, all?arte, alla musica, alle piante, ai fiori, alla mia comunità. In questo sforzo si realizza la santità della vita».
«La cosa più terribile», prosegue, «è che nel mio Paese il 70 per cento dei cattolici è favorevole alla pena di morte, nonostante la Chiesa con la nuova versione del catechismo si sia pronunciata chiaramente contro la moderna versione della legge del Taglione. Lloyd LeBlanc, padre di David, mi ha raccontato di un prete che dal pulpito ha affermato che la pena capitale è in linea con gli insegnamenti del Vangelo. Cioè con il Dio che giudica a punisce senza pietà. Non è questa l?immagine che io ho di Dio. Dio è misericordioso, capace di perdono. E poi non dobbiamo dimenticare che il 99 per cento delle persone rinchiuse nel braccio della morte dei penitenziari americani sono neri o persone che hanno sempre vissuto nella miseria, nella violenza, nell?ignoranza, che non hanno avuto alcuna possibilità. Questa è l?ingiustizia, la ferita più profonda che attraversa e lacera il mio Paese: sono solo i poveri a pagare con la vita i loro crimini». Ora le energie di sister Helen sono concentrate su Dobie Williams, giovane nero della Louisiana che vive in una sorta di limbo in attesa di conoscere il suo destino. «Credo che sia innocente. E in nome di questa convinzione continuo a lottare sperando che sia fatta giustizia. Ma anche se lo sapessi colpevole, farei di tutto per evitargli la condanna a morte. E fino al giorno in cui morirò, lotterò per abolire la pena capitale. Tante persone nel vostro Paese hanno partecipato alla veglia il giorno dell?esecuzione di O?Dell. Ogni volta che la candela della coscienza arde per i diritti umani, facciamo un passo in più verso la meta: far scomparire la pena di morte dalla faccia della terra». ?

Internet

Tutti i siti di chi dice no

I siti Internet dedicati alla pena di morte e alla lotta per la sua abolizione sono numerosi. L?indirizzo http://www.abolition-now.com è ricchissimo di riferimenti e link ai più disparati argomenti e soggetti relativi alla condanna capitale: argomentazioni a favore della causa abolizionista, informazioni su condannati nel braccio della morte per i quali sono emerse nel frattempo prove di innocenza, collegamenti ad altri siti. Ancora più ricco e completo ?Punishment and Death Penalty? (Pene e pena di morte) presso http://ethics.acusd.edu/ death_penalty.html: la bibliografia di testi e ipertesti è veramente sterminata. Nella pagina principale si trova anche il link al sito ?Angel on Death Row – Portrait of Sr. Helen Prejean? (Un angelo nel braccio della morte – Ritratto di Suor Helen, http://www2.pbs.org /wgbh/pages/frontline/angel/).
Vale la pena in particolare leggere l?intervista (in inglese) alla paladina dei diritti umani e gli articoli pubblicati dal ?The Times-Picayune? in occasione della esecuzione di Patrick Sonnier. All?indirizzo http://www. quaker.org/fcadp c?è il ?Comitato di amici per l?abolizione della pena di morte?, mentre http://www.mcgill. pvt.k12.al.us/ jerryd /cm/death.htm è il sito di ?The Catholic Mobile Death Penalty Page?. In italiano, si può visitare il sito di Amnesty International Italia (http://www.amnesty.it).

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