Non profit

Le regole del successo

Manager/2 Ruolo, caratteristiche e attività dell’imprenditore sociale. II parte

di Redazione

Le aree di attività, sia di associazioni che di cooperative sociali, sembrano essere piuttosto ampie e diversificate, con svariati interventi su numerosi e diversi tipi di utenti, differenti patologie e problemi. Le organizzazioni non profit appaiono come delle multi-servizi segmentate e per progetti e aree di intervento. Questo si può spiegare pensando che il non profit debba cercare di sfruttare tutte le opportunità che via via possono presentarsi, in vari ambiti di intervento, e che, in questo senso, una elevata de-specializzazione può essere una carta vincente; tuttavia essa potrebbe rivelarsi come un punto di debolezza, nel momento in cui potrebbe causare la defocalizzazione della mission, la mancanza di competenze ed esperienze specifiche, dunque confusione e debolezza della cultura organizzativa, una scarsa specializzazione delle risorse umane e genericità dei processi operativi. Ecco che il manager non profit deve saper cogliere soltanto i vantaggi della de-specializzazione, compensandone le debolezze con una sotto-specializzazione all?interno dei progetti / delle aree, oppure decidere di cogliere opportunità di nicchia, specializzandovi l?organizzazione. Il manager sociale: un generalista, ma con prudenza Rispetto alla tendenza alla de-specializzazione delle non profit, l?imprenditore sociale è imprenditore di una impresa multi-prodotto, il che determina vari aspetti della gestione, dalle diverse competenze coesistenti, ai vari settori interni, ognuno con la propria funzione, ai diversi gruppi di clienti, ognuno con i suoi bisogni, e così via. In particolare, l?imprenditore sociale deve costantemente tenere sotto controllo l?effettiva convenienza a mantenere l?impresa multi-prodotto, o, piuttosto, valutare l?opportunità di focalizzarne maggiormente le competenze, magari su nicchie di bisogni comunque sufficienti rispetto alla capacità produttiva e al volume di attività proporzionate all?ente, e vincenti per la sua immagine e qualità. Le attività crescono… ma i finanziamenti no Sembra prevedibile, per associazioni e cooperative sociali, un aumento del volume di attività, probabilmente a causa, da un lato, del processo di esternalizzazione di funzioni da parte del settore pubblico e, dall?altro, dei bisogni crescenti da parte delle collettività. A fronte di ciò, però, non sono altrettanto previsti degli aumenti nei finanziamenti, dunque nemmeno la possibilità di pagare, o pagare meglio, i collaboratori, pur prevedendo, in particolare nelle cooperative sociali, di poter assorbire nuove risorse lavorative, anche retribuite. Peraltro, pur differenziandosi abbastanza le cooperative sociali dalle associazioni, relativamente alle fonti di finanziamento, entrambe sono comunque caratterizzate da un grado elevato di dipendenza dai trasferimenti pubblici. Le cooperative presentano quasi un 70 per cento di finanziamenti derivanti da contributi di enti pubblici, il che indica una dipendenza decisamente forte, e soltanto un 20 per cento circa di finanziamenti derivanti da fonti proprie, quali quote associative, raccolta di fondi e svolgimento di attività commerciali marginali. Le associazioni presentano una dipendenza meno forte, con un 50 per cento circa di risorse derivanti da donazioni, lasciti, quote associative, raccolta di fondi e svolgimento di attività commerciali marginali, e un 40 per cento scarso derivante da contributi pubblici. Si tratta, in ogni caso, di gradi di subordinazione alquanto elevati, pensando che le attività potranno aumentare, dunque aumenterà il fabbisogno di risorse, ma non è pensabile che aumentino proporzionalmente i già significativi trasferimenti. Probabilmente, anche a causa del grande e crescente volume di attività, oltre che per ragioni culturali, la quasi totalità delle risorse e delle strutture si concentra sulle aree operative, di produzione e distribuzione dei servizi, mentre restano molto modestamente coperte le funzioni gestionali, di raccolta di fondi, marketing e relazioni esterne, di direzione e strategia, di contabilità e gestione economico-finanziaria, né si investono risorse sufficienti sulla crescita delle persone e delle loro professionalità, sulla ricerca e sviluppo, sull?innovazione. Il manager non profit si trova quindi a dover acquisire e gestire un portafoglio diversificato di fonti di finanziamento per l?ente non profit, all?aumentare delle attività a esso affidate, e a curare l?investimento sull?organizzazione e la gestione dell?ente stesso, all?aumentare delle dimensioni e della complessità. Investire sulle persone, farsi finanziare le idee Come, e più, di ogni buon imprenditore, anche il manager solidale non permette che la disponibilità di risorse limiti le opportunità di crescita e sviluppo. Piuttosto, si attiva per reperire risorse aggiuntive, acquisendo fonti alternative, diversificano il portafoglio e riducendo così la dipendenza da una o poche fonti troppo consistenti, e, già solo per questo, rischiose. Il manager solidale sa anche molto bene che la disponibilità di risorse finanziarie non basta, di per sé, a fare fronte a una organizzazione più grande e complessa. Occorre anche investire sulle aree gestionali , dotandole di adeguate risorse umane, gestire attentamente e far crescere le persone, che nel non profit sono ?la risorsa? per eccellenza, grazie alla formazione, potenziare l?imprenditorialità e la competitività dell?ente nel suo complesso. Le risorse umane: qualificate, ma abbandonate a se stesse Le risorse umane che collaborano con le associazioni e le cooperative sociali appaiono caratterizzate da una elevata numerosità, poichè ciascuna persona dedica, mediamente, poche ore alla settimana alla non profit, da una forte eterogeneità: associati e soci, volontari, personale remunerato a vario titolo, collaboratori esterni, obiettori, religiosi, soggetti svantaggiati nelle cooperative sociali di tipo b, e da un livello di formazione di base prevalentemente medio. Dal momento che le risorse umane della non profit provengono, in molti casi, oltre che da altre istituzioni non profit, anche da imprese private e da altri settori di attività, si verifica la compresenza, all?interno dell?organizzazione non profit, di culture che possono essere tra di loro assai differenti, il che può essere produttivo, ma anche portatore di complessità. Tutti questi elementi determinano la particolare criticità della gestione delle risorse umane, che, tra le aree gestionali, compare infatti al secondo posto, in quanto ad allocazione di risorse, dopo la contabilità, segreteria e gestione patrimoniale. Sia da parte dei collaboratori che nell?opinione delle istituzioni non profit, le principali motivazioni a collaborare stanno nell?arricchimento professionale e nelle opportunità di formazione, e ancora di più nella possibilità di impiegare il proprio tempo libero e nell?interesse rispetto all?attività dell?ente. I criteri di selezione, da parte delle istituzioni, vanno a verificare: la competenza professionale e la formazione, la motivazione e il coinvolgimento sul non profit, particolari condizioni del soggetto, nelle cooperative sociali di tipo b per fine statutario. Valorizzare e motivare con rigore e autorevolezza Il manager solidale ha certamente una funzione essenziale, nel gestire le risorse umane, e lo deve fare unendo carisma con autorevolezza, delega con controllo, personalizzazione con strategia. La gestione delle risorse umane deve articolarsi in modo da garantire buoni meccanismi di selezione e inserimento, una buona amministrazione e un produttivo funzionamento delle persone, opportuni strumenti di verifica, responsabilizzazione e incentivo, la protezione delle motivazioni, la crescita delle professionalità, e, naturalmente, un ottimale funzionamento dell?organizzazione e la migliore qualità dei suoi output. (2. fine. La prima parte è stata pubblicata su Vita della scorsa settimana ) A cura di Anna Merlo


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA