Cultura

Candeggina e pietà, ma marburg non si arrende

Il virus, di solito letale nel 30% dei casi, ha invece fatto vittime 9 volte su 10. E mentre l’epidemia continua, ong e medici lavorano in una unità di crisi internazionale

di Emanuela Citterio

A un mese di distanza dalla morte della pediatra italiana Maria Bonino, il virus di Marburg continua a uccidere. Con una tipologia differente al passato: colpisce soprattutto i bambini e ha un tasso di mortalità molto più alto del previsto. Sui 266 casi di infezione documentati dall?Organizzazione mondiale della sanità, 244 sono stati fatali. Una mortalità superiore al 90%, mentre in passato la percentuale è variata dal 30 al 55 e non ha mai superato l?83. Si tratta, inoltre, della più vasta infezione da Marburg avvenuta finora (il virus aveva fatto 123 morti nella Repubblica democratica del Congo tra il 1998 e il 2000). «Potrebbe trattarsi di una variazione antigenica del virus», ipotizza Dante Carraro, medico e vicepresidente Cuamm. Marburg fa parte della famiglia dei filovirus, che hanno una particolare capacità di adattamento. «Ma l?alta mortalità potrebbe essere dovuta anche alle condizioni igieniche precarie del contesto in cui si è innestato il virus», precisa Carraro. In Angola è stata costituita un?unità di crisi, di cui fanno parte Médécins sans frontières, gli esperti dell?Oms, il Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (Usa), il Cuamm e la Croce Rossa internazionale. La maggior parte dei casi è localizzata nella zona di Uige, con 253 infezioni e 233 morti. L?Oms considera molto bassa la probabilità di una diffusione internazionale del virus. Nell?ospedale di Uige è intervenuta anche un?équipe di Medici senza frontiere Spagna. «Abbiamo deciso di focalizzarci sui nuovi arrivi nell?unità di isolamento messa in piedi da Msf nell?ospedale di Uige», dice l?epidemiologo Vincent Brown. A Uige i pazienti passano da un?infermeria di selezione e vengono sottoposti a un test rapido per verificare se si tratta di Marburg. In caso positivo, entrano nell?unità di isolamento gestita da Msf, altrimenti vengono ricoverati in ospedale. «Abbiamo tenuto aperta la struttura ospedaliera per i casi urgenti», afferma Carraro. «Lo spostamento delle persone ammalate rischiava di allargare l?epidemia». I medici Cuamm a Uige sono otto. Oltre a curare i pazienti dell?ospedale, lavorano con il governatorato della provincia per la formazione del personale locale circa le precauzioni da prendere per non contrarre il virus, e per una sensibilizzazione sul territorio. Alcuni casi sono stati accertati anche a Songo, a 40 chilometri da Uige. «Tra il 12 e il 19 marzo abbiamo avuto sei bambini malati», dice Emanuela De Vivo, internista del Cuamm. «Uno dei problemi a Songo è che non c?è acqua in ospedale, bisogna andare a prenderla alla cisterna due volte alla settimana». All?inizio dell?epidemia c?è stata diffidenza da parte della popolazione. «Il corpo delle vittime deve essere richiuso in un sacco di plastica e cosparso di candeggina prima di essere seppellito, per evitare il contagio», spiega la De Vivo. «Una mamma che aveva perso sua figlia mi ha detto che non voleva fosse trattata come un cane. Aveva ragione lei, e avevo ragione anch?io. Ma in questi casi non c?è alternativa».


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