Volontariato

La star e la carit

Il regista turco, reduce da un film controcorrente come Cuore sacro, ha tenuto un incontro alla Casa della Carità di Milano.Miriam D'Ambrosio

di Redazione

Casa della Carità, Milano. Oggi si parla di cinema. Ma non è un fuori programma. Infatti ospite della struttura di accoglienza voluta dal cardinale Martini e presieduta da don Virginio Colmegna, è Ferzan Ozpetek, il regista di un film che tanto ha fatto discutere, Cuore sacro. Ha avuto coraggio Ozpetek. Ha realizzato un film che si è imposto come un?urgenza. Un film controcorrente che non sa compiacere il mercato, non parla di sesso con le sue ambiguità trattate da lui sempre con ironia e incanto. La doppiezza di Cuore sacro sta nell?oscillare tra mondo dei vivi e mondo dei morti (?gli sgusciati?), tra follia e santità. Con Ozptek alla Casa della Carità c?era l?attrice Barbora Bobulova, che nel film interpreta il ruolo della protagonista, Irene Ravelli. Con loro, ovviamente, don Colmegna e padre Giovanni Nicolini, direttore Caritas di Bologna. «Sono andato a vedere il film qualche giorno fa perché ero curioso di questo san Francesco al femminile», dice don Virginio, «la protagonista è una che vuole essere libera dalle istituzioni, seguire la sua via. E come tutti quelli che si avviano verso la santità, ci appare un po? folle, estrema». «Irene, la protagonista, appare santa e pazza insieme», racconta Ozpetek. «Il dubbio si insinua durante tutto il suo percorso. La vita è imprevedibile. E nei momenti più difficili, a volte, diventa più generosa. Cambia, ci cambia. Io, per esempio, sono come un ragazzino che non sa quello che fa. Magari tra un anno smetto pure di fare cinema!». Nel film Irene Ravelli è una manager senza troppi scrupoli, che a un certo punto dei suoi giorni, segue il suo movimento interiore. E si spoglia di abiti e gioielli, donandoli a chiunque si trovi sul cammino, dalla donna di colore con bambino al pendolare di turno. La scena è stata girata all?Anagnina, stazione di Roma dove partono gli autobus per i paesi del Lazio. «Una scena molto dura per me, girata senza luce, in modo reale, passando su una carrellata di volti che si stupiscono, ringraziano, non deridono mai. Ci si trova davanti al soprannaturale», continua Ozpetek, «si comprende dallo sguardo della somala che si alza e guarda Irene che cammina tra la folla». Il sacro è ingrediente base della storia che avanza altalenando tra aldilà e aldiqua, stanze comunicanti di una stessa casa. «Una delle domande che mi sono posto con questo film è proprio: ?Cosa succede dopo la morte??». «La presenza materna è molto forte, è un richiamo che aleggia tutto il tempo, si fa corpo attraverso la bambina che ruba per dare ai poveri», ribatte don Colmegna, «la realtà di chi vive ai margini è ancora più dura di come appare». Lui la conosce bene, l?accoglie quotidianamente nella Casa di via Brambilla, restaurata, colma di luce, attiva giorno e notte con gli ambulatori, la mensa, le docce, le camere, la sartoria, il laboratorio di teatro, l?Auditorium. Anche Irene, nel film, trasforma l?antico palazzo di famiglia in una casa di accoglienza. «Ma non è un film sui nuovi poveri, non è una ricerca spirituale. È l?innamoramento di una donna per la vita e la sua perdita di equilibrio», spiega il regista, «è come una piantina che cresce. Io trovo che l?essenza sia tutta lì, nel veder crescere la pianta e provare gioia. La gioia che provò mia madre nel prendersi cura di un ragazzino di sette anni quando lei insegnava ancora pittura a Istanbul. Lo aveva trovato un giorno per strada e aveva perso la testa per lui». E con lo stupore di un bambino confessa: «Quando parlo del mio ?credo? mi sembra di sentirmi nudo, mi imbarazza. Ho un grandissimo rispetto del sacro in tutte le sue forme e molto presto sono entrato in contatto con le religioni attraverso l?arte». «In casa», aggiunge guardando don Virginio», ho una statuetta della Madonna ma anche un altarino con Buddha. Con questo film ho aperto il mio intimo e ora cerco di coprirlo».


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