Economia

Reti di imprese sociali, un modello per crescere

I soggetti non profit hanno bisogno di cooperare. La nuova normativa sull’impresa sociale offre un' ipotesi: il gruppo paritetico. Fabrizio Cafaggi e Paola Iamiceli

di Redazione

l non profit si sta trasformando, ma gli esiti di tale processo non sono prevedibili. Quali cambiamenti servono per accelerare la trasformazione? Emerge l?inadeguatezza dei modelli organizzativi costruiti intorno al singolo ente. I soggetti non profit hanno bisogno di dialogare, cooperare, competere, conservando la propria individualità, l?autonoma capacità progettuale e specificità: le reti possono realizzare questa combinazione. La forma di rete e quella di gruppo sono già presenti nel sistema non profit. Perché costituiscano veicoli di sviluppo sociale ed economico occorre tuttavia moltiplicarne l?impiego, qualificando meglio i modelli organizzativi. La legislazione vigente consente alcuni margini di sviluppo, ma l?introduzione del modello di gruppo e di rete nella riforma del primo libro è lo strumento più adeguato per un salto di qualità. Reti di enti non profit, e in particolare di imprese sociali, hanno un impatto che varia a seconda che si considerino reti formate da imprese a finalità sociale, reti formate da enti di natura non imprenditoriale o reti che, includendo enti non profit di diversa natura (imprenditoriale e non), possono chiamarsi miste. La natura del ?nodo? (imprenditoriale o meno, lucrativo o non lucrativo, pubblico o privato) genera diverse tipologie di relazione e richiede strumenti di coordinamento diversi.Esistono modelli di rete in grado di rispondere alle esigenze di crescita del terzo settore? La tradizione ci consegna il consorzio, la recente riforma del diritto societario il gruppo cooperativo paritetico. Ma esiste dell?altro: dai semplici contratti, anche nella forma soft dei protocolli di intesa o dei programmi di attività, alle organizzazioni quali società-rete, associazioni-rete, fondazioni-rete. Peraltro, se si torna al modello di rete più comune, il consorzio, ci si rende conto di quanto fondata sia l?esigenza di rinnovamento. L?opportunità di dar vita a quello che la novella codicistica chiama il ?gruppo paritetico? può sembrare interessante: si tratta di una innovazione relativa al mondo delle società cooperative (e adattabile alle cooperative sociali) che potrebbe essere riproposta per il terzo settore in generale. Secondo questa disciplina, il coordinamento della rete si realizza mediante l?attribuzione di una funzione di direzione (e coordinamento) a una o più cooperative, i cui poteri sono definiti in un contratto tra gli enti aderenti, che sottopone la rete (e chi la coordina) al controllo associato al potere di recesso riconosciuto ai membri: potere che questi possono esercitare tutte le volte che le ?condizioni dello scambio?, praticate dalle singole imprese-nodo a favore dei propri beneficiari, risultino pregiudicate per effetto dell?attività di direzione e coordinamento. Il riconoscimento di una leadership nell?ambito di un contratto potrebbe rappresentare un valido approccio alla costituzione di reti in cui i meccanismi decisionali e i sistemi di responsabilità siano chiaramente definiti, eventualmente anche a tutela di soggetti esterni alla rete o della collettività in genere. Proprio nell?ambito del terzo settore, ancor più in presenza del disegno di legge sull?impresa sociale tuttora in discussione, che riconosce la presenza dei gruppi ma non quella delle reti, la creatività del legislatore e quella degli enti non profit e dei loro organismi di rappresentanza merita di essere stimolata e indirizzata provando a coniugare le esigenze di crescita del settore e gli strumenti di governo suggeriti dalla moderna scienza giuridica ed economica: un progetto impegnativo ma necessario per restituire identità e motivazioni venute meno negli ultimi anni.


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