Non profit
Una casa a chi è sulla soglia
Sono 12, oggi vivono tra mille attenzioni in un piano dellistituto. Ma in progetto cè una struttura accogliente e colorata. Pensata per loro e chi li accompagna
Qui dentro i discorsi sono capovolti rispetto a quelli che si fanno fuori. E il bello è che non sono solo parole. A Milano, all?Istituto Palazzolo-Fondazione don Gnocchi, c?è un reparto per pazienti in stato vegetativo: 12 persone che dal maggio 2002 hanno trovato un luogo in cui stare, il primo a Milano. Una scommessa paradossale, che va a investire professionalità e soldi su quelli che altri considerano solo un peso. «Da che cosa si vede che le persone in stato vegetativo continuano a essere persone?», si chiede Gianbattista Martinelli, direttore dell?Istituto Palazzolo. «Secondo noi da quanto siamo disposti a investirci. Dalla qualità dei servizi che offriamo loro, e anche dalla bellezza del luogo in cui li accogliamo. Può sembrare assurdo, ma la qualità è tale solo se non fa sconti a nessuno. Quello della bellezza era un tema già caro a don Gnocchi: è mai stata a Inverigo? È una villa meravigliosa».
C?è anche un progetto che prevede la costruzione di un?unità specializzata dove trasferire i 12 pazienti: sono previsti ambienti luminosi, pareti colorate, stanze singole arredate come la camera da letto di casa, spazi per accogliere un famigliare. «Vogliamo creare un ambiente che dia la sensazione di entrare in una casa, di andare a trovare qualcuno». Ma che senso ha investire su persone che nella stragrande maggioranza dei casi non guariranno? «Crediamo che anche quando non si possa guarire, si debba avere cura», aggiunge il direttore sanitario, Roberto Caprioli. «A Milano sono una trentina i pazienti in stato vegetativo che hanno bisogno di una struttura di questo tipo: non è un numero tale da richiedere risorse particolarmente ingenti. Ma dietro questi numeri piccoli ci sono carichi di sofferenza e di umanità enormi. Nelle case questi pazienti diventano invisibili: chi consola i famigliari?».
All?Istituto Palazzolo un?attenzione particolare va proprio a loro. Per più del 60% delle persone in stato vegetativo, tutto ha avuto origine da un trauma cranico, spesso legato a un incidente stradale: un evento improvviso che rivoluziona la vita di tutta una famiglia. Per gli altri si tratta di una mancanza di ossigeno al cervello: comunque un ribaltamento di vita imprevedibile e terribile da accettare.
Come per Afra, colpita da ictus a 73 anni mentre disfava le valigie, o per Ciro, il primo paziente arrivato al Palazzolo, stramazzato a terra a 42 anni durante una cena con la moglie. «La cosa peggiore è che il cervello si abitua a vederlo così», ammette la moglie di un ospite. «Per me è stato essenziale parlare con lo psicologo e con le suore». Un?altra donna ricostruisce il suo cammino per accettare la situazione: «Oggi so che mia madre non tornerà più la persona che era prima, ma sono sicura che resta una persona».
Mentre questa donna parla, le sue mani accarezzano il volto della madre. «Ieri le hanno tagliato i capelli», mi dice con un sorriso. Lei partecipa al programma di musicoterapia: suoni della natura, di acqua soprattutto, che arrivano anche al livello inconscio. E intanto massaggi, soprattutto sul viso. L?obiettivo è raggiungere un rilassamento muscolare che consenta anche solo di effettuare una buona pulizia del cavo orale. «Più che di relazione parlerei di contatto», dice Valeria De Martini, musicoterapista. «Restando vicino a queste persone si impara a leggere tutti i segnali che mandano. Ed è straordinario scoprire come i tratti dell?identità e del carattere restino». Nella stanza vicina una signora chiede a gran voce dell?acqua: «acqua», si capisce benissimo. Anche lei è in stato vegetativo: tecnicamente è un minimal responders, uno di quei pazienti che danno alcuni segnali di reazione. Ma io che l?ho vista solo due minuti sarei pronta a scommettere che è una donna decisa e volitiva.
La dottoressa Guya De Valle, responsabile del Nucleo vegetativi, mette in guardia da qualsiasi ricerca di sensazionalismo: «I risvegli sono rarissimi, e non perseguiamo nessuna illusione. Noi medici parliamo di assenza di coscienza: in realtà non sappiamo che cosa arrivi a loro e che cosa no, alcune persone uscite dal coma ricordano di aver udito delle voci. Ho letto le interviste fatte in questi giorni su Terri Schiavo: secondo alcuni colleghi medici io qui farei accanimento terapeutico. A queste persone do da mangiare e le cure mediche necessarie: sono convinta che la dignità dell?ospite vada tutelata sempre».
C?è anche un?altra faccia della medaglia, che nessuno considera: i diritti dei famigliari. Dopo il problema di accettare e gestire il dramma, e la ricerca di un luogo adeguato dove il proprio famigliare sia curato, molte difficoltà vengono dalle pratiche per la nomina dell?amministratore di sostegno che cura i beni e gli interessi della persona in stato vegetativo. Non è affatto scontato che sia il coniuge: «Questa legge è aberrante», lamenta una moglie, «è il misconoscimento del legame coniugale. Sono d?accordo con la tutela dei diritti del paziente, ma in questo modo i famigliari sono espropriati dei propri diritti».
A Palazzolo il sabato santo sembra non finire mai. «Sono più di tre anni che mio marito è in questo stato», confida una donna. «È una passione quotidiana. Ma una speranza resta: che l?amore abbia comunque un senso, anche quando è assolutamente gratis».
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.