Formazione

Perché il Pil non ci fa felici

Come si può misurare il benessere esperienziale di un individuo? C’è un metodo che permette di valutare la “felicità oggettiva” (di Daniel Kanheman).

di Redazione

Il concetto di benessere è un ibrido che scaturisce da due diverse componenti che potremmo denominare ?benessere esperienziale? e ?benessere riflesso?. Entrambe le componenti sono soggettive ed entrambe fanno riferimento a un periodo di tempo che può esser misurato in giornate o mesi. La prima componente include la rilevazione degli stati affettivi momentanei sperimentati nel corso del periodo di riferimento. La seconda componente racchiude le valutazioni soggettive complessive della vita di una persona durante il medesimo periodo. Benché le due componenti siano correlate, esse restano concettualmente ed empiricamente distinte e il vantaggio principale del distinguerle risiede proprio nel fatto che esse non mostrano sempre una perfetta corrispondenza. Valutare il benessere esperienziale Una conclusione operativa che possiamo trarre da questa impostazione è che sia il ?benessere esperienziale? che il ?benessere riflesso? debbano essere entrambi misurati separatamente. Sarebbe un errore considerare la misura del ?benessere riflesso? alla stregua di una espressione distorta di quella che chiamo felicità oggettiva intesa come espressione del ?benessere esperienziale?. La valutazione attraverso la memoria è importante di per sé, sia perché gioca un ruolo nelle decisioni e sia perché la gente attribuisce grande importanza alla narrazione della propria vita. D?altra parte concentrarsi esclusivamente su valutazioni retrospettive non regge, se poi si trova che tali valutazioni non riflettono accuratamente la qualità della esperienza effettiva: il ?benessere esperienziale? va misurato separatamente proprio perché non può essere ricavato con la necessaria affidabilità dalla rilevazione globale dello stato di felicità o di soddisfazione della vita. Vediamo dunque i primi risultati e i suggerimenti per future direzioni della ricerca che emergono da questa impostazione. L?analisi formale sviluppata nelle ricerche più recenti consente di asserire, almeno in linea di principio, la fattibilità di una misura del benessere esperienziale, e quindi della felicità oggettiva, e mostra come una misura globale del benessere degli individui si possa ottenere col metodo del campionamento delle esperienze, o Experience-sampling method (Esm). Coloro che prendono parte a un esperimento di questo tipo tengono un computer nel palmo della mano che li sollecita a caso nel corso della giornata a rispondere a quesiti sulle sensazioni del momento. Le registrazioni risultanti degli stati momentanei forniscono una misura della utilità dei singoli momenti. La distribuzione cumulata delle utilità dei singoli momenti può essere impiegata per un confronto di benessere tra popolazioni che differiscono sulla base di diverse esperienze di vita maturate. Per esempio, potremo registrare la proporzione di tempo di cui i ricchi, da un lato, e i poveri, dall?altro, godono a un livello di utilità gli uni di 6, gli altri sotto il 3 in una scala da 0 a 6. è un concetto del genere quello che io ho chiamato appunto ?felicità oggettiva?, perché la valutazione globale della felicità viene qui costruita sulla base di una regola oggettiva, benché essa sia in ultima istanza basata su registrazioni soggettive di specifici momenti. Rispetto dunque alla distinzione richiamata all?inizio, la ?felicità oggettiva? riflette le esperienze in tempo reale dei singoli momenti e si fonda unicamente e immediatamente sulla introspezione; non comporta cioè alcun elemento di memoria o di retrospezione. Diverse ipotesi – quali la separabilità delle singole esperienze e la neutralità rispetto al tempo – sono implicite nello schema e richiederebbero discussione. Una valutazione a una dimensione Qui ci possiamo solo soffermare sul carattere unidimensionale della utilità esperienziale. Infatti il metodo qui accennato, almeno nella sua forma più semplice, ci domanda di supporre cha la gente sia capace di applicare con coerenza una stessa scala al mal di testa, così come ai sensi di colpa, a musica fantastica o al piacere di sperare in un futuro più roseo. Ipotizziamo, inoltre, che sia altresì in grado di soppesare queste esperienze tra di loro ogni volta che più d?una trova realizzazione nell?ambito di un singolo momento. Queste ipotesi, come altre similari, potrebbero sembrare troppo ?forti?. Al riguardo si può solo forse aggiungere che la ragione più forte a favore di una unica dimensione di utilità esperienziale si fonda sul rapporto che esiste tra questa ultima e l?utilità decisionale impiegata dagli economisti. Occorre anche osservare che, benché le specifiche intensità delle utilità positive e negative possano risultare di difficile comparazione, per dicotomie quali desiderio-rifiuto o buono-cattivo rispetto ai singoli momenti, la credibilità di una siffatta valutazione è più facile da sostenere. Si noti, infine, che non è necessario limitare la misura dell?utilità esperienziale alla raccolta di risposte introspettive. Si può far riferimento, come di fatto si fa con diversi vantaggi, a ben precise misurazioni fisiologiche studiate da diversi autori, quali ad esempio l?indice Pfca di Davidson basato sulla simmetria corticale pre-frontale, in modo da evitare distorsioni legate alla comunicazione verbale. Cosa dicono le differenze nazionali Come possibile applicazione dei metodi accennati e similari possiamo menzionare i confronti di benessere tra Paesi diversi. Gli studi sulle differenze nazionali mostrano una struttura piuttosto robusta nel senso che ne emergono alcuni risultati piuttosto consolidati, tra i quali: 1) i maggiori livelli di soddisfazione media emergono nelle democrazie del Nord dell?Europa; 2) non vi è correlazione tra Pil e felicità tra Paesi relativamente ricchi; 3) le nazioni dell?ex impero sovietico mostrano insoddisfazione (forse storicamente); 4) quelle dell?America Latina sono sorprendentemente felici. Ora, la disponibilità dell?indice di Davidson può, ad esempio, permettere di programmare la raccolta di un determinato data-set basato sulle nostre misure di utilità esperienziale e tale da consentirne la applicazione. In uno studio in corso ho formulato una serie di ipotesi di lavoro che potrebbero emergere da una indagine di questo tipo a proposito del confronto tra diversi Paesi, con particolare riferimento al confronto tra Stati Uniti e Francia in termini di life satisfaction, ossia di vita buona. Nel mio lavoro ho discusso alcuni tra i più semplici schemi di risultati ipotizzabili al fine di mostrare il possibile emergere di divergenze significative tra misure esperienziali e misure valutative nel campo dell?accertamento di differenze tra gruppi o tra nazioni. Si tratta nel complesso di ipotesi che oggi non è troppo difficile sottoporre a verifica con la tecnologia corrente ed è anzi fonte di sorpresa, in certa misura, che ancora non siano state esaminate.

Daniel Kanheman


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