Welfare

Facciano pure, intanto è solo show

Parla Gian Paolo Ormezzano

di Redazione

Ventidue Olimpiadi, una trentina di Giri d? Italia, undici Tour de France, cinque Mondiali di calcio, oltre mezzo secolo di lavoro in redazione alle spalle tra TuttoSport (direttore), La Stampa (editorialista), Famiglia Cristiana e Il Giornalino (entrambi del gruppo Periodici San Paolo di Alba, provincia di Cuneo). Gian Paolo Ormezzano è un mito del giornalismo sportivo, anche se questa definizione a lui farà un po? schifo, anche per quell?ironia disincantata che sfocia nell?autoironia, tipica di chi s?è imbevuto della cultura anni 50-60 a Torino. Sul doping, tornato rumorosamente sulle prime pagine dei giornali, sportivi e non, dopo l? affaire Gattuso-Pancaro, Ormezzano mi sembrava l?interlocutore perfetto perché – memore di altre chiacchierate fatte con lui – mi ricordavo che in passato si era espresso per la legalizzazione, a livello professionistico, delle sostanze proibite. «Certo, ero permissivo perché per me il doping era un qualcosa di persino romantico, se vuoi, era l?amfetamina dello studente. E non capivo perché, se la prendeva l?avvocato per fare una bella arringa era considerato un brillante principe del foro, ma se lo faceva un povero ciclista per scalare l?Izoard e mantenere moglie e figli lo si definisse un disgraziato, un delinquente». Attacca provocatorio Ormezzano, che alle Regionali ha deciso di buttarsi in politica, per l?Unione, lista Mercedes Bresso, nella circoscrizione Torino Cuneo. Vita: Da come l?ha detta, però, oggi ha cambiato idea? Gian Paolo Ormezzano: Certo che ho cambiato idea, perché oggi il doping viene assunto a regola di vita nello sport professionistico. La mia idea di legalizzare il doping ci starebbe ancora oggi in una visione ottimale, in cui lo sport avesse davvero l?intelligenza di dividersi in due compartimenti impermeabili: da un lato lo sport-business, anzi lo show-business che non ha più niente a che vedere con lo sport, dall?altro lo sport dei signor Fantozzi come me, che fanno le loro maratone allenandosi nei parchi. Quando ci sarà questa dicotomia, che forse ci sarà, allora andrà benissimo e che facciano come gli pare? Ma oggi non siamo ancora in questa situazione ottimale, e il rischio che i dopati diano l?esempio a qualche ?deficiente? c?è ancora. Del resto il bambino che corre nel prato, giocando con la palla, si autodefinisce Maradona, o Ronaldo, o Gattuso o Shevchenko, capisci? Invece bisognerebbe dirgli: no, quello è un?altra bestia, diversa da te. Del resto io, quando corro la maratona, non mi autodefinisco Baldini. Vita: C?è una morale da trarre da questa storia? Cosa può ancora insegnare, oggi, lo sport professionistico ai giovani? Ormezzano: Quando ho cominciato io, negli anni 50, lo sport era il posto ideale per imparare l?osservanza delle regole, per la coltivazione della morale, per il culto dell?etica. Oggi dallo sport-vetrina, dallo show business non c?è più da trarre alcun insegnamento. Anzi, è diventato il posto ideale per la violazione di tutte regole etiche, persino dei dieci Comandamenti. Vita: Scusi, Ormezzano, ma non le sembra di esagerare? Ormezzano: Niente affatto. E per rendersene conto basta prenderli, i dieci Comandamenti, e passarli in rassegna. Dal primo all?ultimo, lo sport-vetrina è l?ambiente ottimale per violarli. Persino del «ricordati di santificare le feste», questo show business ti permette di fottertene. In nome dello sport-vetrina non vado a messa, tratto male i miei genitori perché non capiscono quanto io sia più bravo di loro, quanto possa guadagnare in un giorno quanto loro in tutta una vita. In nome dello sport-vetrina desidero la donna, pardon, la velina d?altri, dico falsa testimonianza, faccio violenza. Per commettere atti impuri, poi, questo ambiente è la base di partenza ideale? Forse l?unico comandamento parzialmente rispettato da chi opera nello sport-vetrina è l?ultimo, perché sono così ricchi che non desiderano la roba d?altri. Anche se, sicuramente, la barca del presidente la desiderano? Vita: Insomma, l?unica soluzione secondo lei è che si crei presto la dicotomia tra sport-business o sport-vetrina, e lo sport di massa, quello accessibile ai tanti Fantozzi italiani, come me e lei? Ormezzano: Esattamente, e stia attento che la dicotomia è già in corso. Basta guardare la pubblicità, per esempio, che se n?è accorta e infatti non fa più uso del professionista per propagandare prodotti sportivi. Perché? Perché ha capito che, oramai, io-Fantozzi so benissimo che i ?campioni? sono di un altro mondo e che non mi serve mettere le scarpe di Michael Jordan per volare come lui, capisci? Vita: Insomma, non esiste più il senso di identificazione col campione? Ormezzano: Certo, ed è un bene. Purtroppo c?è ancora chi si rivede nel professionista, ma sussistono i prodromi per una revisione. Quando la divisione tra sport-vetrina e sport di massa sarà totale, allora sì, che facciano quel che vogliano, liberalizzino, crepino, piglino tutta la cocaina che vogliono. Anche per il risultato, se serve. Ma finché esiste il legame – finto, fintissimo – tra sport-vetrina e sport di massa, no. E sa qual è la cosa più buffa? Vita: Me la dica lei… Ormezzano: Che fanno persino finta che lo sport di vertice derivi da quello di massa, quando invece deriva dai laboratori, dalle pastiglie, dalla cura particolare di individui, casualmente o no, un po? dopati. Ha capito? Intervista a cura di Sara De Carli e Paolo Manzo


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