Formazione

Un bollino non fa responsabili

"Non riduciamo la csr a immagine. O è fattore strategico dell’impresa, o è meglio lasciar perdere". Intervista ad Anna Maria Artoni

di Francesco Maggio

Tra qualche giorno, il 21 aprile per la precisione, scade il suo mandato per lasciare il posto a Matteo Colaninno. Di quel che farà dal 22 aprile Anna Maria Artoni, si è già scritto molto. Probabilmente il ministro in un eventuale governo Prodi. Molto verosimilmente, almeno a breve, la presidente di Confindustria Emilia Romagna. Lei sostiene che si occuperà innanzitutto dell?azienda di famiglia dove la andiamo a trovare per tracciare con lei, in questa intervista, un bilancio degli ultimi tre anni «durante i quali mi sono rafforzata nella convinzione», afferma, «che lo sviluppo o è sostenibile o non è. Le ragioni più autentiche del fare impresa, infatti, affondano nel desiderio dell?uomo di fare qualcosa di buono che possa durare nel tempo. E ciò non si realizza rimanendo indifferenti alle istanze sociali e ambientali della società civile». E&F: Qual è il suo modello di sviluppo sostenibile? Anna Maria Artoni:Uno sviluppo che ha al suo centro un?impresa che mantiene buoni rapporti con il territorio e con le istituzioni locali, che sa motivare i collaboratori, che agisce con assoluta trasparenza nel perseguire i suoi obiettivi. E&F:In un settore come quello dei trasporti, come si può migliorare la sostenibilità ambientale? Artoni:Io credo che si possa fare molto. L?Italia è un Paese circondato dall?acqua, le vie d?acqua sarebbero una valida via alternativa. Se si potesse far viaggiare di più le merci su vie diverse, ferro, gomma e mare, si avrebbero dei grandi benefici. E&F: Come definirebbe la responsabilità sociale d?impresa? Artoni: Certamente non un bollino. Ciò che conta è il modo di fare impresa giorno per giorno. Se riesce a innescare un circuito virtuoso di comportamenti allora la csr diventa un fattore strategico di sviluppo e garantisce nel tempo la sopravvivenza dell?azienda. E&F: Quanti giovani imprenditori condividono questa sua visione? Artoni: Molti. Ed anche per questo è stato un onore rappresentarli. La mia generazione si trova a fare impresa con ?regole del gioco? completamente diverse da quelle che avevano le generazioni precedenti. Basti pensare all?economia sempre più globalizzata, all?esigenza quindi di dover navigare in mare aperto. E&F: Eppure permangono molte difficoltà nel ricambio generazionale alla guida delle imprese?. Artoni: I passaggi generazionali sono complessi. Dare ai figli un incarico di responsabilità non vuol dire trasferire competenze e capacità strategica di fare impresa. Per i nostri genitori tutto era relativamente più facile perché chi fonda un?azienda ha tutto in testa circa le strategie da seguire e i progetti da portare avanti. Per chi subentra è più difficile. E&F: In cosa oggi è più difficile fare impresa? Artoni: Oggi c?è una competizione fortissima. Inoltre, entrare in mercati nuovi non è affatto facile: se una buona idea è tale all?inizio poi bisogna intraprendere un cammino impegnativo per realizzarla. E&F: Anche per questo i distretti industriali non hanno più la forza propulsiva di un tempo? Artoni: Già, perché non basta più la vicinanza fisica per essere competitivi. Una volta la rete che si creava tra le imprese di un distretto era di tanti tipi: di relazioni, di conoscenze, di produzione. Oggi non è più così necessario perché lo stesso prodotto lo trovi in Cina. E&F: Come declina il concetto di competitività? Artoni:Sempre meno centrato sul prezzo, sempre di più su fattori intangibili. Ha ragione Montezemolo quando sottolinea che se uno ha un?azienda ad alto valore aggiunto può far pagare anche qualcosa in più, il prezzo cioè lo fa l?azienda. La competitività è lo sforzo che ciascuno deve fare per innalzare il valore della produzione, per migliorare il clima aziendale, far largo a talenti in azienda. E&F: In questa evoluzione della vita d?impresa, la finanza è ?compagna di viaggio?? Artoni: Il mondo della finanza è cambiato molto negli ultimi anni, ma il vero problema italiano è che mancano strumenti finanziari innovativi come, per esempio, i venture capital. E non ci sono perché in Italia è in vigore una legge fallimentare vecchissima che bolla a vita chi sbaglia. Negli Usa un imprenditore che sbaglia ha la possibilità di rimettersi in gioco e di ricominciare. è anche vero che più le aziende sono trasparenti, più il sistema finanziario è portato a investire. Dobbiamo tutti fare qualche sforzo in più. Noi abbiamo messo a punto un progetto con Borsa italiana che va in questa direzione, abbiamo inoltre proposto incontri con le banche sul territorio. E&F: Come valuta l?ormai raggiunto ?pareggio? nel mondo del lavoro tra dipendenti e collaboratori? Artoni: è evidente che quando non si hanno garanzie sufficienti si ha più paura del futuro. Il nodo centrale, tuttavia, è che lo Statuto dei lavoratori è vecchio, ci vuole oggi uno ?statuto dei lavori?, non si può più pensare solo al lavoratore subordinato. Bisognerebbe estendere in modo più equo i diritti: è questa la fase da affrontare che c?era nel Libro Biagi, non possiamo dimenticare per strada certi pezzi altrimenti cade l?impalcatura di un progetto. E&F: Un?ultima domanda: come interpreta questa frase di Sant?Ambrogio: «Si esige che tu non inganni con le tue offerte, che tu non dica cioè di offrire di più mentre offri di meno»? Artoni: è sempre una questione di trasparenza. Io ritengo che dire le cose come stanno, siano esse positive o negative, è fondamentale per superare tutti gli ostacoli che di volta in volta si presentano. Se uno può dare uno, è inutile che dica di poter dare di più, è più importante l?atto in se che il quantum. Io sostengo sempre che l?etica della trasparenza è la caratteristica principale che devono possedere le nuove classi dirigenti.


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