Non profit

Quali attività sono permesse alle onlus?

La risoluzione del ministero delle Finanze aiuta a capire cosa può e cosa non può fare una onlus per non cadere nella settore commerciale

di Carlo Mazzini

Ho saputo della recente pubblicazione di nuove regole che portano alcune novità in merito alle attività consentite alle onlus. So che la domanda potrebbe essere generica, ma vorrei sapere se è possibile, a questo punto, avere un quadro riassuntivo delle attività permesse a un?organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Sarebbe molto utile avere uno schema di quello che una onlus può fare senza il rischio di non essere considerata più tale e, soprattutto, di non trasgredire ad alcuna norma o regolamento.
Mario C. (email)

Risponde Carlo Mazzini
Una recente Risoluzione del Ministero delle Finanze (n. 75 del 21maggio 2001), ci permette di trarre alcune considerazioni relative alle attività consentite alle Onlus, soprattutto in merito a quelle definite dalla legge come «direttamente connesse a quelle istituzionali». Il riferimento normativo è il comma 5 dell?articolo 10 del Decreto Legislativo 460 del 1997. Partiamo dal concetto in generale.
Le attività ?connesse? sono in primo luogo quelle attività previste statutariamente e – fatta esclusione dei settori per i quali si considerano immanenti le finalità di solidarietà sociale – dirette ad arrecare benefici a persone non svantaggiate, ?nebulosa community? dai confini non certissimi, ma in parte definiti dal ministero delle Finanze nella Circolare 168E del ?98 al punto 1.4. Secondo il ministero possono essere definiti soggetti svantaggiati tutti coloro che versano in condizioni di obiettivo disagio, vuoi per invalidità psico-fisiche, vuoi per situazioni di devianza, degrado e disagio economico-sociale.
L?attività svolta nei confronti di categorie non rientranti tra quelle riportate (anche se a solo titolo d?esempio) dalla circolare non può definirsi attività istituzionale, e può fregiarsi del titolo di ?direttamente connessa? solo in presenza di due condizioni. In primo luogo essa non deve essere prevalente rispetto a quella di identica natura (ma con destinatari questa volta sì svantaggiati) definita istituzionale. La prevalenza non deve manifestarsi nell?ambito del settore di attività e neppure nell?ambito temporale dell?esercizio annuale. L?altra condizione richiesta per l?ammissibilità è che i proventi relativi all?attività connessa non superino il 66 per cento delle spese complessive dell?organizzazione.
Cerchiamo ora di capire le ragioni di questi due limiti. Insieme, essi permettono alla onlus di non prendere una ?direzione? troppo marcatamente commerciale e quindi – rispettivamente nei casi di buona e cattiva fede – di non distogliere l?attenzione dai veri ?bisognosi? cui deve rivolgersi questa tipologia di enti, o (a pensare male?) di non promuovere operazioni elusive e di turbativa del mercato.
La casistica delle attività ?direttamente connesse? non si limita, comunque, al caso di quelle per cui ci sia una contemporaneità di servizi a favore sia di svantaggiati che di non svantaggiati; la legge definisce connesse anche quelle attività ?accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse? (il riferimento è sempre il comma 5 dell?articolo 10).
Constatata la fumosità della definizione, ci affidiamo nuovamente alla Circolare sopra citata (la 168E del ?98) che recita al punto 1.5:
«Sono attività strutturalmente funzionali, sotto l?aspetto materiale, a quelle istituzionali, quali ad esempio la vendita di depliants nei botteghini dei musei o di magliette pubblicitarie e altri oggetti di modico valore in occasione di campagne di sensibilizzazione».
In sintonia con se stesso, il ministero – nella recente Risoluzione 75 citata in apertura – ha precisato che «l?accessorietà presuppone, infatti, un collegamento non solo su un piano funzionale, ma anche e soprattutto su un piano meramente materiale, nel senso che l?attività connessa non deve potersi configurare come un?attività commerciale esercitabile anche separatamente dall’attività istituzionale». In sintesi, il ragionamento dei funzionari ministeriali è che
a. l?attività accessoria deve essere collegata funzionalmente con l?attività a favore degli ?svantaggiati?;
b. l?attività accessoria non deve poter avere ?vita propria?, ovvero non deve avere una ragione economica di sopravvivenza nel caso si estinguesse l?attività istituzionale.
Immaginatevi, per esempio, di vendere magliette con la scritta ?Io amo l?orso bruno?; questa operazione è considerata accessoria, fintanto che una delle vostre attività istituzionali è classificabile nella categoria ?tutela e valorizzazione della natura? (settore con finalità immanenti di solidarietà sociale). Nel caso in cui voi abbandonaste il pregevole intento di tutelare la natura, continuando quello, poniamo, di assistenza sociale, la vendita delle magliette con riferimento al simpatico plantigrado non dovrebbe essere consentita, dato che materialmente non dovrebbe esserci alcuna ragione per cui un simpatizzante debba sostenervi per un?attività da voi ?dismessa?.
Il rischio, peraltro, è che vendendo prodotti o gadgets fuori dall?ambito delle vostre attività istituzionalmente ?da onlus?, andiate contro il dettato della lettera c) del comma 1 dell?articolo 10 della 460 che non ammette la possibilità di svolgere attività che non siano né istituzionali, né ad esse direttamente connesse.
Si consiglia, quindi, di promuovere attività di sensibilizzazione e di ricerca fondi che siano in totale sintonia con le attività istituzionali svolte dall?organizzazione, ricordando che non basta (anche se risulta necessaria) la menzione delle stesse nello statuto, ma è obbligatorio che vengano effettivamente svolte e che siano preponderanti rispetto a quella accessoria di reperimento dei fondi.

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