Non profit

Ricerca Usa: chi ha buona reputazione fa buoni affari

di Francesco Maggio

Cos’hanno oggi in comune aziende come Barilla e Ferrari, Omnitel e Mediaset, Pirelli e Parmalat, Benetton e Cirio? Una buona reputazione. E la Sony con Intel, la Johnson&Johnson con l?Ibm, la Maytag con la Fedex? Idem. La capacità di mantenere un elevato livello di immagine, di comunicare fiducia, di essere percepite dall?opinione pubblica come affidabili, socialmente responsabili, con ambienti di lavoro salubri, finanziariamente sane e dotate di vision. E quanto più la reputazione è alta, tanto maggiori sono le potenzialità che ha l?azienda di espandersi, suscitare fiducia negli investitori, avere più facilmente accesso al credito, fidelizzare i propri clienti. Lo dice il Reputation Institute di New York (www.reputationinstitute.com), che con il progetto Euro-Rq condotto insieme ad alcune business school europee tra cui, per l?Italia, la Bocconi, ha misurato, con il metodo delle interviste, il grado di reputazione di cui godono alcune centinaia di imprese operanti nei Paesi più industrializzati del mondo. Dall?indagine è emerso che una solida reputazione consente alle imprese di godere di un vero e proprio vantaggio comptetitivo che si traduce in capacità di abbassare i costi di marketing, di imporre un premium price, di orientare le stesse scelte dei consumatori. Ma attenzione, avvertono all?istituto, basta un incidente di percorso per compromettere anni di lavoro.


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