Economia
Piani territoriali, come essere protagonisti
La programmazione partecipata è unoccasione per il non profit per rinnovare la cultura dimpresa.Ma restano dei trabocchetti..Luca Fazzi
di Redazione
a stagione delle riforme delle politiche sociali ha favorito lo sviluppo di pratiche di programmazione e pianificazione degli interventi prima assenti in Italia. La scala locale ha assunto una dimensione cruciale nei processi di riconfigurazione in corso, e programmazione e pianificazione sono diventati strumenti. In queste nuove pratiche di programmazione e pianificazione il terzo settore può svolgere un ruolo attivo e propositivo, e partecipare alla costruzione delle politiche sociali territoriali.
La riforma delle prassi di programmazione territoriale delle politiche sociali equivale a una sfida cruciale. La possibilità di parteciparvi consente infatti, per la prima volta, di esercitare in modo compiuto e coordinato le funzioni di advocacy e innovazione sociale (degli obiettivi, delle pratiche e della gestione dei processi di produzione dei servizi) che sono state storicamente attribuite ai soggetti non profit da vent?anni di discussione culturale e scientifica spesso senza verificare se e come tale funzione poteva essere svolta. Ma ci sono altri possibili vantaggi. In primo luogo, la possibilità di aumentare la collaborazione con gli enti pubblici in una logica di partnership e non di negoziazione delle risorse.
Un secondo vantaggio della programmazione partecipata è il probabile aumento di efficienza ed efficacia degli interventi, e soprattutto alla maggiore possibilità di integrare e indirizzare i programmi in modo coordinato verso i bisogni delle persone. In terzo luogo, il confronto e il dialogo può diventare uno stimolo all?apprendimento, promuovendo il rinnovamento di culture organizzative istituzionalizzate.
A fronte di questi vantaggi, le evidenze empiriche indicano, tuttavia, l?esistenza di notevoli difficoltà nel esercitare da parte del terzo settore un ruolo attivo nel processo programmatorio. In parte questo è dovuto all?inerzia delle culture amministrative e burocratiche degli enti pubblici che favoriscono un esercizio istituzionalizzato delle attività di programmazione che porta alla marginalizzazione del contributo dei soggetti di terzo settore. In secondo luogo, sembra pesare sugli esiti attuali della programmazione l?aumento delle richieste politiche di contenimento dei costi della spesa sociale. In terzo luogo, esiste un problema di rappresentanza istituzionale che limita l?accesso alla programmazione ai soggetti più istituzionalizzati e corporativi, escludendo le organizzazioni di dimensioni più piccole e nuove che spesso sono anche quelle più innovative e propositive.
Ci sono senza dubbio margini di miglioramento. Migliorando le competenze tecnico-progettuali e il sapere specialistico, le organizzazioni di terzo settore possono diventare interlocutori più credibili e forti, così come diversificando i canali di finanziamento si può evitare di diventare dipendenti dalle risorse dell’ente pubblico. È tuttavia importante non schiacciare l?azione di promozione e progettazione di interventi all?interno dei tavoli istituzionali e svolgere un?azione di advocacy e promozione sociale attraverso i canali propri dell?agire solidaristico: il contatto con la comunità, la rappresentanza delle esigenze dei territori e delle comunità, l?organizzazione di gruppi di lobbying e di pressione, il lavoro sulla propria credibilità.
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