Cultura

La scelta per la pace: uno dei grandi temi del pontificato. Popoli, giu’ le armi

"È stato il papa del rifiuto integrale della guerra". Così dice Tommaso Valentinetti, il vescovo che è anche presidente italiano di Pax Christi.

di Ettore Colombo

Anche nella piccola e tranquilla diocesi di Termoli e Larino si è svolta, mercoledì 6 aprile, una messa in suffragio per ricordare la scomparsa di Giovanni Paolo II. Officiava monsignor Tommaso Valentinetti, il mite quanto fermo vescovo che la guida ormai da anni. Ma Valentinetti non è un semplice vescovo, è anche il presidente nazionale di Pax Christi. Etienne De Conghe, segretario internazionale del movimento cattolico per la pace, ha detto: «Il nostro ultimo ricordo di Papa Giovanni Paolo II sarà la sua inflessibile fermezza nel promuovere la pace e nell?escludere la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. È stato questo il tema dominante del suo pontificato!». Naturale, dunque, rispetto a un Papa che ha combattuto tutte le guerre (pur giustificando, in alcuni casi, l?uso dell?extrema ratio dell?intervento armato per mettere fini a veri genocidi, come durante l?assedio di Sarajevo) chiedere un?opinione sul rapporto tra Papa, guerre e pace a monsignor Valentinetti. Il Papa, del resto, ha sempre mostrato un?alta considerazione dell?associazione tanto da esprimerla in modo esplicito nel corso dell?udienza privata del 1995, durante il cinquantesimo anniversario di Pax Christi Internationalis: «Movimenti come il vostro sono preziosi. Essi aiutano a richiamare l?attenzione delle persone nei confronti della violenza che infrange l?armonia del genere umano che risiede nel cuore stesso della creazione. Aiutano a sviluppare una maggiore coscienza in modo che la giustizia e la ricerca del bene comune possano prevalere nelle relazioni tra i popoli». Vita: è possibile vedere un Papa più coerente con le strategie politiche occidentali nell?era del reaganismo grazie alla critica ai sistemi dell?Est e poi in aperta opposizione ad esse nei secondi anni 90? Tommaso Valentinetti: Il Papa è stato un grande assertore del principio di libertà in ogni momento e circostanza. Sia nel confronti dei regimi dell?Est europeo, all?inizio del suo pontificato, ma ancor di più in questi ultimi anni nei confronti dei potenti della Terra e dei loro interventi armati nei Paesi musulmani. La guerra in Iraq non era lecita, ha detto il Papa. Un grande atto di libertà, il suo, e di espressione alta e attenta alle ragioni dell?uomo, sempre. Vedo in lui un atteggiamento coerente sin dall?inizio. Ai popoli come ai potenti ha detto: «Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!» Con coerenza, appunto, senza perdere di vista l?obiettivo di fondo, quello di cercare di restituire verità e dignità a tutti gli uomini. Anche nell?ultimo discorso che ha tenuto, lo scorso 10 gennaio, di fronte al corpo diplomatico, ha riproposto questi principi: i Paesi devono assicurare alle genti «giustizia, pane per tutti, vita e pace». Vita: E l?anticomunismo radicale del Papa come lo condiziona? Valentinetti: Certo, nella fase iniziale del suo pontificato la critica più forte l?ha rivolta ai regimi totalitari comunisti ma non ha mai mancato di accusare i regimi capitalistici che sfruttavano i poveri del Terzo e Quarto mondo. Come dimostra la sua chiara presa di posizione – ribadita solennemente in occasione del Giubileo del 2000 – a favore della remissione del debito ai Paesi del Sud del mondo. Vita: Ha portato una elaborazione nuova, Papa Wojtyla, nel pensiero della Chiesa cattolica sulla guerra? Valentinetti: Il pensiero nuovo, che Giovanni Paolo II riesce ad affermare con una forza e una capacità incredibile, è quello della Chiesa del Concilio Vaticano II e dell?enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII. E cioè il passaggio, per la Chiesa tutta, dalla dottrina della guerra giusta alla dottrina della pace. Fino ai suoi ultimi istanti (penso alla sua silenziosa benedizione di Pasqua), il suo messaggio e la sua richiesta è stata quella formulata con tanto coraggio: «Mai più guerra!». Basta cioè alla guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie internazionali . Ma questo pensiero, questa idea, nella Pacem in terris, come pure nella Gaudium et spes, c?è già. Giovanni Paolo II se n?è fatto straordinario interprete, direi ?banditore?, di tali principi ma erano già patrimonio della Chiesa. Karol Wojtyla è stato vescovo, in quel concilio, e non lo ha dimenticato. Diventato Papa ha incarnato e fatto suo quel messaggio, lo ha portato alle sue estreme conseguenze, facendosi banditore e insieme mediatore della buona notizia. Il rifiuto integrale della guerra. Vita: Guardando all?Iraq e al Medio Oriente di oggi, però, viene da pensare che il Papa ha rappresentato solo un?autorità morale inascoltata? Valentinetti: La grandissima autorità morale del Papa non è rimasta tale, si è anche tradotta in forza e capacità diplomatica e politica della Santa Sede, che ha affrontato con tutti i suoi mezzi a disposizione l?emergenza internazionale che è nata con la guerra, cercando soluzioni concrete ai problemi. Il Papa e la Santa Sede hanno cercato una concreta soluzione, in particolare, al problema iracheno. Mezzi giusti, coerenti e leciti. Tutti gli ambasciatori presso la Santa Sede sono stati convocati dal Papa per affermare questo principio, con una procedura davvero eccezionale. Il sommo Pontefice ha anche incontrato tutti i grandi della Terra, da Tony Blair a Kofi Annan, per scongiurare il rischio guerra. Altro che autorità morale, è stata un?azione politica e diplomatica precisa. Ha dato e darà frutti. Lo si vede dalle parole pronunciate in questi giorni dai rappresentanti di grandi religioni, dall?ebraismo all?Islam. Il suo lavoro per la pace, svolto con impegno e decisione, non andrà perso, resta e servirà ad aiutare la pace a vincere.


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