Cultura

Così il Papa ha marcato la storia recente di tante associazioni. Contatti ravvicinati

Quel giorno che ha segnato la nostra vita. Per Luigi Bobba è stato il 1° maggio del 2000. A cura di Benedetta Verrini e Stefano Arduini.

di Benedetta Verrini

Antonio Mazzi Fondatore Comunità Exodus
In questi 27 anni di pontificato ho incontrato il Papa non meno di 20 volte. A lui non piaceva dir messa da solo, così quando passavo da Roma, spesso mi invitava in Vaticano. Le sue celebrazioni erano molto semplici, niente di straordinario. Di straordinario c?era solo un?incredibile capacità spirituale. E il campo ascetico che creava intorno a sé.
Indimenticabile fu l?incontro di 6 anni fa. Era il mercoledì delle Ceneri, primo giorno di Quaresima (17 febbraio 1999, ndr). Quel giorno il Papa non stava bene. Fino all?ultimo l?incontro ha rischiato di saltare. Non ero solo. Con me c?erano altri 20 preti di frontiera, fra questi don Benzi e don Picchi. Quest?ultimo me lo ricordo bene, perché mi prestò una camicia, senza la quale i segretari non mi avrebbero ammesso all?incontro. Entrammo e, a tutti, il Papa rivolse una parola. A me chiese come andavano le cose con i miei ragazzi. Mentre rispondevo mi diede una pacca sulle spalle e mi rivolse un sorrisino, come dire: «Ti conosco, sei un bel birichino, vai avanti così». A un certo punto venne il turno di un prete grosso come un armadio. «E tu? Come la mettiamo con la quaresima?», gli disse mentre gli accarezzava la pancia. La sala fu scossa da una risata fragorosa. Anche se sofferente, il Papa era così. Amava la gente e il contatto con la gente. Per questo penso che la sua vera personalità veniva fuori quando era all?aperto, con i suoi ragazzi, lontano dai cerimoniali della vita vaticana, che lo rendevano terribilmente triste.

Edio Costantini Presidente Csi
L?ultima volta che ci parlammo fu il 26 giugno dell?anno scorso, in occasione dei 60 anni del Csi. C?erano 10mila fra sportivi e dirigenti dell?associazione. Il Papa appariva già provato, ma nell?aula Paolo VI concesse il bacio della mano a 100 nostri associati, anche se in quel periodo di norma non veniva consentito a più di 25/30 persone per non affaticare troppo il Pontefice. Io ero al suo fianco, in piedi. A ogni passaggio, gli leggevo il nome della persona che si inginocchiava. A un certo punto lui, eravamo più o meno a metà della fila, alzando la voce, mi chiese: «Quanti ne mancano ancora?» Era stanchissimo. Un po? imbarazzato gli risposi di avere pazienza. Ovviamente decise di concludere la fila.
Non posso dimenticare nemmeno il nostro primo incontro. In quel caso eravamo a Castel Gandolfo, dove si teneva un seminario dei dirigenti di Azione Cattolica. Era il 1986. Mi chiese da dove venissi. Io sono di San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. «Ah, sì, monsignor Marcello Morgante». Mi impressionai: si ricordava il nome e il cognome perfino del vescovo di una cittadina come Ascoli.
La terza occasione in cui lo incontrai fu nel 2000, in occasione del giubileo degli sportivi. Ero con mia moglie e i miei tre figli. Ancora una volta espresse il suo apprezzamento per lo sport. Giovanni Paolo II è stato un uomo di lotta. Secondo lui lo sport doveva insegnare a conquistarsi le cose, attraverso l?allenamento e senza scorciatoie. Una lezione.

Lino Lacagnina presidente Agesci
Ho due ricordi indelebili di lui. Il primo risale a quando era nel pieno del suo vigore, nel 1986. Ci venne a trovare ai Piani di Pezza, in Abruzzo, alla route nazionale di rover e scolte. C?erano circa 13mila ragazzi tra i 16 e i 20 anni. Io allora ero capo clan di formazione. Ricordo bene il suo carisma, la sua capacità di stare con i ragazzi: visitò il campo girando tra le tende, indossò il nostro foulard e celebrò messa all?aperto.
L?altro ricordo è molto più recente, risale al 23 ottobre 2003, in un momento in cui era già tanto provato. Doveva essere un incontro discreto, nato dal tam tam di un annuncio sul nostro sito, e si è trasformato in un bagno di folla da 43mila scout in piazza San Pietro. È stato forse l?ultimo grande raduno di giovani intorno al Papa. In quell?occasione ha fatto una raccomandazione a ciascuna fascia d?età dei ragazzi, richiamando i nostri motti. Ai lupetti e alle coccinelle ha raccomandato di fare del loro meglio. Alle guide e agli scout di essere sempre pronti per il bene. Ha esortato i rover e le scolte a impegnarsi a fare del verbo ?servire? il loro motto di vita, «nella convinzione», ha detto, «che il dono di voi stessi è il segreto che può rendere bella e feconda l?esistenza». È riuscito a toccare il cuore di ciascuno di noi, quando ha battuto il pugno sul bracciolo della sua poltrona e ha detto: «Duc in altum, Agesci, il futuro del mondo e della Chiesa dipende anche dalla vostra passione educativa!». Poi, lui che era tanto stanco e fragile, ha voluto scendere nella piazza e avvicinare gli scout.
Oggi che tanti ragazzi accorrono a Roma a dargli l?ultimo saluto, non posso non ricordare quell?ultimo episodio con una consapevolezza nuova. Quanti scout e quanti altri giovani cattolici si sono mossi in modo autonomo, spontaneo, in un movimento che noi non governiamo? È l?esito della penetrazione del suo messaggio, che diventa un?onda positiva per le nostre vite. È il messaggio di un autentico maestro che è stato testimone del bene con la parola e con la vita.

Fausto Casini presidente Anpas
Ci ha dato la testimonianza che non bisogna nascondere la sofferenza e la malattia. Per noi che trasportiamo malati e disabili, è stato un messaggio straordinario. Per tanto tempo, infatti, nella storia si è fatto ricadere la malattia sui malati stessi, quasi fosse una colpa: Giovanni Paolo II non ha mai nascosto la sua sofferenza e così ha liberato e dato forza a tanti malati come lui.
Poi ci ha dato una fortissima indicazione di pace, prendendo posizione in momenti storici fondamentali, come quando ha espresso il suo no alla guerra in Iraq.
Infine, ci ha affidato un messaggio che rafforza il senso del nostro volontariato, pur essendo un?organizzazione laica e pur non avendo mai avuto un momento d?incontro ufficiale: ci ha detto di non aver paura del futuro. È un?esortazione che racchiude il senso stesso del nostro essere volontari: mettersi in gioco ogni giorno, spendersi per gli altri senza temere il domani.
Personalmente, ho avuto l?occasione di incontrarlo di persona l?8 marzo del 2003, in occasione dell?udienza con i volontari del servizio civile, quando ha raccomandato ai ragazzi di confidare sempre nel valore della loro missione. La sua forza comunicativa, la sua capacità di ?muovere le masse? e di motivare i giovani, peraltro, l?avevo già sperimentata in occasione del Giubileo del 2000, quando le Anpas hanno collaborato con la Protezione civile nella ?gestione? dei pellegrini nella capitale. Molti dei nostri ragazzi, che erano in servizio volontario, hanno avuto bellissime esperienze di condivisione di valori e scelte di vita con i giovani cattolici della Gmg, uniti dalla testimonianza del Papa.

Alberto Ferrari presidente Ctg
Le parole del Papa che più mi hanno impressionato sono contenute in un dialogo muto. All?incontro dei giovani d?Europa (Loreto, 9 e 10 settembre 1995), io, in qualità di presidente del Ctg, il Centro turistico giovanile, ero nelle prime file. Dal palco il Papa ascoltava la testimonianza di una ragazza di Sarajevo, vittima e testimone della guerra di Bosnia. A un certo punto la giovane è scoppiata in lacrime. Il Papa ha incominciato a fissarla, lei ha smesso di piangere e per qualche secondo si sono fissati negli occhi. I due sguardi si riflettevano l?uno nell?altro, senza necessità di parole.
«Dio nel tempo libero ci parla di più», se devo indicare una frase del Pontefice, tornerei al settembre del 1981 quando a Castel Gandolfo un Papa nel pieno del suo vigore, eravamo all?inizio del suo apostolato, con queste parole ha sancito il profondo valore teologico delle vacanze. Per lui infatti il tempo libero aveva un valore speciale, anche quello doveva essere un momento di crescita.

Luigi Bobba presidente Acli
Nell?ultimo incontro ufficiale con le Acli, nel 2002, Giovanni Paolo II era già così sofferente che non era riuscito a leggere interamente il suo discorso. Eppure aveva seguito tenacemente tutta l?udienza, e aveva stretto tutte le mani. Quando è stato il mio turno mi ha detto: «Coraggio, vada avanti!». Mi ha stupito quella frase, che dimostrava come la sua debolezza fisica non potesse contenere il suo spirito indomito, la forza inarrestabile del suo messaggio.
Il mio legame con il Santo Padre è cominciato con i giovani, e non mi pare un caso. Quando l?ho incontrato la prima volta, come responsabile dei giovani delle Acli, era il 1982 e Giovanni Paolo II stava riaprendo quel dialogo e quel filo di comunione con i ragazzi, che sarebbe stato il punto di svolta dopo l?incomunicabilità e le difficoltà degli anni 70.
Ma per le Acli il Papa ha segnato anche un ?percorso di missione?, dandoci un senso di continuità nella riflessione sulle tematiche del lavoro. Lo ha fatto attraverso diverse encicliche, a cominciare dalla Laborem exercens, in cui ha parlato del lavoro come chiave della questione sociale attraverso un approccio antropologico, e non più solo meramente economico, in cui il lavoro è la ?via di umanizzazione? della persona. Una visione di straordinaria modernità che si è spinta oltre con la Sollicitudo rei socialis, dove emerge la profonda riprovazione verso le ingiustizie del mondo, e il lavoro viene indicato come la via per riparare a queste ingiustizie. In quel documento, il Santo Padre ha stravolto le gerarchie, affermando che la persona viene prima del lavoro, il lavoro viene prima del capitale e la destinazione universale dei beni viene prima della destinazione privata.
Un percorso che è culminato nell?anno giubilare, il primo maggio del 2000, in cui ci ha consegnato il suo messaggio più estremo, quello di ?globalizzare la solidarietà?, attraverso l?intuizione che la questione del lavoro non potrà mai più essere letta all?interno dei confini nazionali, e ricordandoci che siamo tutti legati allo stesso destino. E che dobbiamo assolutamente allargare i confini della nostra missione sociale.

Angelo Bazzari presidente Fondazione Don Gnocchi
Una volta mi ha messo una mano sulle spalle e mi ha detto: «Mi raccomando di continuare lo spirito e l?attività di Don Gnocchi, che io conosco bene», guardandomi con quegli occhi che ti scavavano dentro, e che ti facevano sentire un nano rispetto alle responsabilità della fondazione! Il mio ricordo di Giovanni Paolo II s?intreccia tra ricordi personali – come questo e quello della mia nomina a monsignore – e memorabili incontri pubblici.
Tra questi, l?udienza del 30 novembre 2002 in sala Nervi, in Vaticano, in occasione del cinquantesimo anniversario di attività dell?Opera Don Gnocchi. Lì, di fronte a 7mila persone, ci ha rivolto un?ulteriore attestazione di stima e un messaggio che ci resterà per sempre stampato nella mente e nel cuore: «Continuate ad essere seminatori di speranza e buoni samaritani. Aprite la vostra porta a chi ha bisogno».
Le stesse raccomandazioni e la stessa richiesta di impegno, il Santo Padre ce l?ha fatta poco dopo, quando dichiarò don Carlo Gnocchi venerabile. Ciascuno di noi, adesso, custodisce quelle parole. E quel messaggio che discendeva dalla sua condizione di salute, che ha rappresentato quasi un?enciclica esistenziale.
Prendendo occasione dalla storia della nostra fondazione, non ha fatto altro che ricordarci il nostro impegno di servizio alla vita, a qualsiasi età, a qualsiasi condizione.

Sergio Marelli Ong italiane
L?ho incontrato diverse volte, sia come direttore generale della Focsiv e presidente dell?Associazione delle ong italiane, sia in occasioni più personali. Ho sempre provato, ogni volta, l?emozione di realizzare che avevo di fronte una figura fondamentale per il nostro impegno e la nostra mission. Sui temi della globalizzazione, il Papa è stato uno dei grandi anticipatori e il paladino della solidarietà proiettata nella giustizia. Come dimenticare la sua netta presa di posizione contro la guerra? E poi i suoi viaggi, che per un uomo che arrivava da una situazione così chiusa e autarchica come quella polacca, dimostravano il suo aprirsi con gioia e curiosità a una dimensione internazionale. La sua attenzione verso i problemi del Sud del mondo e il suo sostegno al volontariato internazionale hanno sempre trovato un consenso unanime, anche all?interno di un?assemblea, quella delle ong italiane, in cui ci sono diversi approcci di pensiero. L?universalità del suo messaggio e del suo esempio restano per noi tutti un?eredità preziosissima.

Rossano Bartoli Filo d?Oro
La nostra fondatrice, Sabina Santilli, ha ricevuto nel 1988 da Papa Giovanni Paolo II l?onorificenza ?Pro Ecclesia et Pontifice?, ed è stata la prima donna ad ottenere questo riconoscimento, per il suo impegno di persona sordocieca nel superare le difficoltà e portare avanti i diritti di coloro che vivono questa condizione.
La Lega del Filo d?Oro è un?associazione laica, ma in essa ci sono davvero tante famiglie e tanti operatori che hanno visto nella figura del Papa, e nella sua vicinanza agli ultimi e ai sofferenti, un grande riferimento e un insegnamento di vita. Un legame rinnovato in diverse occasioni, come durante l?incontro avuto nel 2001, nell?ambito della III Conferenza nazionale delle persone sordocieche, in cui una delegazione della Lega del Filo d?Oro lo ha potuto salutare personalmente in un?udienza in Vaticano.

Edoardo Patriarca portavoce Forum terzo settore
Nei primi anni 80, a seguito della visita di Giovanni Paolo II a Carpi, dove abito, ci recammo in pellegrinaggio a Roma per incontrarlo nuovamente. In sala Nervi passò tra noi, io un po? sbilanciato sulle transenne me lo ritrovai vicino, con il mio vescovo che mi presentò come «il capo degli scout della diocesi». Mi pose la mano sul capo, mi accennò agli scout della Polonia e mi ricordò che stavo facendo il «servizio più bello del mondo». Lo incontrai altre volte. È stato per me il Papa della maturità: sposato da un anno, iniziavo la mia avventura come docente di chimica e assumevo le prime responsabilità nella comunità diocesana, e non solo in essa. L?avvio con Wojtyla non fu dei più facili, ma si chiudeva la stagione giovanile e iniziava una ricerca più consapevole e matura della fede. Questo Papa riuscì a dare senso a un impegno a tutto tondo, facendomi scoprire la dolcezza dell?affidarsi e di fidarsi di coloro verso cui avevo un debito d?amore, in primis la comunità cristiana e poi i miei genitori e i tanti amici. Un impegno meno schizofrenico e più attento alla ricerca di una sintesi, una ricerca aperta al nuovo, come testimoniava il Papa, inarrestabile e in perenne esplorazione.
La scelta di mettere al centro della sua attività pastorale il rispetto della dignità e dei diritti dell?uomo mi appassionò, ritrovai in essa il senso di una testimonianza cristiana profondamente laica: la difesa della vita ovunque essa fosse minacciata. Della vita nascente come di quella dei bambini e degli anziani, contro la guerra e le ingiustizie sociali, riproponendo il ?mistero? che circonda la vita degli uomini. Ora ci ha ricordato, senza moralismi, che la morte è l?inizio di un?altra vita. È stato l?ultimo suo dono. La vita di ognuno di noi è immersa nel ?mistero? e da qui sgorga la ?chiamata all?impegno?.

Marco Griffini presidente Aibi
Ricordo il suo discorso in Brasile, il 20 ottobre 1991, quando a Salvador de Bahia si rivolse direttamente ai bambini e disse loro che per lui erano molto importanti, che erano il futuro della nazione e del mondo. E poi si rivolse agli adulti e con forza disse che nessun bambino doveva restare più senza famiglia, nessun bambino doveva essere mai più preda di traffici e crimini. Giovanni Paolo II allora ci ha fatto scoprire che sul Cristo in croce c?è anche il bambino abbandonato. E lo ha ribadito anche durante la Quaresima dell?anno scorso, in cui ha detto che chi accoglie un bambino solo accoglie Cristo. Ha dato una direzione e un senso al nostro lavoro, indicandoci, anno dopo anno, le strade che dovevamo percorrere. In questi anni ci siamo trovati sempre in una speciale sintonia con le sue parole. L?ultimo episodio è recente: proprio mentre noi pensavamo di dedicare il nostro prossimo convegno annuale ai bambini fuori dalla famiglia, ma che non sono in stato di abbandono, intitolandolo I bambini del limbo, il Santo Padre stava chiedendo ai teologi di definire proprio la questione del Limbo e dei bambini morti senza battesimo.
Personalmente, l?ho incontrato diverse volte, a cominciare da quando mi trovavo a prestare soccorso ai terremotati dell?Irpinia, nel 1980, fino all?ultima volta nel dicembre scorso, quando l?ho rivisto tanto affaticato e fragile, prigioniero del suo corpo malato. Anche in quel momento, però, mi colpì la forza del suo spirito.

Goffredo Modena presidente Fondazione Aiutare i bambini
Non l?abbiamo mai incontrato ufficialmente. Ma il suo messaggio ha lasciato dentro di noi un solco, soprattutto riguardo all?amore per i bambini e ai giovani, e alla difesa dei loro diritti. Facciamo nostre le parole di tanti ragazzi che lo piangono e dicono di aver perso un padre che li capiva e li spronava ad affrontare la vita con impegno e responsabilità. Il suo messaggio e la sua vicinanza ai tanti bambini nei Paesi in via di sviluppo è un monito che ci dà forza nel portare avanti la nostra attività in tanti Paesi dell?Africa, dell?America Latina e dell?Asia.

Benedetta Verrini
Stefano Arduini

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