Formazione

Caro economist, ecco dove sbagli

Perché il settimanale inglese ha lanciato un'offensiva contro la csr? Un grande esperto cerca di rispondere."La csr è un elemento decisivo per la competitività"

di Francesco Maggio

«La responsabilità sociale d?impresa è interessante se interessata, ribadiamolo subito. Ma da qui a raffigurarla, come fa l?Economist, simile a una sorta di diavolo la cui ombra si allunga alle spalle di un angelo, ce ne corre». Mario Molteni, ordinario di Economia aziendale e corporate strategy all?università Cattolica di Milano, è tra i massimi esperti di corporate social responsibility. Ha da poco fondato, proprio in Cattolica, Altis – Alta scuola impresa e società, che si propone di formare manager consapevoli del loro ruolo in società non solo economico ma anche sociale e politico. Per questo non gli va proprio giù che una testata, seppur autorevole come il settimanale inglese, riassuma superficialmente un tema assai complesso e affascinante, appunto, come la csr. «Bisogna fare chiarezza» afferma. Ci proviamo. E&F: Professore, cos?è che non va in quel dossier? Mario Molteni: Premesso che alcune delle preoccupazioni esposte sono condivisibili nella misura in cui il tema della csr viene identificato con qualcosa di orientato alla filantropia o come un fenomeno di moda, bisogna aggiungere però che le critiche sono supportate con argomenti vecchi di almeno trent?anni. Che denotano una concezione d?impresa angusta che dimentica che le attività aziendali possono essere gestite efficacemente prestando attenzione alle attese economiche degli stakeholder, ricavandone feedback interessanti per la stessa competitività dell?impresa. E&F: Secondo lei la tempistica con cui l?Economist è uscito con questo servizio ha un significato ben preciso? Molteni: Senz?altro. In un momento in cui l?interesse per la csr, a livello mondiale, cresce diffusamente, un servizio del genere è sicuramente ad affetto. E&F: Quali sono oggi, nel dibattito economico, le principali questioni aperte sul fronte della csr? Molteni: Il problema principale riguarda la competitività a livello internazionale, il confronto tra Paesi caratterizzati da un diverso grado di tutela dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, dell?ambiente. Ci sono numerose economie minacciate dalla competitività di sistemi in cui la concezione della persona e, quindi, la tutela dei loro diritti sono a un livello decisamente inferiore rispetto a quelli dei Paesi occidentali. Abbiamo da un lato, una cospicua fetta del mondo delle Pmi che non sono sufficientemente ?potenti? e sono, quindi, quelle che subiscono di più la concorrenza che arriva da questi sistemi. Dall?altro lato c?è un mondo di grandi business, le multinazionali per intenderci, che hanno invece interesse ad avere mani libere, a tutelarsi la libertà di agire indiscriminatamente in ogni contesto. Se noi guardiamo alla csr come a uno dei fattori con cui si interviene sulla questione della competitività fra sistemi, si ricava che essa è un efficace strumento di tutela della piccola e media impresa a livello mondiale. E&F: Ma perché, allora, la csr ?latita? nel dibattito attuale che c?è in Italia sulla competitività? Molteni: Secondo me non latita o, perlomeno, di csr si parla molto più oggi che in passato. Semmai il punto è un altro: a fronte di un mondo imprenditoriale che fa fatica ad innovare, il fatto che la csr non sia ai primi posti della loro agenda mi sembra piuttosto comprensibile. E&F: Come giudica il documento dell?Alto commissario per i diritti umani, che pubblichiamo in sintesi in questo numero di E&F? Molteni: Per coglierne fino in fondo la portata bisogna partire da un problema di natura strutturale che c?è all?origine: la ?distanza? tra economia e diritto. L?economia è sempre più globalizzata ma essa non è accompagnata da una legislazione su scala mondiale. I comportamenti sono a ?livello mondo?, le leggi sono ?a livello nazionale?. Questo vuoto di norme viene coperto, nei limiti del possibile, con delle soft law, con delle forme di legislazione ?leggere? che si traducono in attività di moral suasion quali, per esempio, proprio il movimento d?opinione che ruota attorno ai temi della csr. E&F: è possibile distinguere tra una buona crs e una cattiva csr? Molteni: Sostanzialmente in tre modi: tenendo conto del coinvolgimento dell?alta direzione; verificando il nesso che c?è tra csr e core business; sulla base del tipo di dialogo aperto dall?impresa con gli stakeholder. Un primo test è se il tema della csr interessa l?alta direzione oppure gli specialisti della csr. Se interessa l?alta direzione vuol dire che si tratta di una consapevolezza del management che ?scende? e va a interessare le diverse anime aziendali. Se invece viene isolata come preoccupazione degli esperti è fuori dal flusso principale decisionale. Secondo test: la csr ha a che fare con il core business dell?azienda? Se sì, allora assume una valenza strategica altrimenti la csr non è ?buona?. Infine, bisogna capire se ci sia effettivo dialogo dell?impresa con gli stakeholder. In altre parole, se esso non sia di tipo paternalistico dove per paternalismo si intende la pretesa dell?azienda di stabilire quali siano i bisogni degli interlocutori. E&F: La finanza etica potrebbe accelerare queste dinamiche? Molteni: Il problema della finanza è che ha meno contatti con la realtà rispetto all?impresa. La consapevolezza dei risparmiatori di poter influire con le proprie scelte d?investimento sulla condotta d?impresa è ancora piuttosto rara in Italia. Bisognerebbe fare una capillare opera di sensibilizzazione in proposito. In più bisogna aggiungere che molti operatori finanziari hanno un livello di tensione ideale verso i temi della csr molto limitata perché si tratta di un problema di cultura, nelle business school si è sempre parlato poco di questi argomenti. E&F: Per questo ha fondato Altis? Molteni: Sì. Il mio desiderio è quello di contribuire a formare manager consapevoli delle implicazioni culturali, economiche, sociali, politiche della propria azione. E&F: Ma qual è, a suo avviso, il rischio più alto che incombe sul fenomeno della csr? Molteni: Che tutto venga equiparato a un?ulteriore certificazione. Che diventi, cioè, un supplemento di burocrazia per le imprese e invece di provocare domande, anche molto scomode, finisca con il mettere in mano moduli da compilare. Mario Molteni insegna Economia aziendale e corporate strategy alla Cattolica di Milano. Ha da poco fondato l’Alta scuola impresa e società (www.unicatt.it/altis/) Il dossier – Quel diavoletto inglese Il dossier dell?Economist sulla corporate social responsibility è anche un piccolo capolavoro di grafica, che comunica efficacemente il messaggio che il settimanale vuole lanciare: che la csr, di solito, è solo un abito che le imprese indossano per nascondere la loro vera natura ?predatoria?. Si comincia con la copertina (a fianco) che rende bene dove si vuole andare a parare: la sede di una corporation con le ali d?angelo, dietro la quale però si allunga l?ombra del diavolo. Si prosegue, all?interno, con numerose illustrazioni tra cui la raffigurazione di un artiglio (che sarebbe l?azienda) sul quale però è stato cosparso lo smalto per abbellirlo; con un mostro che gioca con il mondo; con una ciminiera che sbuffa quantità enormi di gas inquinanti e, per ripulirsi un po? la coscienza, lascia cadere da un rubinetto alcuni cuoricini, simbolo di qualche gesto di filantropia.


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