Volontariato

Più responsabili, più competitivi

Comincia a farsi largo l’idea che per essere più competitivi bisogna puntare sulla csr.Lo previde Delors, lo sostengono oggi anche gli imprenditori

di Francesco Maggio

Parafrasando il titolo di un fortunato libro di Michel Albert, Capitalismo contro capitalismo, si potrebbe affermare che oggi è in corso il ?match? csr contro csr. La prova più eloquente, in proposito, è rappresentata proprio dall?affondo dell?Economist sul tema, cui E&F ha dato ampio risalto nel numero scorso. Con quel famoso dossier il settimanale inglese ha puntato al ridimensionamento del fenomeno (con una tempistica, peraltro, niente affatto causale, come rileva Mario Molteni nell?intervista a pagina 2) evidenziandone soprattutto i connotati filantropici e i dilemmi etici che dovrebbero vivere i manager quando spendono in beneficenza soldi che non sono loro ma dei loro ?padroni?. Due modelli di csr Questo approccio alla corporate social responsibility, evidentemente, si rifà ai Paesi anglosassoni dove le public company sono più diffuse delle aziende familiari e dove la responsabilità sociale delle imprese si traduce, di solito, nel loro essere piccoli o grandi donors. In Europa la faccenda è ben diversa, la responsabilità sociale d?impresa è più articolata, concerne la tutela ambientale, i rapporti delle aziende con il territorio di riferimento, le possibili partnership con il non profit e molte altre cose. Rientra nella strategia di Lisbona che punta a rendere entro il 2010-2015, quella europea l?economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo. La lungimiranza di Delors Ha padri nobili come l?ex presidente della Commissione Ue, Jacques Delors che dieci anni fa promosse la nascita di Csr Europe, un network composto da 1.500 imprese socialmente responsabili che proprio nei giorni scorsi ha reso nota a Bruxelles una Road Map della csr (che verrà presentata anche in Italia, il 9 maggio a Milano in Assolombarda, durante la consegna dei Sodalitas social award). Proprio Jacques Delors, grazie alla lungimiranza che lo ha sempre caratterizzato, da presidente della Commissione europea fu tra i primi a denunciare il dumping sociale che l?apertura delle frontiere avrebbe comportato in materia di diritti umani. Oggi che la Cina mette paura un po? a tutti, comincia, seppur timidamente, a farsi largo l?idea che forse per reggere alla sua aggressiva concorrenza bisognerebbe puntare sui diritti umani. In senso lato, sulla csr. Questa idea l?ha efficacemente esposta qualche giorno fa su La Repubblica Luciano Gallino, prendendo spunto dalla constatazione della diffusione sempre più vasta degli investimenti socialmente responsabili. Gallino sostiene che «sembra difficile negare che i Paesi Ue, non in ordine sparso ma con un disegno collettivo, peserebbero di più nella regolazione del commercio mondiale se cominciassero ad agire come partners socialmente responsabili. Capaci di chiedere, alla Cina o all?India o ad altri, il rispetto dei diritti umani, sociali, sindacali nell?industria dei loro Paesi». «E capaci di chiederlo», aggiunge il professore torinese, «in modo non ipocrita perché le loro imprese per prime si sono adoperate a rispettare quei diritti non solo in patria, ma anche nelle zone dell?Asia sud-orientale da cui importano fiumi di materie prime, semilavorati, componenti e prodotti finiti». Tra retorica e realtà è curioso notare come un altro professore di vaglia quale Alberto Alesina, preside di Economia all?università americana di Harvard, abbia di recente liquidato il processo di Lisbona come «retorica fumosa». Su alcuni aspetti può anche aver ragione. Ma sulla csr, no. E lo dimostra l?attenzione crescente che prestano le Nazioni Unite al rapporto tra business e diritti umani. D?altronde, il documento dell?Alto commissario Onu sui diritti umani che pubblichiamo nelle pagine seguenti, la dice lunga circa il tavolo di confronto che si è aperto tra istituzioni, imprese, società civile organizzata. Il confronto di Michel Albert tra capitalismi finisce con un sostanziale pareggio. Nel caso della corporate social responsibility già si delinea un netto vincitore. Ma forse il professor Alesina non sarebbe d?accordo sul risultato?.


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