Mondo

Romania, i 100mila figli dello stato

Disoccupazione, famiglie povere. Come accadeva ai tempi di Ceausescu, i genitori lasciano i loro piccoli negli istituti che ora scoppiano

di Benedetta Verrini

All?ingresso dell?istituto prescolare CP3 di Ramnicu Valcea, c?è un grande poster di bimbi piccoli, grassottelli e sorridenti, che reggono uno striscione con la scritta: ?No problem?. Slogan audace, per un orfanatrofio rumeno. In un?area di poche centinaia di metri quadrati, in questa cittadina a 170 chilometri da Bucarest, crescono le nuove generazioni di bambini abbandonati. Tre grandi palazzine, intersecate da un cortile di ghiaia e cemento, sono la casa per oltre 500 tra bambini e ragazzi, che nascono, crescono e prendono il diploma per la vita. C?è il centro maternità, dove le ragazze madri partoriscono e se ne vanno, l?istituto prescolare per i piccoli fino ai 6 anni, un altro istituto per la classe d?età dai 7 ai 18 anni. Nel cortile stanno tutti insieme. I piccoli sono i più intraprendenti: si avvicinano e vogliono essere presi in braccio, la faccina allungata in una preghiera silenziosa. Dimostrano due o tre anni, ma ne hanno quattro, alcuni cinque. I grandi sono più guardinghi, restano in gruppo e osservano con gli occhi diffidenti dell?adolescenza. Alcuni giocano a rincorrersi, altri siedono sulle panchine. Una ragazza spinge su un dondolo solitario e arrugginito una piccola bimba bionda. Il governo rumeno li sta ancora contando, i minori in orfanatrofio. Sta cercando di capire l?entità di un vecchio problema che ora dilaga al di fuori dei confini nazionali, attraverso la cassa di risonanza dei bambini che vivono nei tombini e dei cani randagi. Secondo una stima dell?ambasciata italiana, sarebbero tra i 75 e i 110mila. Bambini abbandonati, alla nascita o qualche anno più tardi, da genitori piegati dalle difficoltà economiche, abituati dal regime di Ceaucescu a lasciare con fiducia i figli allo Stato, che si proponeva di crescerli al posto loro. Il dittatore è morto da undici anni, ma la mentalità dell?abbandono è molto difficile da cancellare: in una realtà durissima in cui lo stipendio medio è di 150-200mila lire al mese, molte famiglie ritengono ancora che l?istituto sia il male minore. Così cresce una generazione segnata dalla vita in orfanatrofio, dove tutto è rigorosamente uguale, niente foto o segni distintivi in camerata, sui comodini o sui letti. La Direzione Generale per la Protezione dell?infanzia, il nuovo ministero sorto nel 1997 per far fronte all?emergenza, ha dato il via a un programma di ristrutturazione degli istituti, di prevenzione dell?abbandono e di reintegrazione dei minori presso le famiglie d?origine. La gestione del problema infanzia è, tra l?altro, una delle condizioni poste da Bruxelles per l?ingresso della Romania nell?Unione Europea: «Dall?anno scorso il governo rumeno ha dedicato un apposito capitolo di bilancio al settore» dice Valerio Piras, rappresentante dell?ambasciata italiana a Bucarest, «Ma devono essere realizzati più progetti di protezione dell?infanzia. L?adozione internazionale, attualmente bloccata da Bucarest per arginare il problema della compravendita di minori, deve diventare la soluzione estrema, non un rimedio abituale». Ma molti di loro non saranno mai nemmeno sfiorati dalla bagarre delle adozioni. Bambini che non hanno possibilità di essere reintegrati in famiglia, né di essere adottati. Troppo grandi, con qualche difetto fisico (come lo strabismo o il labbro leporino), oppure di etnia rom. Come Narcisa, che ha sei anni e una bellezza che rende onore al suo nome: una testolina di capelli neri e gli occhi scuri profondissimi. La sua pelle scura rivela l?origine zingara e, come spiegano i cooperanti, nessuna famiglia romena la vorrà mai adottare. La Romania conta i suoi figli abbandonati e comincia ad aprire gli occhi sull?handicap sociale che rappresentano. Quando escono dagli istituti, buttati fuori al compimento dei 18 anni, non riescono a trovare casa nè lavoro. «I tombini si stanno riempiendo di un?umanità sempre più varia» racconta Franco Aloisi, volontario del Gruppo Relazioni Transculturali, che si occupa dei bimbi di strada con la Fondazione Parada, l?organizzazione del celebre clown Miloud. «Ci sono i diciottenni che escono dagli istituti; i ?veterani?, che vivono sulla strada da oltre dieci anni; i ragazzi in fuga dalle famiglie e dalla povertà, e i piccoli che in strada ci sono nati. Tra Bucarest e dintorni sono circa duemila. Con loro le istituzioni non riescono a fare niente di più che prendere provvedimenti ?dimostrativi?, come multe e rastrellamenti, che non servono proprio a nulla». A poco servono anche le misure prese con i ragazzi abbandonati a causa di handicap mentali. «Entrano negli istituti differenziali con piccoli disturbi, dislessie o lievi ritardi, ed escono con problemi mentali gravi» spiega Daniela Trogu, responsabile dei progetti di cooperazione dell?Associazione Amici dei Bambini-AiBi in Romania. Daniela ha cominciato a occuparsi del problema un anno fa, quando ha trovato in una strada di Bucarest trenta ragazze dimesse da un istituto. «Erano state messe in strada dalla sera alla mattina perché erano diventate maggiorenni» ricorda, «Smarrite, affamate, con i soli vestiti che avevano addosso e i documenti cuciti in tasca. Le più belle di loro erano già state portate via dai criminali locali». Da allora Aibi ha iniziato a collaborare con alcune religiose per mantenere le ragazze in gruppi appartamento, dove possano trovare protezione e imparare a fare qualche lavoretto. Per loro, l?istituto lascia un marchio sulla carta d?identità. Per tutti gli altri, il marchio resta nell?anima.


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