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Emilia e Lombardia alla guerra delle Ipab

Enti pubblici gestiti dai Comuni o aziende private? Scelta opinabile, ma no a un eccessivo ruolo pubblico di Giulio Ecchia

di Redazione

La trasformazione delle Ipab trova spunto nella legge di riforma dei servizi sociali, la 328 del 2000, attraverso la quale il legislatore ha voluto dare vita a un sistema integrato pubblico-privato per la gestione e l?offerta dei servizi, in particolare di quelli socio-assistenziali, alle persone. Una delle finalità della legge è quella di valorizzare il ruolo del terzo settore sotto un duplice aspetto: da un lato nella fase propositiva, attraverso la partecipazione delle organizzazioni non profit ai Piani di zona, dall?altra incentivando un ruolo attivo del terzo settore nella fase di offerta dei servizi attraverso lo sviluppo dell?imprenditoria sociale. Già nella legge 328 era prevista l?acquisizione di una logica economico-imprenditoriale delle Ipab, e la loro trasformazione in fondazioni, associazioni o in aziende pubbliche di servizi alle persone al fine di rispondere all?esigenza di migliorarne l?efficienza, e forse, in alcuni casi, anche l?efficacia. Nello stesso periodo vi è stata la modifica del Titolo V della Costituzione che ha attribuito alle Regioni il potere di regolare le trasformazioni in modo diverso rispetto alle indicazioni della legge nazionale. La trasformazione delle Ipab attuata dalle Regioni risente delle politiche regionali di welfare. Dal punto di vista economico, può essere ispirata a due logiche di regolamentazione: la prima, che potremmo definire di «programmazione negoziale», in cui la Regione fissa una serie di obiettivi e li persegue con una struttura di offerta gestita dagli enti pubblici (in questo caso i Comuni), eventualmente creando rapporti di esternalizzazione a favore del Terzo settore. La seconda, dettata da un?idea di competizione di mercato regolata, in cui viene attribuito alla domanda una seppur limitata capacità di scelta dei servizi e dei soggetti erogatori. Queste impostazioni così stilizzate fanno capo a due modelli istituzionali: il primo è quello che ha preso corpo in Emilia Romagna, l?altro in Lombardia. Nel mezzo ci sono altre Regioni che hanno scelto soluzioni intermedie. In ogni caso, qualunque sia la scelta politica, rimane centrale il ruolo dei Comuni e il legame tra terzo settore e le aziende di servizi alle persone nate dalla trasformazione delle Ipab. In particolare se le nuove aziende nate dalla ceneri delle Ipab offrono direttamente i servizi e rimangono di proprietà pubblica, e sono da questa direttamente gestite, il rapporto tra azienda e organizzazioni non profit sarà quello tipico dell?esternalizzazione dei servizi e quindi di dipendenza strategica dall?attività dell?azienda. Tale rapporto può generare problemi qualora il processo di esternalizzazione preveda il ricorso a gare al massimo ribasso e in cui sia assente la verifica dei livelli di qualità del servizio offerto. Così facendo infatti le organizzazioni del terzo settore sarebbero costrette a ridurre i costi a tutto detrimento della capacità di innovazione. Qualora invece l?Ipab venisse trasformata in un?azienda privata si potrebbe sviluppare una capacità imprenditoriale in grado di gestire processi innovativi. Qui non si tratta di preferire l?una o l?altra soluzione: la scelta, infatti, deve essere legata alla natura complessiva del processo di regolamentazione. È utile sottolineare inoltre che le Ipab sono istituzioni che hanno una lunga storia, nel corso della quale hanno creato un forte legame con la comunità di appartenenza. Quindi non credo sia ragionevole stabilire a priori se far rimanere le Ipab delle organizzazioni pubbliche o trasformarle in aziende private. La scelta dovrebbe esser presa solo dopo aver valutato in che modo le nuove aziende di servizi alla persona possono svolgere al meglio la loro attività nell?interesse della comunità locale. È indubbio però che se la scelta del decisore pubblico non favorisce la possibilità di sviluppo di iniziative private viene a essere fortemente limitata la capacità potenziale di innovazione del non profit. La legge 328 prevede un?impostazione che deve tener conto anche della promozione del terzo settore, che verrebbe ridotta se le Regioni, nelle trasformazioni delle Ipab, invece di prevedere la creazione di nuovi spazi, si limitassero a riproporre modelli di rapporti già sperimentati (concertazione nella programmazione ed esternalizzazione del servizio). Tale soluzione ridurrebbe la sussidiarietà orizzontale, fondamentale per la crescita del terzo settore. Giulio Ecchia è presidente del corso di laurea in Economia delle imprese cooperative e delle organizzazioni non profit all?università di Bologna


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