Economia

Imprese sociali: chi non innova è perduto

Di fronte alle sfide del mercato sociale occorre puntare sulla specializzazione.E sulla capacità di interpretare i bisogni reali. Vilma Mazzocco

di Redazione

Le società e le persone che le animano si trasformano. Talvolta, a causa di situazioni critiche, come può essere un?emergenza occupazionale; più frequentemente, tuttavia, in seguito a fenomeni più strutturali, come, nel caso dell?Italia, l?invecchiamento della popolazione o l?aumento delle famiglie di stranieri. Questi mutamenti si traducono in un cambiamento dei bisogni dei cittadini, che si differenziano diventando più complessi. A livello politico una risposta, seppur parziale, proviene dalla riforma quadro del welfare, che ha determinato (con la legge 328 del 2000 sull?assistenza e, successivamente, con la riforma del Titolo V della Costituzione) l?istituzione di un sistema integrato improntato alla sussidiarietà, di competenza degli enti locali e aperto al protagonismo del privato sociale. Come la cooperazione sociale affronta questa evoluzione? Essenzialmente con la specializzazione e la crescita della qualità dei propri interventi. Già nel Codice dei comportamenti imprenditoriali della qualità cooperativa e della vita associativa delle cooperative sociali, che Federsolidarietà adottò sin dal 1997, si riconosce che è «vincente una strategia aziendale indirizzata a specifiche aree di bisogno, orientata ad acquisire competenze e capacità di gestione complessive rispetto alle esigenze di coloro che fruiscono dell?intervento della cooperativa». L?esperienza ha infatti mostrato come la specializzazione in relazione a determinate aree di svantaggio ed esclusione, e in relazione alle tipologie di servizi (assistenza domiciliare, gestione di strutture residenziali) abbia permesso di individuare specifici modelli di intervento e di fornire, quindi, migliori risposte. Le cooperative sociali hanno creato le condizioni per interventi innovativi nei settori della salute mentale, dell?immigrazione, dell?inserimento lavorativo e sociale nel contesto, per esempio, del carcere o delle tossicodipendenze. Nel campo dell?integrazione dei disabili le nostre cooperative sociali di tipo B hanno una capacità di inserimento più di venticinque volte superiore rispetto al resto del sistema economico pubblico e for profit: il sistema Federsolidarietà infatti occupa più del 3% dei disabili inseriti in Italia. Ma occorre attenzione. La specializzazione non è un ?tecnicismo?, bensì la creazione di un legame organico con la comunità locale, poiché ciascun territorio può manifestare bisogni diversi e specifici, a cui rispondere con adeguate iniziative imprenditoriali di cui le esperienze riportate negli articoli pubblicati su questo numero di Social Job sono ottimi esempi. Ma nel perseguire la specializzazione la cooperazione sociale non deve perdere la visione d?insieme del territorio e della comunità in cui opera, e ciò è possibile solo dando vita a politiche di integrazione e partecipando concretamente, tramite le rappresentanze territoriali, alla definizione delle politiche sociali locali. In definitiva, la specializzazione deve essere sempre più costruita in chiave intersettoriale, intercooperativa e consortile. Ciò vale per le cooperative di Federsolidarietà, certamente, ma si tratta di una sfida che chiama in causa tutto il non profit, affinché davvero possa essere protagonista nella realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali che il nuovo welfare nazionale e locale richiedono.


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