Welfare

Per un filo di vita

Per una vicenda che finisce sotto i riflettori ce ne sono migliaia che ricadono soltanto sulle spalle di parenti e famigliari.

di Redazione

Terri Schiavo scuote e divide l?opinione pubblica. Lei sola è piombata nelle cronache dei giornali con una violenza mediatica e politica fuori da ogni logica, ma migliaia di vite come la sua sono condannate ogni giorno al silenzio, lontano dalla lente d?ingrandimento dei riflettori e della stampa internazionale. In Italia non ne parla nessuno, se non in casi di eclatanti e inaspettati risvegli. Ma di persone come Terri ce ne sono tante, in coma, in stato vegetativo, di minima coscienza. Vita ha cercato di capire come e dove vivono e chi se ne fa carico dopo la riabilitazione nei centri ospedalieri specializzati. Senza numeri Censimenti, numeri e dati sono pressoché impossibili da rintracciare, tanto che gli stessi esperti e professionisti di settore si affidano per il momento a stime ipotetiche: dai 30 ai 50 casi per milione di abitante e 10 nuovi all?anno. Il che vuol dire che tra i confini nazionali si oscilla tra le 1.740 e le 2.900 persone e ogni anno se ne aggiungono 580. La ricerca commissionata a un istituto statistico l?anno scorso dal Centro Maria Bambina di Oristano parla invece di 20mila in stato di coma e oltre 6mila in stato vegetativo. Ma di tutte queste vite appese a un filo cosa ne è? Il percorso riabilitativo varia dai sei mesi a un anno in media in strutture pubbliche o accreditate, nelle poche neonate ?case di risveglio? specializzate in terapie di accompagnamento e stimolazione. Una per tutte, la Casa di Luca a Bologna, fondata lo scorso ottobre proprio dai genitori di un ragazzo morto dopo un?esperienza di coma. E come questa altre hanno sviluppato metodologie specifiche: l?ospedale San Giorgio a Ferrara, il Centro risvegli di Crotone e di Volterra, l?ospedale Don Calabria di Negrar, fuori Verona, l?unità di neuroriabilitazione per l?età evolutiva della Nostra Famiglia a Bosisio Parini (Lecco). Ma se il numero di centri per i casi acuti, per quanto ancora insufficiente almeno è in crescita, il vero problema riguarda la lungodegenza. «La collocazione di chi non si risveglia è una questione aperta», spiega Roberto Piperno, direttore della Casa di Luca. «Mentre aumenta l?offerta di strutture riabilitative per un tempo determinato, mancano quelle per la lungodegenza. L?Usl di Bologna ha messo a disposizione 16 posti nell?ospedale accreditato S. Viola, anche a Ferrara e al Centro di risvegli di Crotone si è fatto lo stesso. Ma i posti sono pochi e nella maggior parte dei casi i pazienti finiscono in strutture per anziani». È degli ultimi anni, infatti, la tendenza ad aprire reparti dedicati a persone in stato comatoso proprio nelle case di risposo. Ma le esperienze sono diverse, più o meno specializzate. «Le strutture per anziani non sempre sono attrezzate per offrire un?assistenza specialistica», spiega Enrico Castelli, primario del Centro di neuroriabilitazione della Nostra Famiglia. Un fiore all?occhiello, attivo fin dal 96, è l?Unità stato vegetativo del Centro Don Orione di Bergamo, che ospita 25 persone. «Il carico assistenziale è enorme», racconta il responsabile, Giovanni Battista Guizzetti; «i pazienti hanno bisogno di cure specifiche, non possono essere tenuti in reparti generici». Vista la scarsità di posti a disposizione, in molti casi sono i familiari a portare tutto il peso dell?assistenza. Tra le decine di centri in Italia che offrono servizi di riabilitazione, cura e mantenimento (la mappa completa è sul sito della Simfar – Società italiana medicina fisiatrica e riabilitativa: www.simfar.it), la maggior parte si concentra al Nord e al Centro. Sud e isole ne sono pressoché sprovvisti. Alla Casa di Luca «Al nostro numero verde arrivano telefonate di persone con malati a domicilio, chiedono aiuto», spiega Fulvio de Nigris, direttore del Centro studi ricerca sul coma della Casa di Luca. «Quando pazienti di Reggio Calabria sono disposti a venire fino a Bergamo», racconta ancora Guizzetti, «vuol dire che c?è un vuoto d?assistenza». Proprio per far fronte alla mancanza di strutture e all?inevitabile disorientamento, i familiari hanno dato vita a numerose associazioni: 22 soltanto per i traumatizzati cranici, raccolte in un Comitato di coordinamento nazionale. «Il problema», spiega Luisa Fazi, responsabile dell?Associazione genitori della Nostra Famiglia, «è per chi resta in stato vegetativo a lungo, ma anche per chi esce dal coma con disabilità di diversa natura. Le famiglie sono sole. Dopo la dimissione dovrebbe iniziare un lavoro in rete con i servizi sociali . Ma molte volte si resta abbandonati». Ecco allora che in questo vuoto di assistenza l?associazionismo fa da apripista: apre case di accoglienza e offre servizi di segretariato sociale per informare sulle strutture e i servizi locali.


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