Welfare

Se la vita è ostaggio delle nostre opinioni

Il referendum sulla fecondazione assistita é alle porte. Ed intanto piomba sulle nostre coscienze il dilemma di Terri Schiavo.

di Giuseppe Frangi

Paradossale questa Pasqua 2005: mai s?è tanto parlato della vita, dei suoi confini, dei suoi limiti. Il referendum sulla fecondazione assistita è alle porte. E intanto piomba sulle nostre coscienze il dilemma lacerante di Terri Schiavo. Tra fragilità morale e potere della scienza l?uomo sembra un essere sballottato, privato di punti fermi, prigioniero di presunzioni che vanno in mille pezzi al primo contatto con la realtà. Non importa che cosa si pensi della vita, non c?entra l?idea corretta o scorretta, la visione religiosa o laica, apocalittica o serafica. Perché a questo livello, lo diciamo con franchezza, un?ipotesi vale l?altra: accade come in quegli insopportabili talk show televisivi dove tutti si accapigliano perché così vuole il copione e perché così si tien vivo l?inutile teatrino. Siamo liberi di pensare idee nostre sulla vita, ma poi quando la vita stessa ci arriva addosso con la drammatica concretezza dei suoi problemi, o con il fascino palpitante della sua bellezza, facciamo quasi sempre esperienza dell?inconsistenza dei nostri pensieri. La vita infatti è un qualcosa che non sta dentro la misura delle opinioni, per condivisibili, fascinose e carismatiche che siano. E questo spiega l?inadeguatezza così angosciosa delle cose che si ascoltano (o che si pensano; che pensiamo noi stessi: nessuno si può tirar fuori), rispetto al mistero irriducibile che tanti fatti, portati all?onore delle cronache, contengono. E più ci si arrocca caparbiamente dentro le nostre opinioni, più la realtà e la vita appaiono imprendibili. Prendiamo il caso di Terri Schiavo, la vicenda che ha diviso l?America. Il destino di questa donna è stato strattonato tra chi ha voluto farne una bandiera della vita ?costi quel che costi? e chi invece ha scelto la scorciatoia dicendo basta a una vita ?che così non ha più senso?. In mezzo c?è lei, con il dramma doloroso del suo destino, con il mistero di quel suo silenzio, con quel suo totale dipendere dalla volontà di altri. In mezzo c?è lei. Sola, per quanto circondata dall?attenzione di tutti. Abbandonata, per quanto assediata. Investita (e per nulla garantita) dalla presunzione di troppe risposte. E invece? Invece l?unico modo umano di rapportarsi con Terri sarebbe quello di non sentirsi estranei alla fragilità del suo destino, di domandare un aiuto per capire il senso di quello che le è accaduto. Questo sarebbe un atteggiamento umano. E questa sarebbe una vittoria della vita, anche se quella vita andasse del tutto a spegnersi. C?è un?affermazione bellissima nel servizio che Sara De Carli ha scritto visitando la struttura per malati in stato ?vegetativo? all?istituto Palazzolo di Milano. La pronuncia il direttore Gianbattista Martinelli. «Da che cosa si vede che le persone in stato vegetativo continuano ad essere persone? Secondo noi da quanto siamo disposti ad investirci». E non pensiamo che la parola ?investire? indichi solo soldi, efficienza: perché se così fosse poi si sfocerebbe nel vicolo cieco dell?accanimento. Investire significa non sentirsi estranei, provare tenerezza per quei corpi fragili e senza futuro. Condividere il dolore per il loro destino. In una parola, amarli. Perché quando si ama la realtà, come ci disse il grande Giovanni Testori, si possono fare tanti errori di cammino. Ma alla fine non si sbaglia mai.


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