Mondo
L’economia ivoriana in caduta libera
Le ricadute economiche della guerra civile che imperversa dal 2002 sono drammatiche per l'economia dell'ex eldorado africano
La grave crisi politica, economica, sociale e militare che attraversa la Costa d’avorio dal settembre 2002 si sta traducendo in un crollo vertiginoso delle principali attività economiche del Paese. Su fondo di deliquescenza del tessuto sociale e di crescente insicurezza, le perspettive di sviluppo dell’economia ivoriana sono seriamente compromesse. A rivelarlo è stato il Presidente del Consiglio nazionale degli imprenditori ivorani (Cnpi) Diack Diawar, il quale ha presentato un bilancio a dir poco agghiacciante dell’economia locale. Questa sentenza senza appello si fonda su uno studio effettuato su circa 500 imprese appartenenti al Cnpi che operano o opervano in Costa d’Avorio. Nel febbraio 2002, cioè sette mesi prima dell’inizio della crisi, il Cnpi rivendicava 500 imprese in grado di impiegare circa 80mila persone e di fatturare oltre 5,2 miliardi di franchi CFA, cioè oltre il 70% del settore moderno. Uno studio risalente al giugno 2004, cioè cinque mesi prima delle violenze perpetrate dalle milizie pro-governative nella capitale economica della Costa d’avorio Yamoussoukro, ha rivelato che il fatturato nel settore dell’edilizia e dei lavori pubblici era crollato dell’80%, quello automobilistico del 40%, 55% per la distribuzione e 35% per il settore assicurativo. Tra le imprese che hanno maggiormente sofferto spicca il Port autonome di Abidjan, la cui parte all’interno del traffico marittimo della regione è calato del 70% a scapito del suo rivale senegalese di Dakar che ha recuperato il 30% delle merci che passavano nella capitale ivoiriana. Meglio non sta il settore degli idrocarburi. La Société ivoirienne de raffinage (area raffinazione) si è lasciato sfuggire il mercato maliano di cui copriva il 75% dei bisogni e quello nordivoriano ormai sotto controllo ribelle e di cui le 144 stazioni di benzina sono state costrette a chiudere i battenti. Ma le ripercussioni negative della guerra più temute dagli imprenditori ivoirani sono nel settore produttivo del cacao. Circa il 10% della produzione locale viene esportata illegalmente in Ghana, mentre il 55% del cotone prodotto ha preso la direzione del Mali e del Burkina Faso. Sul piano sociale, la crisi si è tradotta con la perdita di almeno 100mila impieghi. Basti pensare che i disordini provocati dai sostenitori del presidente Laurent Gbagbo l’8, il 9 e il 10 novembre scorso hanno spinto sul marciapiede oltre 30mila impiegati ivoriani. Nonostante l’affievolimento del tessuto industriale, un crollo delle esportazioni dell’ordine del 14%, la molteplicazione di prodotti contraffatti, la profusione del contrabbando, la lenta ma inesorabile deriva di molte imprese nel settore informale ecc, Diawar teme che “il peggio debba ancora arrivare”.