Famiglia

Sarò la mamma dei figli del ghiaccio

Rosita M., dell’associazione Giovanni XXIII, ha già 4 figli ma andrà a Barcellona per ricevere una "vita sospesa". E altre 15 famiglie sono pronte a partire (di Chiara Sirna).

di Francesco Agresti

Dare una famiglia a embrioni umani che sono stati a un passo dall?averla, ma poi se la sono vista negare. Per molti destinarli alla ricerca è un crimine. Così, per non stare a guardare, sono passati ai fatti: hanno preso contatti con centri di fecondazione italiani e stranieri, soprattutto il Cima di Barcellona, e si sono offerti di adottarli. «È un atto di giustizia», racconta Rosita M., 32enne di Rimini con già quattro figli naturali a carico, di otto, sei e due anni e l?ultimo di neanche un mese. «Questi embrioni vivono una situazione di sospensione della vita indegna per un essere umano. L?ideale sarebbe che la possibilità di nascere gli venisse data dai genitori. Ma se rinunciano, è giusto che qualcun altro lo faccia al posto loro». Rosita non è sola. Accanto a lei il marito e altre 24 coppie si stanno battendo per la stessa causa: 15 dell?associazione riminese Papa Giovanni XXIII e 10 simpatizzanti. A unirli ovviamente la fede cattolica e la profonda convinzione che qualsiasi forma umana, anche con un solo flebile alito di vita, abbia il diritto di venire al mondo. Il Cima ha dato l?ok per un programma di adozione prenatale, ma le famiglie coinvolte stanno trattando per definirne le condizioni. La prima è che vengano impiantati in utero tutti gli embrioni, anche quelli congelati da tempo. E infine che non si dia spazio a un commercio di vite umane a scopo di lucro. «Abbiamo voluto porre dei limiti etici», spiega Enrico Masini, coordinatore del programma Adozione embrioni umani abbandonati dell?associazione Papa Giovanni XXIII. «Loro trattano in utero solo gli embrioni con almeno il 50% di cellule vive e gli altri li buttano via. Noi invece chiediamo che non venga fatta alcuna selezione. Poi non vogliamo essere partecipi di un commercio economico. È giusto che il centro riceva soltanto un rimborso delle spese di cui si fa carico». E se per il momento il Cima ha accettato il primo monito, sull?aspetto economico non si è ancora pronunciato. «La trattativa resta aperta», aggiunge Masini. «Abbiamo posto condizioni precise e speriamo che vengano accolte. Quando si conosceranno le proposte definitive del centro, la decisione sarà rimessa alle famiglie». Intanto però chi si è offerto di adottare embrioni abbandonati è pronto a tutto. Tranne che a fare marcia indietro. «Il pericolo che nascano bambini con patologie più o meno gravi è alto, ma siamo disposti a correrlo», aggiunge ancora Rosita. «Abbiamo fatto un lungo percorso di riflessione che oggi ci porta a essere in grado di superare qualsiasi scoglio». Anche a rischiare in proprio. «Si tratta di un?operazione con anestesia», conclude. «È normale essere preoccupati, anche perché quella che si accoglie in fin dei conti è una vita estranea. Ma sono convinta che la biologia non ci determini». Negli ultimi mesi i coordinatori del progetto hanno mosso i primi passi anche in Italia, prendendo contatti con i direttori di alcuni centri di procreazione assistita bolognesi e mettendo a segno i primi successi. Dalla Spagna e da casa nostra si attende ancora il verdetto finale, ma le prospettive sembrano più che concrete.


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