Welfare

Nostra signora di San Vittore

Per la prima volta il penitenziario di piazza Filangeri è guidato da una signora che doveva fare l’avvocato. Intervista a Gloria Manzelli.

di Stefano Arduini

Prima di lei nessuna. Gloria Manzelli è il 24esimo direttore del carcere di San Vittore, la prima donna. Dall?alessandrino Pietro Fossa al napoletano Luigi Pagano, in 125 anni di storia dell?istituto milanese su quella poltrona fino ad ora si erano accomodati solo uomini. Sulle spalle di questa riminese di 44 anni, che incontriamo alla vigilia della Festa della donna, è però piombata l?eredità più pesante: non deludere il suo predecessore, mentore e maestro, Pagano appunto, che la guarda dall?altra parte di piazza Filangeri, dal suo nuovo ufficio di provveditore. Nei primi due mesi di regno, la neodirettrice ha già lasciato il segno. In 60 giorni, il carcere di San Vittore, che è anche casa sua, si è trasformato prima in un set televisivo (qui dentro sono stati registrati gli sketch della sit com Belli dentro in onda la domenica su Canale 5) e poi in un bar dello sport (al banco Candido Cannavò, che ogni martedì apre la bagarre dei commenti post campionato, con i detenuti nei ruoli degli Aldo Biscardi e dei Maurizio Mosca di turno). Ma c?è di più. Non serve il canocchiale per rendersi conto che negli uffici della direzione dell?istituto il maschio è un animale in via di estinzione. «Oltre a me ci sono altre due donne e un solo omino», conferma la Manzelli. Tre a uno e palla al centro. L?affondo però è di quelli da ko. «A Milano ormai siamo la maggioranza, oltre a me, c?è anche la mia amica Lucia Castellano a Bollate, resiste solo Alberto Fragomeni a Opera, e sinceramente non so quanto sopravviverà», sorride. Per adesso però i pensieri della Manzelli sono rivolti alla pentola a pressione su cui si è seduta. San Vittore infatti non è quello che si dice un posto tranquillo. Nell?istituto oltre ai 900 agenti (quasi tutti uomini) vivono 1.300 detenuti (le donne sono solo 120). Il 50% di loro è straniero e il 40% tossicodipendente, a fronte di una capienza ufficiale di soli 900 posti. Le educatrici invece sono desolatamente solo tre («erano quattro fino a poche settimane fa, poi l?ultima arrivata è scappata via a gambe levate. Basterebbe questo a far capire cosa significhi il carcere»). Partiamo da qui. Vita: Alla fine anche un bulldozer come Pagano ha alzato bandiera bianca. Quanto pensa di resistere? Gloria Manzelli: Io qui spero di mettere radici. La mia benzina è l?emozione che ancora mi dà questo luogo. Il mio è un lavoro che devi vivere come una missione altrimenti non riesci a sopravvivere. Vita: Aiuta il fatto di essere una donna? Manzelli: Credo di sì. Non so se siamo meglio o peggio. Di certo c?è che rispetto agli uomini siamo più sensibili. Le cose del mondo ci segnano. E siamo pronte a rischiare perché le nostre iniziative si concretizzino. Vita: Che cosa la colpisce maggiormente di questo mondo? Manzelli: Trovo assurdo che ragazzi di 22, 23 anni beccati con l?ecstasy siano portati in carcere. Questo luogo è deleterio per chi non è inserito in un circuito criminale. Non può fare altro che danni. Vita: A chi serve la prigione, allora? Manzelli: Agli esponenti di grosse organizzazioni criminali che non sono più capaci di vivere con mille euro al mese. Per gli altri invece occorre il trattamento: se fornisci il lavoro e la casa azzeri la recidiva. Vita: Quanti detenuti lavorano a San Vittore? Manzelli: 80 nel call center della Telecom più 30 nelle cooperative che collaborano con noi. Poi ce ne sono altri 200 alle dipendenze dell?amministrazione penitenziaria, che si occupano della manutenzione del carcere. Vita: E lei perché ha scelto questo lavoro? Manzelli: Non l?ho scelto, mi è capitato. A 27 anni, dopo la laurea in giurisprudenza a Bologna, ho iniziato a praticare nello studio di un avvocato. Sono scappata a gambe levate. Pessimo ambiente. Così ho provato tutti i concorsi che mi capitavano a tiro. Ho vinto quello per dirigente penitenziario. Al primo incarico mi hanno spedita ?a forza? a Milano. Pensi che fino ad allora non avevo mai messo piede in un istituto. Vita: Pare di capire che Milano non le piaccia proprio? Manzelli: Adesso è una città che adoro, ma quando arrivai mi choccarono due cose. Era estate e la gente metteva le scarpe. In Romagna in luglio si usano solo gli infradito. E poi lo smog che ti si attacca alla pelle. Che impressione! Vita: Favorevole o contraria alle carceri speciali per tossicodipendenti? Manzelli: Mi sembra una buona idea. Le prigioni tradizionali non sono in grado di assicurare le cure necessarie ai tossici. Vita: Cosa pensa del possibile trasferimento di San Vittore in periferia? Manzelli: Contraria. Non dobbiamo confinare le carceri nelle periferie. Siamo un servizio pubblico che deve essere ben visibile. Le vecchie carceri scontano la pecca di esser state costruite in anni in cui la pena era solo detentiva e non riabilitativa. Mancano quindi gli spazi per la riabilitazione: aule per lo studio e per la socialità. Ma gli istituti nuovi sono così tristi: sono talmente grandi che non si sente nemmeno il rumore del tram. Non sapete quanto è importante per chi sta qui dentro sentire la vita che scorre fuori dalle mura.


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